Sulla decadenza dell’impugnativa per il licenziamento e sugli spazi residuali per chiedere il risarcimento di diritto comune
Nota dell'Avv. Daniele Iarussi a Cass. sez. lav. 10 marzo 2010, n. 5804
In tema di licenziamento, ed in particolare di decadenza e spazi residuali per chiedere il risarcimento di diritto comune, Cass. Civ. n. 5804/10, afferma che decaduto il lavoratore dalla facoltà di impugnare il licenziamento a causa del decorso del termine, l'interessato può proporre una azione di risarcimento del danno per illegittimità del medesimo. La giurisprudenza sul punto ha avuto qualche oscillazione al riguardo, ma ha finito per orientarsi nel senso che è esperibile la “normale azione risarcitoria” soltanto per quegli effetti che non siano preclusi dalla citata decadenza. L'azione non sarà quindi esperibile per ottenere il risarcimento del danno da perdita del posto di lavoro o da mancata reintegra; e neppure per ottenere l'equivalente delle retribuzioni ‘medio tempore’ perdute. In altri termini, con la normale azione risarcitoria non è possibile ottenere, neppure per equivalente, ciò che è precluso dalla decadenza in ordine all'impugnativa. La mancata impugnazione del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro, bensì preclude al lavoratore soltanto la possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 18 della Legge n. 300.1970. È esperibile la normale azione risarcitoria in base ai principi generali e previa allegazione dei presupposti (in tal senso Cass. 12.10.2006 n. 21833 e Cass. 10.1.2007 n. 245). Infine, statuisce che quando l'unico profilo per il risarcimento del danno invocato è dato unicamente dall'illegittimità del recesso, la normale azione risarcitoria è preclusa (Cass. 9.3.2007 n. 5545 e, di recente, Cass. 4.5.2009 n. 10235).
LaPrevidenza.it, 16/04/2010