Legittima la cartella per plusvalenza realizzata in seguito a cessione della licenza di servizio taxi
Cassazione civile, sez. tributaria, sentenza 20.9.2017 n. 21762
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Dott. CAPPABIANCA Aurelio -
Presidente - Dott. VIRGILIO Biagio - rel.
Consigliere - Dott. GRECO Antonio -
Consigliere - Dott. LOCATELLI Giuseppe -
Consigliere - Dott. LA TORRE Maria Enza -
Consigliere - ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei
Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che la
rappresenta e difende; - ricorrente - contro G.A.,
elettivamente domiciliato in Roma, Corso d'Italia n. 19, presso l'avv.
Ruggero Stendardi, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti; -
controricorrente
avverso la sentenza della Commissione tributaria
regionale del Lazio n. 400/14/10, depositata il 22 giugno 2010. Udita la
relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'1 marzo 2017
dal Relatore Cons. Dott. Biagio Virgilio; udito il P.M., in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, il quale ha
concluso per il rigetto del ricorso; udito l'avvocato dello Stato
Giancarlo Caselli per la ricorrente.
Fatto
1.
L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la
sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio indicata in
epigrafe, con la quale, rigettando l'appello dell'Ufficio, è stata
confermata l'illegittimità dell'avviso di accertamento emesso nei
confronti di G.A. a titolo di IRPEF per l'anno 2004, in ragione della
omessa dichiarazione della plusvalenza realizzata a seguito della
cessione della licenzia per l'esercizio del servizio di taxi.
Il
giudice d'appello ha ritenuto che: a) l'accertamento "non ha i requisiti
di cui all'art. 2729 c.c., in quanto la pretesa tributaria non è
supportata da presunzioni, ancorchè semplici, gravi precise
e concordanti. Ne consegue che i risultati dello studio dell'Università
della Tuscia non possono essere considerati, in assenza di altri
elementi, strumento valido per l'accertamento anche perchè non è dato
sapere come è avvenuta l'elaborazione dello studio che, peraltro, non
riguarda l'intero territorio nazionale e neppure regionale"; b) "nella
specie non si tratta di cessione d'azienda in quanto il sig. B.,
titolare della concessione n. 118, rilasciata dal Comune di Roma, non ha
ceduto la licenza, ma ha riconsegnato al Comune di Roma nell'anno 2004
una licenza che poi lo stesso Comune ha permesso l'ingresso di terzi"
(sic).
2. G.A. ha resistito con controricorso e memoria.
Diritto
1.
Va preliminarmente rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso
sollevata dal controricorrente in quanto l'atto consisterebbe nella
mera "fotocomposizione o collage di atti di varia natura": nella
fattispecie, infatti, non si è in presenza della pura e semplice
"pedissequa riproduzione dell'intero, letterale contenuto degli atti
processuali", senza alcun momento di sintesi funzionale (Cass., sez.
un., n. 5698 del 2012), bensì della riproduzione in fotocopia di alcuni
atti - processuali e non - a corredo dimostrativo di quanto già dalla
ricorrente sinteticamente esposto (cfr. anche Cass. nn. 18363 del 2015 e
12641 del 2017, secondo le quali non è violato l'art. 366 c.p.c., comma
1, n. 3, allorchè il coacervo dei documenti integralmente riprodotti,
essendo facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed
espunto dal ricorso, la cui autosufficienza dovrà essere valutata in
base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi).
2.1.
Con il primo motivo, l'Agenzia denuncia la violazione del D.P.R. n. 600
del 1973, art. 39, comma 2, artt. 2697,2727 e 2729 c.c., per avere il
giudice d'appello ritenuto illegittimo l'accertamento in quanto non
basato su presunzioni gravi, precise e concordanti, laddove
nella fattispecie, in presenza di un reddito d'impresa non dichiarato, è
stato applicato il D.P.R. n. 600 del 1973, citato art. 39, comma 2, il
quale, in tal caso, autorizza l'Ufficio ad avvalersi anche
di presunzioni prive dei detti requisiti.
Col secondo motivo, è
denunciata l'insufficienza della motivazione della sentenza su
fatto decisivo, nella parte in cui la CTR ha negato, in modo illogico e
peraltro con riferimento a soggetto estraneo al giudizio, l'avvenuta
cessione della licenza, che sarebbe stata soltanto riconsegnata al
Comune.
2.2. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
La
L. 15 gennaio 1992, n. 21 ("Legge quadro per il trasporto di persone
mediante autoservizi pubblici non di linea"), per quanto qui interessa,
qualifica i titolari di licenza per l'esercizio del servizio di taxi
come "titolari di impresa artigiana di trasporto" (art. 7) e prevede che
la licenza è rilasciata dalle amministrazioni comunali (art. 8) e che
la stessa, in presenza di determinate condizioni, può essere trasferita,
su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata,
iscritta nel ruolo di cui all'art. 6 e in possesso dei requisiti
prescritti (art. 9).
In primo luogo, pertanto, il trasferimento
della licenza è effettuato dall'autorità comunale, munita del potere di
rilascio, su domanda del titolare e alla persona da lui indicata, previa
verifica dei presupposti di legge: e nella fattispecie ciò risulta
avvenuto in base alla Det. Dirigenziale Comune di Roma 18 marzo 2004, n.
421, che l'Agenzia riproduce in fotocopia nel ricorso e afferma di
aver allegato all'atto di appello.
In secondo luogo, trattandosi,
come detto, di attività d'impresa, alla "cessione" della
licenza, effettuata con le indicate modalità, è applicabile la
disciplina dettata dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86 (nel nuovo testo,
vigente ratione temporis, già art. 54), secondo il quale concorrono
alla formazione del reddito d'impresa le plusvalenze realizzate mediante
cessione a titolo oneroso dei beni relativi all'impresa, costituendo la
licenza un bene immateriale strumentale all'esercizio di tale attività
(nè rileva, ai fini di una diversa qualificazione del reddito, che il
contribuente fosse socio di cooperativa: Cass. n. 7883 del 2016).
Ne
consegue che, qualora il reddito non sia stato indicato in
dichiarazione, si rende applicabile il disposto del D.P.R. n. 600 del
1973, art. 39, comma 2, lett. a), che, in tale ipotesi, abilita
l'Ufficio ad utilizzare, ai fini dell'accertamento, dati e notizie
comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi
anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione
e concordanza.
3. In conclusione, il ricorso va accolto, la
sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata, per nuovo
esame, alla CTR del Lazio in diversa composizione, la quale provvederà
anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la
causa, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del
Lazio, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2017
LaPrevidenza.it, 27/09/2017