Il periodo di assenza dal lavoro per tecnopatia si detrae dal periodo di comporto se c'è responsabilità del datore di lavoro
Corte di appello di Firenze sezione lavoro, sentenza 17.9.2020 n. 438
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano La Corte di Appello di Firenze Sezione lavoro
composta da: dr. Maria G. D'Amico Presidente dr. Maria Lorena Papait Consigliera dr. Roberta Santoni Rugiu Consigliera rel. nella causa n. 334 / 2020 RG promossa da spa POSTE ITALIANE Avv. Giampiero Falasca, Giuliana Patitucci reclamante principale / reclamata incidentale contro C.A. Avv. Silvia Di Gaddo, Michela Matarazzo reclamata principale / reclamante incidentale avente ad oggetto: reclamo ai sensi della L. 92/2012 della sentenza n. 47/2020 del Tribunale di Grosseto, quale giudice del lavoro, pubblicata il 5.5.2020 all'esito della camera di consiglio dell'udienza del 15 settembre 2020, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Questa in sintesi la vicenda controversa, ricostruita sugli atti ed i documenti delle parti, nonche' con i chiarimenti resi dai procuratoti delle parti all'udienza odierna avanti al collegio:
- C.A. era dipendente a tempo indeterminato di Poste Italiane dal 2008, assunta come "Addetta alle attivita' di produzione" presso il centro di meccanizzazione postale di Firenze
- nel luglio 2016 subiva un infortunio sul lavoro che le provocava lesioni permanenti al rachide lombare, ed era quindi dichiarata inidonea in modo permanente alla movimentazione manuale dei carichi ed al lavoro notturno come "Addetta alle attivita' di produzione", ma idonea con prescrizioni come "Addetta alle lavorazioni interne", per cui il medico competente consigliava la sua applicazione allo sportello "inesitate" o alla sezione "registrate"
- di conseguenza, nel settembre 2016 essa veniva assegnata allo sportello "inesitate" del Centro di Meccanizzazione postale di Grosseto ove essa prendeva servizio
- salvo brevi intervalli, dal novembre 2016 al maggio 2018 rimaneva assente per malattie comuni (eventi indennizzati dall'Inps, e non dall'Inail)
- nel lungo corso di tale assenza 2016/2018, lo sportello "inesitate" veniva soppresso, motivo per cui al suo rientro in servizio nel maggio 2018 essa veniva adibita al settore transito - carico / scarico della posta come "Addetta alle lavorazioni interne" (il reparto era dedicato a suddividere la posta, registrare le raccomandate e posizionarle sui roll per la pesatura, inviare i pacchi e gli stessi roll ai furgoni di spedizione e recapito)
- con lettera del 17 dicembre 2018 la C.A. era licenziata per superamento del periodo di comporto (essendo pacifico che essa fosse effettivamente stata assente per malattia per un numero di giorni che superavano il relativo periodo previsto dalla disciplina collettiva applicata al caso in esame).
La C.A. impugnava il licenziamento al Tribunale di Grosseto, con ricorso ex Legge Fornero contestando che Poste Italiane avesse incluso nel computo anche l'assenza (dal 22 novembre all'11 dicembre) successiva all'infortunio sul lavoro del 21 novembre 2018 che invece non doveva essere computata perche' lo stesso evento era imputabile a responsabilita' datoriale.
Il Tribunale di Grosseto, esaminati gli informatori dedotti dalle parti, con l'ordinanza sommaria del 17.12.2019 accoglieva il ricorso e, accertata la nullita' del licenziamento, ordinava la reintegra della lavoratrice ed il pagamento delle retribuzioni globali di fatto maturate dal giorno del licenziamento alla effettiva reintegra oltre accessori, con il versamento dei contributi dovuti per legge per il medesimo periodo.
Premesso che in materia di responsabilita' per violazione dell'obbligo di protezione di cui all'art. 2087 cc l'onere della prova e' a carico del datore, secondo il giudice era pacifico sia che la ricorrente si fosse infortunata mentre spostava una cassetta della posta durante il proprio turno pomeridiano del 21 novembre 2018 (non essendo stato chiarito soltanto se si trattasse di una cassetta piena o vuota, e quindi quale fosse di conseguenza il suo peso), sia che l'assenza 22 novembre / 11 dicembre derivasse dallo stesso infortunio. Era controverso esclusivamente il fatto che la manovra compiuta nello spostare la cassetta rappresentasse adempimento di disposizioni datoriali (secondo la prospettazione della lavoratrice), o piuttosto condotta abnorme ed imprevedibile della dipendente, in violazione delle prescrizioni datoriali che prendevano atto di limitazione mediche (secondo la prospettazione della datrice).
