venerdì, 08 dicembre 2023

Legittimo il licenziamento per scarsa diligenza del dipendente inquadrato con mansioni superiori

Cassazione, sezione lavoro, sentenza 2.11.2017 n. 26091 - Giovanni Dami

 

Il caso preso in esame dai giudici di cassazione è riferito alla impugnazione del licenziamento di un dipendente di una sala Bingo inquadrato con mansioni superiori.
Il venir meno del rapporto di fiducia (contrattuale) è stato causato dai censurabili comportamenti di diversa natura del dipendente, che hanno determinato la soluzione di continuità del rapporto contrattuale a suo tempo instaurato.
Per quanto di interesse nella sentenza qui pubblicata, i giudici osservano che, il dipendente con mansioni superiori è tenuto ad operare con maggiore diligenza proprio in relazione alle responsabilità a lui assegnate e l'inosservanza di un adempimento previsto della norma che istituisce le sale Bingo (cfr. D.M. 29/2000) costituisce legittima motivazione del licenziamento.

(Giovanni Dami)

***

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Presidente - Dott. TORRICE Amelia - Consigliere - Dott. BLASUTTO Daniela - rel. Consigliere - Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - Consigliere - Dott. TRICOMI Irene - Consigliere - ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23700/2015 proposto da:  G.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBALONGA 7, presso lo studio dell'avvocato CLEMENTINO PALMIERO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti; - ricorrente - contro BINGO RITZ SOMALIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIVORNO N.6, presso lo studio dell'avvocato FRANCESCA TRAUZZOLA, rappresentata e difesa dall'avvocato MARIO FIACCAVENTO, giusta delega in atti; - controricorrente - avverso la sentenza n. 3562/2015 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 09/06/2015 R.G.N. 1879/2013; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/05/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'Avvocato CLEMENTINO PALMIERO; udito l'Avvocato MARIO FIACCAVENTO.

Fatto

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 3562/15, riformando la pronuncia di primo grado, in parziale accoglimento del gravame proposto da xxx s.r.l., ha dichiarato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato dalla società appellante a G.I., cui era stato addebitato di non avere trasmesso i dati di gioco al centro di controllo del Ministero delle Finanze nel periodo 26 luglio 2010-8 agosto 2010 e di essersi appropriata di mance destinate a tutti i dipendenti, nonchè della somma di Euro 20,00 facente parte di un premio dovuto ad un cliente.

2. Il Tribunale aveva accolto l'impugnativa del licenziamento, ritenendo che non fosse stata raggiunta la prova dell'imputabilità del primo addebito e che, quanto alle restanti contestazioni, non fossero sufficienti le risultanze della prova testimoniale.

3. La Corte di appello - per quanto ancora rileva nella presente sede - ha diversamente ritenuto, quanto al primo addebito, che:

- costituivano circostanze pacifiche, oltre che provate, il mancato invio dei dati di gioco al centro di controllo relativamente al periodo di cui alla contestazione disciplinare e l'intervenuta trasmissione globale, avvenuta soltanto il 9 settembre 2010;

- il Regolamento recante norme per l'istituzione del gioco "Bingo", contenuto nel D.M. n. 29 del 2000, del Ministero delle Finanze e nel Decreto Direttoriale del 17 settembre 2001 e successive modificazioni e integrazioni - recanti la disciplina dettagliata dei messaggi che ogni Sala Bingo deve inviare al Centro di controllo mediante infrastruttura telematica predisposta dal concessionario (ad inizio giornata per comunicare all'apertura della sala; al termine di ciascuna partita e comunque prima della trasmissione dei dati di quella successiva per comunicare i dati di dettaglio della partita; a fine giornata per comunicare la chiusura della sala), costituivano fonti normative dirette a disciplinare l'operatività del servizio e che la G. avrebbe dovuto conoscere ed applicare nella sua qualità di caposala, verificando che la trasmissione telematica dei dati avvenisse correttamente;

- d'altro canto, anche la declaratoria relativa al livello 1, in cui la G. era inquadrata, implica l'assunzione di funzioni di direzione esecutiva di carattere generale o di un settore organizzativo di notevole rilevanza dell'azienda;

- le giustificazioni addotte dalla G. erano inadeguate e inidonee ad escludere l'inadempimento contestato, poichè: a) la mancata tempestiva trasmissione dei dati aveva interessato un lungo ed ininterrotto periodo di tempo, iniziato ben prima la giornata dell'assenza della ricorrente (3 agosto 2010) e protrattosi per un cospicuo numero di giorni successivamente; b) la responsabile di sala ben poteva e doveva verificare il corretto invio dei dati di ciascuna giornata; c) il fatto che fossero in corso lavori sulle linee telefoniche doveva indurre la capo-sala ad una maggiore attenzione e diligenza in ordine al controllo dell'avvenuta trasmissione giornaliera dei dati e non la esimeva da responsabilità.

