Licenziamento collettivo, per il limite soglia si computano anche le risoluzioni consensuali
Cassazione civile, sentenza 20.7.2020 n. 15401
In tema di
licenziamento collettivo la Corte di cassazione è intervenuta nel merito di un
procedimento dove il lavoratore ha impugnato il relativo provvedimento sostenendo
in tesi che la procedura adottata non aveva rispettato il dettato di legge.
In
particolare il difensore dell’appellante ha focalizzato l’opposizione sul punto
del c.d. “limite soglia” ovvero quel limite che, se oltrepassato viola l’articolo
24 dalla legge 233/1991.
Nel caso
specifico il ricorrente ha sostenuto che la soglia dei cinque licenziamenti
nell’arco dei centoventi giorni era stata superata in virtù del fatto che nel
computo di cui sopra il datore di lavoro non aveva tenuto conto di un rapporto
cessato per risoluzione consensuale a causa dell’avvenuta esternalizzazione di
uno dei reparti aziendali.
Da qui la
decisione della Corte che ha ritenuto valida a tesi del ricorrente.
***
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BERRINO Umberto
- Presidente - Dott. PATTI Adriano
Piergiovanni - rel. Consigliere - Dott. PAGETTA
Antonella - Consigliere - Dott.
CINQUE Guglielmo - Consigliere
- Dott. LEO Giuseppina
- Consigliere - ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA sul ricorso 14248/2017 proposto da: C.P.G.,
elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato
DANIELA CARLESSO; - ricorrente
- contro
xx
S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati
UMBERTO MUNCHER e FEDERICO MARIA SCAGLIA; - controricorrente - avverso
la sentenza n. 909/2017 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il
07/04/2017, R. G. N. 665/2016; Il P.M. ha depositato conclusioni
scritte.
RILEVATO
che:
1. con sentenza 7 aprile
2017, la Corte d'appello di Milano rigettava il reclamo proposto da
C.P.G. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della
sua opposizione all'ordinanza dello stesso Tribunale, che aveva
dichiarato legittimo il licenziamento intimatogli dalla datrice Gruppo
Argenta s.p.a. il 19 maggio 2014, esclusane la natura verbale, così come
quella ritorsiva per sussistenza di un giustificato motivo oggettivo
(per la soppressione del suo posto di lavoro in conseguenza di
esternalizzazione dell'attività di gestione e manutenzione del parco
automezzi) e così pure la violazione della L. n. 223 del 1991,
inapplicabile in assenza di prova del licenziamento di un numero di
dipendenti superiore a cinque nell'arco di centoventi giorni;
2. avverso tale sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con sei motivi, cui la società resisteva con controricorso;
3. il P.G. rassegnava le conclusioni a norma dell'art. 380 bis 1 c.p.c.;
4. parte ricorrente comunicava memoria ai sensi dell'art. 380 bis 1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1.
il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604
del 1966, artt. 2,3,5, art. 1362 c.c., per la ravvisata sussistenza da
parte della Corte territoriale del giustificato motivo oggettivo sulla
base di ragioni diverse (acquisto di proprietà dei veicoli della flotta
aziendale, mutamento delle condizioni di esternalizzazione dei servizi
ad essa relativi rispetto al precedente affidamento a Car Server s.p.a.,
redistribuzione ad altri dipendenti di attività prima svolte
dal lavoratore) da quelle della lettera di licenziamento (soppressione
della posizione lavorativa per esternalizzazione dell'attività), con
inammissibile integrazione dei motivi di licenziamento e senza alcun
accertamento dell'incidenza causale delle predette ragioni sulla
soppressione del posto di lavoro (primo motivo);
1.1. esso è infondato;
1.2.
la Corte territoriale ha esattamente applicato i principi di diritto in
materia di giustificato motivo oggettivo per soppressione della
posizione lavorativa per esternalizzazione dell'attività (Cass. 7
dicembre 2016, n. 25201; Cass. 3 maggio 2017, n. 10699; Cass. 3 dicembre
2018, n. 31158; Cass. 18 luglio 2019, n. 19302), in base ad un
accertamento in fatto, sostenuto da una congrua argomentazione a
giustificazione del rigetto del motivo di doglianza del lavoratore
appellante (esposto sub 1 di pg. 20 della sentenza), incentrata
proprio sulla diversa gestione del parco auto a fondamento della
riorganizzazione (dall'ultimo capoverso di pg. 23 all'ultimo di pg. 25
della sentenza), insindacabile in sede di legittimità, senza operare
alcuna modificazione, nè integrazione dei motivi di licenziamento;
2.