La questione controversa si risolveva quindi in fatto alla luce della prova orale assunta nella stessa fase sommaria, che dimostrava una concreta modalita' di organizzazione del lavoro, e quindi anche della prestazione della ricorrente, diversa da quanto aveva sostenuto la datrice e non conforme agli obblighi di protezione.
In particolare, secondo Poste Italiane, la ricorrente si doveva occupare solamente di tracciare con la pistola wireless la posta, ed inserirla in un casellario suddiviso a scomparti, senza effettuare quindi alcuna movimentazione e sollevamento di pesi, affidati invece ai colleghi. Per contro, la prova orale aveva dimostrato come abitualmente, e quindi anche in occasione dell'infortunio, la ricorrente fosse addetta pure a movimentare carichi sotto forma di spostamento di cassette di posta, di peso variabile a seconda delle loro dimensioni e del loro contenuto. Poiche' le attivita' del turno pomeridiano rappresentate dai testi includevano anche il riempimento di tali contenitori ed il loro spostamento, considerando altresi' che tutti gli addetti al reparto di appartenenza della ricorrente avevano le medesime limitazioni funzionali di quest'ultima, accadeva quindi che le attivita' di transito con carico e scarico della posta fossero svolte da ciascuno di loro, sia da solo sia in aiuto reciproco fra i pochi addetti, in quanto tutti soggetti alle medesime limitazioni.
Era quindi irrilevante che nessuno dei colleghi in servizio nel medesimo pomeriggio dell'infortunio (capo squadra D.F., collega P.) avesse assistito all'evento e fosse in grado di riferirne la specifica dinamica. Era altresi' irrilevante che la cassetta della posta che la ricorrente stava spostando nel momento in cui si era fatta male fosse vuota (come la stessa aveva dichiarato all'Inail, che percio' aveva negato la causa violenta respingendo la domanda) oppure fosse piena (come invece aveva rettificato impugnando il licenziamento in giudizio).
Piuttosto, era decisivo che Poste Italiane avesse mal organizzato il funzionamento dell'intero reparto, e quindi anche la prestazione della ricorrente, poiche' se da un lato le necessarie modalita' concrete delle mansioni di tutti gli addetti richiedevano anche di spostare e sollevare dei carichi, dall'altro lato nessuno dei dipendenti interessati avrebbero dovuto farlo secondo le rispettive prescrizioni mediche. La oggettiva condizione del settore transito carico / scarico (combinazione fra funzioni aziendali e tipologia di organico) rendeva insomma inevitabile che nel turno pomeridiano i dipendenti operassero in violazione delle rispettive prescrizioni.
Poste Italiane dava esecuzione all'ordine giudiziale di reintegra e risarcimento del danno nello stesso mese di dicembre 2019. Nel contempo opponeva il provvedimento sommario al Tribunale di Grosseto che, con la sentenza reclamata, lo confermava nell'ambito dell'impostazione in diritto e della ricostruzione in fatto gia' svolte nella ordinanza sommaria.
Secondo il Tribunale, non si poteva dubitare dell'effettivo verificarsi dell'infortunio, a prescindere dal fatto che nessun collega avesse puntualmente assistito all'evento, poiche' la prova orale aveva consentito di ricostruire che la lavoratrice si era sentita male per avere sollevato una cassetta di posta. Ne' si poteva concordare con Poste Italiane secondo la quale la movimentazione dei carichi effettuata dalla lavoratrice fosse condotta abnorme ed imprevedibile.
Prima di tutto, Poste Italiane nemmeno aveva documentato la pretesa disposizione scritta secondo la quale alla lavoratrice sarebbe stata preclusa ogni movimentazione dei carichi (provvedimento del maggio 2018 di F.N., Direttore del CDM di Grosseto e comunicato alla interessata ed ai capi squadra S. e D.F., poi inspiegabilmente smarrito da tutti).
Comunque era decisivo che - per la concreta modalita' di organizzazione e funzionamento del reparto di appartenenza - tale prescrizione non poteva essere rispettata, anzi era necessariamente violata. Infatti, era pacifico che tutti gli addetti fossero soggetti alle medesime limitazioni funzionali e che, tuttavia, per consentire l'ordinario funzionamento del reparto svolgessero, sia da soli che in aiuto reciproco, anche le mansioni precluse dalle stesse limitazioni.
