mercoledì, 04 dicembre 2024

Licenziamento disciplinare e assenza dal lavoro per la pasqua musulmana: è legittimo se difetta la prova dell’accordo con il datore di lavoro

Avv. Matteo Forconi - Avv. Rosa Rita Gallo

 

Il Tribunale di Prato, sezione Lavoro, con due sentenze “gemelle”, rigetta i ricorsi speculari di due dipendenti stranieri, di nazionalità marocchina che, nel contestare il licenziamento disciplinare, asserivano di aver ottenuto dalla datrice di lavoro il consenso verbale ad assentarsi per ferie: in virtù di detta autorizzazione, dunque, i due si sarebbero recati nel paese di origine per trascorrervi la pasqua musulmana. Al loro ritorno, tuttavia, il datore di lavoro contestava formalmente ai dipendenti l’assenza ingiustificata e poi intimava loro il licenziamento.

Le due cause, pertanto, si giocavano interamente sulla prova circa la sussistenza o meno dell’autorizzazione datoriale, asseritamente resa in via informale, ad assentarsi per ferie.

Al riguardo si rileva come i due procedimenti presentassero una particolare peculiarità costituita dal fatto che, ciascun ricorrente svolgeva, nel procedimento dell’altro, un ruolo assolutamente simmetrico: le asserzioni e le istanze presentate in ciascun ricorso venivano suffragate dalla testimonianza speculare del collega.

Non si può, pertanto, che rilevare come le dichiarazioni rese da ciascuno dei testimoni in entrambi i procedimenti dovessero essere necessariamente soggette ad un severissimo vaglio: la testimonianza di uno avrebbe necessariamente pregiudicato l’esito del proprio procedimento, non potendosi ragionevolmente ritenere che il Giudice del Lavoro potesse addivenire, per le due cause, ad esiti contrastanti. Appare difatti indubbio che le due cause presentassero elementi di connessione e che le testimonianze vertessero su un fatto comune. Al riguardo possiamo domandarci se, nel caso di specie, sarebbe stato possibile invocare l’incapacità a testimoniare di cui all’art. 246 c.p.c.. A mezzo della predetta norma il legislatore ha operato una valutazione a priori in ordine alla credibilità del teste, disponendo che non possano essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio. Dunque, al fine di evitare al terzo interessato una situazione di conflitto – giurare il falso o pregiudicare un proprio diritto –, e nel timore che il terzo, posto dinnanzi a tale alternativa faccia prevalere il proprio interesse, la norma equipara il terzo interessato alla parte e ne sancisce l’incapacità a rendere testimonianza.

Circa la questione in esame, tuttavia, si segnala una risalente pronuncia della Suprema Corte (sentenza n. 6932/1987) la quale, chiamata a pronunciarsi su un caso del tutto analogo, risolve la questione escludendo l’operatività del divieto de quo asserendo che la c.d. “reciproca testimonianza” incida esclusivamente sulla attendibilità delle relative deposizioni e spetta al giudice di merito.

Nel caso in commento, la prova circa la sussistenza o meno dell’autorizzazione del datore di lavoro ad assentarsi per ferie veniva ulteriormente inficiata dalla circostanza, provata documentalmente a mezzo delle buste paga, secondo cui i dipendenti avevano completamente esaurito le  ferie a loro disposizione.

Il Tribunale, dunque, tenuto conto della scarsa attendibilità del teste di parte ricorrente, del chiaro diniego espresso dalla datrice di lavoro anche in sede di interrogatorio formale, nonché delle evidenze documentali, non poteva che definire le cause con il rigetto delle domande e la condanna dei ricorrenti alle spese di lite.

I procedimenti in esame presentano, tuttavia, un ulteriore argomento degno di riflessione, quello cioè delle ragioni che indussero i due dipendenti, legittimamente o illegittimamente, ad assentarsi dal lavoro: il trascorrere nel loro paese la pasqua musulmana.

La regolamentazione legislativa delle ferie è stata negli ultimi tempi, oggetto di importanti interventi, effettuati anche sulla scorta di direttive comunitarie. Principio immutato resta comunque quello secondo cui il diritto alle ferie risponde primariamente alla specifica esigenza di consentire il recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore attraverso il riposo e la ricreazione. Ora, se è pur vero che a norma dell'art. 2109 c.c. il periodo di ferie viene assegnato dal datore di lavoro tenendo conto tanto delle esigenze organizzative aziendali quanto degli interessi dei lavoratori, è altresì vero che, nell’eventuale conflitto tra gli uni e gli altri, debba prevalere l’interesse dell’azienda.

Ciò nondimeno, è di tutta evidenza come, ancora oggi, vi sia una scarsissima sensibilità da parte delle istituzioni e del sistema economico nei confronti delle esigenze di lavoratori provenienti da differenti culture e religioni. Questi lavoratori, difatti, si trovano ad operare ed interfacciarsi con un sistema in cui i tempi delle ferie e delle festività sono quelli dettati dalla prassi della tradizionale chiusura estiva e dal calendario delle feste cristiane. Ed è evidente come la libertà del dipendente di scegliere i giorni in cui andare in ferie risulti peculiarmente compressa nelle imprese di piccole dimensioni. È lecito dunque domandarsi quale avrebbe potuto essere la decisione del Giudice del Lavoro se, oggetto della controversia, fosse stato il conflitto tra le esigenze di impresa e le esigenze individuali del lavoratore nell’assegnazione delle ferie.

Documento integrale

Allegato: SentenzaRG913_06.pdf
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LaPrevidenza.it, 03/03/2010

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