il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604
del 1966, artt. 3,5, artt. 1175,2103 e 2697 c.c., per mancato
accertamento della possibilità di collocazione in altre mansioni, anche
inferiori, del lavoratore nel contesto aziendale, in violazione
dell'onere di allegazione e prova datoriale (secondo motivo);
2.1. esso è inammissibile;
2.2.
anche qui la Corte milanese ha fatto esatta applicazione dei principi
in tema di repechage, integrante elemento costitutivo del licenziamento
per giustificato motivo oggettivo nell'onere probatorio datoriale (Cass.
20 ottobre 2017, n. 24882; Cass. 2 maggio 2018, n. 10435), avendo poi
escluso la possibilità di un reimpiego del lavoratore in mansioni
inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale (Cass. 8 marzo 2016,
n. 4509; Cass. 6 dicembre 2018, n. 31653; Cass. 24 settembre 2019, n.
23789), per avere ciò verificato anche mediante la ravvisata
insussistenza (agli ultimi due capoversi di pg. 28 della sentenza)
delle posizioni lavorative indicate dal lavoratore reclamante come
disponibili (verifica ben utilizzabile dal giudice al fine di escludere
la possibilità del repechage, sebbene non sussista un onere del
lavoratore di indicare quali siano al momento del recesso i posti
esistenti in azienda a tali fini: Cass. 22 novembre 2018, n. 30259), con
accertamento in fatto (per le ragioni esposte dall'ultimo capoverso
di pg. 27 al terzo di pg. 29 della sentenza), insindacabile in sede di
legittimità;
3. il ricorrente deduce poi violazione dell'art. 132
c.p.c., comma 2, n. 4, art. 156 c.p.c., per illogicità e
contraddittorietà della motivazione a fondamento della sussistenza del
giustificato motivo oggettivo, in ordine
all'esternalizzazione dell'attività del lavoratore presso Ombra s.r.l.,
nonostante il precedente affidamento di analogo incarico a Car Server
s.p.a., nonchè a fondamento dell'assolvimento dell'obbligo di repechage
(terzo motivo);
3.1. anch'esso è inammissibile;
3.2. la
censura non prospetta in realtà un'ipotesi di nullità della sentenza,
ma piuttosto una sostanziale contestazione della valutazione probatoria
e dell'accertamento in fatto della Corte territoriale, in assenza di
alcun contrasto irriducibile tra affermazioni motive inconciliabili tali
da determinare nullità della sentenza, non ricorrendo i presupposti di
configurabilità del novellato testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,
che circoscrive il sindacato di legittimità sulla motivazione alla sola
verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto
dall'art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi (che
si convertono in violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno
luogo a nullità della "mancanza della motivazione quale requisito
essenziale del giurisdizionale", di "motivazione apparente", di
"manifesta contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od
incomprensibile",sentenza) di provvedimento ed irriducibile al di fuori
delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso
esame di un "fatto storico", che abbia formato oggetto di discussione e
che appaia "decisivo" ai fini di una diversa soluzione della
controversia (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017,
n. 23940); un tale obbligo risulta poi violato qualora la motivazione
risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di
esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un
contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè
perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta
una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi
dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 25 settembre 2018, n. 22598);
4.
il ricorrente deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio
oggetto di discussione tra le parti, in tema di giustificato motivo
oggettivo quali l'inquadramento della posizione del lavoratore
nell'ambito aziendale, l'epoca e l'oggetto effettivi di
esternalizzazione delle attività inerenti la flotta aziendale,
il contenuto delle attività inerenti gli immobili di competenza del
Facility Service Manager in rapporto alle altre funzioni aziendale e
l'attività dello stesso lavoratore (quarto motivo); omesso esame di
fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in
tema di repechage in ordine ad assunzioni della datrice tra febbraio e
maggio 2014 (quinto motivo);
4.1. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
4.2.
nel caso di specie ricorre l'ipotesi di cd. "doppia conforme" prevista
dall'art. 348 ter c.p.c., comma 5, applicabile ratione temporis, in
difetto di indicazione ad opera della parte ricorrente, per evitare
l'inammissibilità del motivo di cui al novellato testo dell'art. 360
c.p.c., comma 1, n. 5, delle ragioni di fatto poste a base,
rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di
rigetto dell'appello, dimostrandone la diversità (Cass. 10 marzo 2014,
n. 5528; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 17 gennaio 2019, n.