L'opposizione era respinta anche per quanto riguardava la mancata detrazione di aliunde perceptum e percipiendum, che il datore di lavoro aveva richiesto in modo generico e senza assolvere l'onere della prova con riferimento a nuove occupazioni e relative retribuzioni percepite dalla ex dipendente dopo il licenziamento, non potendosi accogliere l'ordine di esibizione ex art. 210 cpc formulato in proposito.
POSTE ITALIANE reclamava la sentenza, censurandola nel merito con i seguenti motivi.
1) Nessun evento infortunistico si era verificato durante il turno pomeridiano di servizio del 21 novembre 2018
Prima di tutto, il Tribunale avrebbe errato ritenendo pacifico il preteso infortunio sul lavoro avvenuto nel turno pomeridiano del 21 novembre 2018, nonostante che la datrice avesse sempre espressamente contestato sia il verificarsi in se' di un incidente, sia la sua qualificazione in termini di infortunio lavorativo.
Del resto, nel respingere la domanda ministrativa della reclamata, era stato lo stesso Inail ad affermare che l'assenza dal lavoro non dipendesse da una causa violenta (infortunio lavorativo), bensi' da una malattia comune. Invece, la giurisprudenza di legittimita' richiedeva che fosse sempre il lavoratore a provare la verificazione di un infortunio sul lavoro, dimostrazione che nel caso concreto non era stata fornita.
2) Nessun evento traumatico, ed a maggior ragione lesivo, si era verificato durante il medesimo turno pomeridiano del 21 novembre 2018, ed in ogni caso mancava il nesso eziologico fra il preteso incidente e la successiva assenza dal servizio dal 22 novembre all'11 dicembre.
Sempre in conformita' alla decisione negativa dell'Inail, Poste Italiane aveva escluso il verificarsi di un infortunio collegato alle mansioni della reclamata che fosse causa della successiva assenza dal lavoro, a sua volta decisiva per il superamento del periodo di comporto. In proposito, era stata contraddittoria la stessa versione fornita dalla lavoratrice che inizialmente aveva riferito all'istituto che la cassetta movimentata era vuota, mentre solo per la prima volta in giudizio aveva affermato che sarebbe stata piena.
In ogni caso, non si capiva come lo spostamento di una cassetta vuota potesse ritenersi anche solo astrattamente idoneo a provocare il trauma, e la successiva assenza fra novembre e dicembre 2018.
3) Non vi era alcun obbligo di comunicazione scritta alla lavoratrice delle limitazioni impostele in conseguenza delle prescrizioni mediche, ed era errato ritenere che la datrice avesse male organizzato la sua prestazione.
Era pacifico che da luglio 2016 la reclamata fosse inidonea alle mansioni di addetto alla produzione e quindi in modo permanente alla movimentazione dei carichi, ma idonea a mansioni di addetta alle lavorazioni interne compatibili con le sue patologie. In un primo momento tali prescrizioni si erano tradotte nella assegnazione allo sportello "inesitate" e poi, dopo la soppressione di quest'ultimo, nella assegnazione alle attivita' di ripartizione della posta all'interno dell'ufficio.
Una volta rientrata in servizio nel maggio 2018 la reclamata, ed i suoi capi squadra S. e D.F., avevano ricevuto la comunicazione del direttore Niccolai che le vietava ogni attivita' di movimentazione dei carichi. Poste Italiane non aveva piu' rinvenuto copia di tale comunicazione, motivo per cui aveva chiesto che il Tribunale ne ordinasse la esibizione a carico della dipendente, istanza che erroneamente era stata respinta sul presupposto che il documento rientrasse esclusivamente nell'onere della prova a carico del datore di lavoro, come
Pagina 6 di 17 erroneamente era stata respinta la richiesta di prova testimoniale formulata in alternativa all'ordine di esibizione. Per contro, nessuna norma legale o collettiva imponeva al datore la comunicazione scritta delle mansioni assegnate al singolo dipendente o delle relative modalita' di svolgimento di riflesso ad eventuali prescrizioni mediche.
Inoltre, il Tribunale aveva errato affermando che la movimentazione dei carichi da parte della reclamata si dovesse ritenere per il solo fatto (pacifico) che sia lei che gli altri addetti al servizio pomeridiano fossero tutti oggetto delle medesime limitazioni funzionali, le quali avrebbero impedito a ciascuno attivita' nel contempo invece indispensabili allo svolgimento del servizio.
