venerd́, 16 maggio 2025

Riaffermata l'unitarietà della categoria dirigenziale

Prof. Mario Meucci

 

Con le sentenze n. 897 del 17 gennaio 2011  (est. Curzio) e n. 25145 del 13 dicembre 2010  (est. Ianniello), la Cassazione ha  affermato di voler dare continuità all’orientamento asserito – anche al massimo livello di esercizio della funzione nomofilattica – da Cass. SU n. 7880/2007  (seguita da Cass. 24/6/2009 n. 14835) assertrice dell’unitarietà della categoria dirigenziale e negatrice di rilevanza giuridica alle diversificazioni interne alla categoria, di natura meramente sociologica e descrittiva, fra dirigente apicale, medio e minore, inidonee a conferire al middle e al low manager le garanzie contro il licenziamento accordate dalla legislazione (l. n. 604/66 e art. 18, l. n. 300/70) alle sottordinate categorie dei quadri, impiegati e operai; riconoscendone l’estensibilità solo ai c.d. «pseudo-dirigenti», cioè a coloro che della categoria hanno solo il nomen ma, in concreto, sono privi delle attribuzioni di potere e di mansioni, tali da farli ricondurre tra gli impiegati.

La riaffermazione dei principi espressi lucidamente da Cass. SU n. 7880 nel 2007 è avvenuta (nel caso deciso da Cass. n. 897/2011) nell’esame di un licenziamento disciplinare di un dirigente disposto da un’azienda senza l’applicazione della procedura  di contestazione degli addebiti e del diritto di difesa ex art. 7 Statuto del lavoratori – contraddittorio asserito  da Corte cost.  n. 309/1992 e da Corte cost. n  427/2009 quale «imprescindibile principio di civiltà giuridica» -, licenziamento quindi dichiarato, per tale vizio, illegittimo dal giudice di secondo grado, congiunto all’obbligo per l’azienda della reintegrazione e del risarcimento di danno. Nella fattispecie decisa da Cass. n. 25145/2010, invece, la riaffermazione delle statuizioni  di Cass. SU n. 7880/2007 è stata esplicitata a seguito dell’esame di un ricorso avanzato da una Società nei confronti di un mini dirigente, cui la Corte d’appello di Sassari aveva accordato, dietro affermazione di illegittimità del licenziamento, la reintegra ex art. 18 Statuto dei lavoratori. Ai giudici di merito la difesa della società imputava, tra l'altro – come nella fattispecie decisa da Cass. n. 897/2011 - di avere dato spazio a una distinzione tra dirigenti apicali e dirigenti minori che non trova invece riscontro nella legislazione in vigore. Per i giudici di merito, invece, la persona interessata sarebbe stato un dirigente minore e quindi il suo licenziamento poteva essere motivato solo con una giusta causa.

In entrambe le decisioni la Cassazione ha, in gran parte, accolto le ragioni delle Aziende ricorrenti, precisando innanzitutto - dopo avere passato in rassegna la più recente giurisprudenza in materia - che la qualifica di dirigente non spetta al solo prestatore di lavoro che, come alter ego dell'imprenditore, ricopre un ruolo di vertice nell'organizzazione, ma anche a coloro che, per qualificazione professionale o responsabilità minori nell'organizzazione aziendale, rivestono di fatto una posizione di autonomia, tale per cui la contrattazione collettiva (cioè la specifica “convenzione” categoriale) riconosca la qualifica dirigenziale, così da essere pertanto denominati “dirigenti convenzionali”, cioè a seguito di convenzione o pattuizione contrattuale.

Ad essere esclusi dalla disciplina prevista per la categoria dei dirigenti – riconfermano entrambe le sentenze nn. 897/2011 e 25145/2010  della Suprema corte - sono «unicamente i cosiddetti pseudo-dirigenti, cioè quei lavoratori che seppure hanno di fatto il nome e il trattamento dei dirigenti, per non rivestire nell'organizzazione aziendale un ruolo di incisività e rilevanza analogo a quello dei cosiddetti dirigenti convenzionali (dirigenti apicali, medi o minori), non sono classificabili come tali dalla contrattazione collettiva».

Conseguentemente viene statuito il seguente principio di diritto: «La disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alle leggi nn. 604 del 1966 e 300 del 1970 non è applicabile, ai sensi dell'articolo 10 della prima delle leggi citate, ai dirigenti convenzionali, quelli cioè da ritenere tali alla stregua delle declaratorie del contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di dirigenti apicali, che di dirigenti medi o minori, ad eccezione degli pseudo-dirigenti, vale a dire di coloro i cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale del dirigente» (così Cass. n. 25145/2010).

Al tempo stesso vengono riprecisate le differenze sussistenti – in ordine alle causali del licenziamento del dirigente quali introdotte dalla contrattazione collettiva – tra la cd. «giustificatezza» e il «giustificato motivo» quale codificato nell’art. 3 della l. n. 604/1966. Asserendosi che l’asimmetria sussistente tra le due nozioni è riconducibile alla specificità e maggiore intensità e pregnanza del rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro, in dipendenza delle mansioni, delle responsabilità e prerogative di autonomia conferitegli per la realizzazione degli obbiettivi aziendali.  Ne consegue che anche la semplice inadeguatezza del dirigente rispetto ad aspettative riconoscibili in via preventiva oppure una deviazione dalle direttive assegnate dal datore di lavoro o un comportamento extralavorativo che incide sull'immagine aziendale, possono giustificare una rottura del rapporto di fiducia e condurre al licenziamento. Questo per quanto attiene al piano soggettivo, ma possono verificarsi anche ragioni oggettive per l'interruzione del rapporto di lavoro, quando, per esempio, la concreta posizione assegnata al dirigente nell'organizzazione aziendale non è più pienamente adeguata allo sviluppo delle strategie d'impresa del datore di lavoro. Una situazione che può condurre all'«espulsione del dirigente nel quadro di scelte orientate al miglior posizionamento dell'impresa sul mercato» (ancora, Cass. n. 25145/2010).

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LaPrevidenza.it, 30/12/2011

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