1197);
4.3. inoltre, la pluralità di fatti dei quali sia dedotto
l'omesso esame denuncia ex se la mancanza del carattere di decisività di
ognuno (Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625);
4.4.
infine, neppure sussistono fatti storici di cui sia stato omesso
l'esame, secondo il nuovo paradigma normativo dell'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 5, quanto piuttosto una contestazione della valutazione
probatoria e dell'accertamento di fatto della Corte territoriale,
insindacabili in sede di legittimità, qualora sorretti da adeguata
argomentazione (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n.
27197; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1197), come appunto nel caso
di specie, per le ragioni suindicate;
5. il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 24, per
mancanza di prova del licenziamento di un numero di dipendenti superiore
a cinque nell'arco di centoventi giorni, in riferimento
all'erronea valutazione della cessazione del rapporto nel periodo anche
di G.F. (risolto il 31 gennaio 2014 per il suo rifiuto di accettazione
del trasferimento per comprovate ragioni organizzative), da intendere
integrare licenziamento secondo la Direttiva 98/59 CE, come interpretata
in particolare dalla sentenza della Corte di Giustizia UE 11 novembre
2015 in causa C422/14 (sesto motivo);
5.1. esso è fondato;
5.2.
alla luce di una corretta interpretazione dell'art. 1, paragrafo 1,
comma 1, lettera a) della Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio
1998 (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri in materia di licenziamenti collettivi), rientra nella nozione di
"licenziamento" il fatto che un datore di lavoro proceda,
unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una
modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro
per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui
consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta dal
lavoratore medesimo (Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015 in causa
C-422/14, p.ti da 50 a 54);
5.3. una tale interpretazione,
conforme alla citata giurisprudenza della Corte di Giustizia, comporta
il superamento della precedente della L. n. 223 del 1991, art. 24, anche
alla luce del D.Lgs. n. 151 del 1997, di attuazione alla
Direttiva comunitaria 26 giugno 1992, n. 56, nel senso che nel numero
minimo di cinque licenziamenti, ivi considerato come sufficiente ad
integrare l'ipotesi del licenziamento collettivo, non potessero
includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro,
ancorchè riferibili all'iniziativa del datore di lavoro (Cass.
6 novembre 2001, n. 13714; Cass. 22 gennaio 2007, n. 1334):
dovendosi intendere il termine licenziamento in senso tecnico, senza
potere ad esso parificare qualunque altro tipo di cessazione del
rapporto determinata (anche o soltanto) da una scelta del lavoratore,
come nelle ipotesi di dimissioni, risoluzioni concordate, o
prepensionamenti, anche ove tali forme di cessazione del
rapporto fossero riconducibili alla medesima operazione di riduzione
delle eccedenze della forza lavoro giustificante il ricorso ai
licenziamenti (Cass. 22 febbraio 2006, n. 3866; Cass. 29 marzo 2010, n.
7519);
5.4. la Corte territoriale ha violato il superiore
principio di diritto nell'escludere la rilevanza, ai fini del computo
dei lavoratori determinanti la configurabilità di un licenziamento
collettivo, di "alcune... risoluzioni consensuali" derivanti
"dalla mancata accettazione di un trasferimento" (così al penultimo
capoverso di pg. 30 della sentenza);
6. pertanto il sesto motivo
deve essere accolto, con rigetto del primo e inammissibilità degli
altri, con la cassazione della sentenza, in relazione al motivo accolto e
rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio secondo il
regime di legittimità alla Corte d'appello di Milano in
diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto
motivo, rigettato il primo e inammissibili gli altri; cassa la sentenza,
in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle
spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Milano in
diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 6 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020
***
Profilo autore
(Giovanni Dami)
LaPrevidenza.it, 17/08/2020