Si trattava per contro di congetture, essendo certo che la movimentazione manuale dei carichi non solo era stata formalmente inibita alla reclamata, ma nemmeno le era richiesta o consentita di fatto dai superiori. Il primo giudice aveva male inteso la stessa prova orale, secondo la quale doveva piuttosto ritenersi che la reclamata fosse addetta esclusivamente a tracciare con modalita' wireless i dispacci speciali in partenza, gia' caricati su contenitori destinati al trasporto dai caposquadra o dai colleghi, e quindi ad incasellare la corrispondenza nell'apposita struttura interna all'ufficio.
Del resto, erano stati proprio i colleghi ed i superiori della reclamata a riferire che tutti erano al corrente della limitazione a lei applicata in materia di movimentazione, al punto tale che la sentivano riferire che si occupava di spostare le cassette contenenti la posta pur sapendo che non avrebbe dovuto farlo (t. P.), o la richiamavano al divieto quando la vedevano spostare di sua iniziativa le stesse cassette (t. D.F.). Insomma, superiori e colleghi tenevano in considerazione le prescrizioni mediche molto piu' della stessa interessata, la quale invece sollevava i carichi, ignorando spontaneamente le limitazioni a lei ben note, con iniziative arbitrarie e non richieste che in nessun modo potevano ritenersi conseguenza della violazione datoriale dell'obbligo di protezione ex art. 2087 cc.
4) La condotta abnorme tenuta dalla lavoratrice in occasione dell'incidente era causa esclusiva dell'evento, ed esonerava la datrice da ogni responsabilita', imponendo quindi di includere la conseguente assenza dal lavoro nel calcolo del comporto.
Poiche' nessuno le aveva chiesto di spostare la cassetta (peraltro vuota, circostanza che di per se' rendeva l'eventuale manovra del tutto innocua) ed anzi tutti le avevano sempre detto di non farlo, la reclamata aveva agito in consapevole contrasto con le disposizioni datoriali, e le concrete direttive dei superiori, dal momento che tutte le attivita' di caricamento dei pesi nel reparto erano affidate agli altri colleghi, con esclusione della stessa reclamata.
La circostanza che gli altri addetti allo stesso reparto fossero tutti i soggetti alle stesse prescrizioni limitative della reclamata era irrilevante, avendo la collega P. riferito che essa invece personalmente rispettava le limitazioni non spostando mai le cassette di posta (come avrebbe dovuto fare la stessa reclamata).
E ancora, secondo i testi P. e D.F., nel turno pomeridiano del 28 novembre 2018 nessuno aveva disposto che la reclamata movimentasse le cassette di posta, manovra che invece essa avrebbe compiuto "non sapendo cosa fare" mentre era in attesa di corrispondenza da lavorare altrimenti, e cio' nonostante che la collega P. le avesse espressamente richiesto un aiuto di altro tipo, mentre il caposquadra D.F. l'avesse destinata a ripartire la corrispondenza.
Insomma, era stata una iniziativa individuale dell'interessata ancora piu' imprevedibile del solito, dal momento che non rappresentava adempimento di alcuna richiesta implicita o esplicita in qualche modo connessa al servizio.
5) Tutto cio' premesso, doveva quindi ritenersi superato il periodo di comporto.
Poiche', come gia' argomentato nei precedenti motivi di reclamo, non si era verificato alcun incidente che potesse qualificarsi come infortunio sul lavoro (come ritenuto dall'Inail), e comunque eventuali incidenti sarebbero stati la conseguenza di condotte abnormi della lavoratrice, era inevitabile concludere che il periodo di comporto fosse stato superato, avendo lo stesso Tribunale riconosciuto essere pacifico che il periodo 22 novembre / 11 dicembre era decisivo a tal fine.
6) Il primo giudice aveva errato respingendo l'ordine di esibizione ex art. 210 cpc in relazione alla comunicazione scritta indirizzata alla reclamata ed ai suoi capi squadra in occasione del suo rientro in servizio nel maggio 2018 da parte del direttore della sede di Arezzo,
7) In subordine, il primo giudice aveva errato negando la detrazione di aliunde perceptum e percipiendum, invocata dalle difese datoriali.
C.A. si costituiva chiedendo il rigetto del reclamo datoriale.
Quanto al motivo 7) di reclamo in tema di aliunde, ribadiva la correttezza della decisione del Tribunale che aveva respinto ogni accertamento in proposito, evidenziando che il datore di lavoro non aveva assolto l'onere di allegazione e prova.