4. Quanto al secondo ordine di addebiti, relativi alle reiterate condotte di appropriazione di somme, la Corte ha osservato che:

- il Tribunale aveva omesso di valutare le dichiarazioni sottoscritte rilasciate da vari colleghi dell'appellata, tempestivamente prodotte dall'appellante, le quali potevano essere utilizzate quali elementi indiziari, suffragati dalla deposizione di A.R. escussa nel corso del giudizio di appello, la quale aveva descritto le modalità operative riguardanti la raccolta delle mance ed aveva confermato tanto i fatti appresi per conoscenza diretta, quanto le sequenze dei filmati visionati, relativi alle riprese effettuate a mezzo di telecamere installate nella sala gioco;

- anche a voler prescindere dai dati appresi solo in via indiretta dalla teste, il complesso di elementi probatori acquisiti consentiva comunque di ritenere dimostrata l'ascrivibilità alla G. degli addebiti di esame;

- in ogni caso, la violazione del divieto di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 4, costituiva eccezione formulata in termini del tutto generici, dovendo considerarsi ammissibile l'effettuazione di controlli diretti ad accertare condotte illecite del lavoratore (cosiddetti controlli difensivi); in particolare, l'installazione di telecamere all'interno di una Sala Bingo ha evidentemente la funzione di tutelare beni estranei rapporto di lavoro ed anche nel caso in esame il potere di controllo fu attuato ex post dal datore di lavoro, quando dalle dichiarazioni inviate da altri lavoratori erano emersi elementi di fatto tali da raccomandare l'avvio di un'indagine retrospettiva sulla condotta la G..

5. La Corte territoriale ha concluso che gli elementi acquisiti al giudizio erano sufficienti ad integrare la giusta causa di licenziamento, in quanto reiterati nel tempo e tali da denotare sia una grave negligenza nell'adempimento delle mansioni di competenza, sia una preordinata volontà di appropriarsi di beni altrui, e precisamente dei colleghi di lavoro e dei clienti, con conseguente grave pregiudizio anche per l'immagine della società; la previsione di cui all'art. 167, comma 5, CCNL include tra le infrazioni punibili con la sanzione espulsiva "l'asportazione del materiale dall'interno dell'azienda".

6. Per la cassazione di tale sentenza ricorre G.I. si con quattro motivi. Resiste con controricorso Bingo Ritz Somalia.

7. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

1. Preliminarmente, va disattesa l'eccezione di inesistenza della notifica del ricorso, sollevata dalla parte controricorrente, per essere la notifica stata effettuata presso il domiciliatario di appello e non presso il domiciliatario eletto ex art. 330 c.p.c., all'atto della notifica della sentenza impugnata.

2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui nella notificazione della sentenza la parte elegga domicilio a norma dell'art. 330 c.p.c., presso un professionista diverso da quello che l'aveva difesa e presso il quale essa aveva eletto domicilio nel precedente corso di giudizio, senza espressamente revocare anche il mandato defensionale rilasciato al primo avvocato per tutti gli eventuali gradi del medesimo giudizio, la notifica dell'atto d'impugnazione eseguita presso lo studio di quel primo avvocato è nulla, ma non giuridicamente inesistente; con la conseguenza che il relativo vizio è sanato dalla costituzione nel giudizio d'impugnazione della parte cui la notificazione era destinata (Cass. 2759 del 2012; v. pure Cass. n. 13477 del 2012).

3. Il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 434 c.p.c., nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. c) bis, conv. in L. n. 134 del 2012, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, censura la sentenza per avere respinto l'eccezione di genericità dell'appello, sollevata in sede di memoria di costituzione in fase di gravame. Si deduce che l'atto di appello della società Bingo Ritz Somalia era limitato ad una generica censura dei valutazione dei fatti risultanti dall'intervenuta istruzione probatoria, priva dell'individuazione puntuale dei passaggi della sentenza appellata e della soluzione alternativa che si proponeva con l'impugnazione medesima.

4. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la Corte d'appello pronunciato in ordine ad una fattispecie diversa da quella contestata. Il primo ordine di addebiti concerneva la mancata trasmissione dei dati di gioco al centro di controllo, sul presupposto che tale incombente rientrasse tra i compiti a carico della ricorrente. Il Giudice di primo grado aveva ritenuto il difetto di prova in ordine all'imputabilità del fatto alla ricorrente, non essendo la stessa tenuta ad inserire i dati e a trasmetterli, ma avvenendo il tutto automaticamente. La Corte territoriale ha invece giudicato in ordine al presunto inadempimento di un onere di controllo delle apparecchiature e dunque ha pronunciato su un fatto diverso da quello contestato.

5. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 436 c.p.c., per avere la sentenza impugnata valorizzato, quanto al secondo ordine di addebiti, dichiarazioni scritte che non avrebbero potuto essere utilizzate per essere la parte convenuta decaduta dalla relativa produzione ex art. 416 c.p.c., comma 3.

6. Con il quarto motivo si denuncia violazione falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 4, nonchè dell'art. 431 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la sentenza valorizzato deposizioni testimoniali rese in secondo grado dalla teste A., aventi ad oggetto fatti non percepiti in via diretta, ma appresi in occasione della visione di registrazioni audiovisive da telecamere installate sul posto di lavoro. Il Giudice di appello avrebbe dovuto ritenere l'illiceità di tali riprese e quindi la loro inutilizzabilità in giudizio. 7. Il primo motivo è inammissibile. Premesso che i requisiti di contenuto della "motivazione" dell'appello, richiesti dall'art. 434 c.p.c. (nella formulazione, applicabile "ratione temporis", introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, conv. dalla L. n. 134 del 2012), pongono a carico dell'appellante un preciso ed articolato onere processuale, compendiabile nella necessità che l'atto di gravame, per sottrarsi alla sanzione di inammissibilità, offra una ragionata e diversa soluzione della controversia rispetto a quella adottata dal primo giudice (Cass. n. 1772 del 2016, n. 2143 del 2015; v. pure Cass. n. 10916 del 2017), va rilevato che dalla sintesi dei motivi di appello contenuta nella sentenza impugnata (pagg. 3 e 4) risulta un'articolazione di censure, il cui difetto di specificità rispetto alla pronuncia di primo grado avrebbe dovuto essere censurata in modo puntuale dall'odierna ricorrente mediante la trascrizione del contenuto della pronuncia di primo grado, non potendosi valutare il grado di specificità del motivo se non attraverso il suddetto confronto. Il ricorso è del tutto generico al riguardo e viola il canone di cui all'art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4.

8. Il secondo motivo è infondato. Nell'ambito dell'accertamento giudiziale avente ad oggetto la verifica della fondatezza o meno della contestazione vertente sull'inadempimento dell'obbligo di trasmissione dei dati di gioco rientrava anche l'individuazione dei compiti e delle funzioni propri della qualifica di inquadramento e della posizione di responsabilità rivestita dalla G. nella sua qualità di caposala. In tale contesto la Corte territoriale ha accertato, con statuizione che non ha formato oggetto di specifiche censure, che la qualifica di inquadramento e la posizione di responsabilità della G. comprendevano anche compiti di controllo riguardanti la correttezza e la completezza delle comunicazioni che giornalmente dovevano essere effettuate, per via telematica, al Centro di controllo. La Corte di appello ha altresì puntualmente disatteso tutti i rilievi difensivi svolti dalla lavoratrice al riguardo.

9. Il terzo motivo è inammissibile. La Corte di appello ha riferito che la produzione fu tempestiva. A fronte di tale affermazione, la contestazione di tardività è del tutto generica, priva di qualsiasi riferimento alla sequenza processuale e ai momenti dell'introduzione in giudizio delle relative allegazioni e produzioni e viola il canone di cui all'art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4.

10. Anche il quarto motivo è inammissibile. La Corte di appello ha fondato il proprio convincimento non soltanto sui dati che la teste aveva appreso in via indiretta attraverso la visione dei filmati, ma anche sui fatti da questa riferiti per percezione e conoscenza diretta, tali da avvalorare gli elementi indiziari costituiti dalle dichiarazioni scritte degli altri dipendenti, acquisite agli atti di primo grado. Tale rilievo ha carattere assorbente di ogni altra censura.

11. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

12. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, il rigetto del ricorso) per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2017
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