Aggiungeva che nel periodo di estromissione (dal licenziamento del dicembre 2018 alla reintegra e risarcimento del dicembre 2019) aveva percepito esclusivamente la NASPI, importo non detraibile dal risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, dal momento che una volta ottenuta la reintegra con provvedimento giudiziale le somme percepite dal lavoratore a titolo di indennita' di disoccupazione sarebbero diventate indebite - e quindi da restituire all'Inps.
In via incidentale, la lavoratrice chiedeva la riforma della sentenza reclamata in punto spese.
Il primo giudice aveva liquidato in modo eccessivamente ristretto le spese di lite della fase sommaria (. 1800 oltre accessori) e della fase di opposizione (. 2.000 oltre accessori).
Per contro, trattandosi di controversia di valore indeterminabile, vertendo in materia di reintegra nel posto di lavoro, i compensi avrebbero dovuto essere liquidati ex DM 55/2014 in relazione agli importi medi, o quantomeno agli importi minimi, giungendosi in tutti i casi a cifre ben piu' significative di quelle oggetto della decisione.
RECLAMO PRINCIPALE
Motivi da 1) a 6)
Il reclamo datoriale puo' essere trattato in modo unitario quanto ai motivi da 1) a 3), con i quali Poste Italiane negava la verificazione di un effettivo infortunio nel turno pomeridiano del 21 novembre 2018, nonche' ai motivi 4) e 5) con i quali Poste Italiane affermava che comunque l'evento deriverebbe da condotta abnorme della lavoratrice tenuta in violazione di disposizioni datoriali che le vietavano ogni movimentazione dei carichi (a loro volta oggetto della comunicazione del maggio 2018, in relazione alla quale l'istanza di esibizione ribadita nel motivo 6).
Prima di tutto, va chiarita la ripartizione dell'onere della prova in materia di computabilita' nel periodo di comporto delle assenze per malattia derivanti da infortunio sul lavoro.
Da ultimo, secondo Cass. n. 2527/2020 " la fattispecie di recesso del datore di lavoro in caso di assenze determinate da malattia del lavoratore si inquadra nello schema previsto e sia soggetta alle regole dettate dall'art. 2110 cc, che prevalgono, per la loro specialita', sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilita' parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, con la conseguenza che, in dipendenza di tale specialita' e del contenuto derogatorio delle suddette regole, il datore di lavoro, da un lato, non puo' unilateralmente recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilita' dell'assenza (cosiddetto periodo di comporto), predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e, dall'altro, che il superamento di quel limite e' condizione sufficiente di legittimita' del recesso, nel senso che non e' all'uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo ne' della sopravvenuta impossibilita' della prestazione lavorativa, ne' della correlata impossibilita' di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali (Cass. n. 5413 del 2003). Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell'art. 2110 cc, sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinche' l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non e' sufficiente che la stessa abbia un'origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma e' necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilita' del datore di lavoro ex art. 2087 cc (Cass. n. 5413 del 2003 cit.; Cass. n. 22248 del 2004; Cass. n. 26307 del 2014; Cass. 15972 del 2017; Cass. n. 26498 del 2018). Piu' esattamente, la computabilita' delle assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale nel periodo di comporto non si verifica nelle ipotesi in cui l'infortunio sul lavoro o la malattia professionale non solo abbiano avuto origine in fattori di nocivita' insiti nelle modalita' di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell'ambiente di lavoro, e siano pertanto collegate allo svolgimento dell'attivita' lavorativa, ma altresi' quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa, per essere egli inadempiente all'obbligazione contrattuale a lui facente carico ai sensi dell'art. 2087 cc, norma che gli impone di porre in essere le misure necessarie secondo la particolarita' del lavoro, l'esperienza e la tecnica - per la tutela dell'integrita' fisica e della personalita' morale del lavoratore, atteso che in tali ipotesi l'impossibilita' della prestazione lavorativa e' imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione e' destinata (Cass. n. 7037 del 2011) >.
E ancora, sulla ripartizione dell'onere della prova in materia di responsabilita' per infortunio sul lavoro, da ultimo secondo Cass. n. 26495/2018 "l'art. 2087 cc non configura un'ipotesi di responsabilita' oggettiva, in quanto la responsabilita' del datore di lavoro - di natura contrattuale - va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attivita' lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocivita' dell'ambiente di lavoro, nonche' il nesso tra l'una e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova, sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno .. e' il datore che deve dimostrare di avere rispettato l'obbligo di protezione ex art. 2087 cc >.
Cio' premesso, e' pacifico che nel caso in esame le essenze per malattia fossero in numero complessivo di per se' sufficiente a consentire il recesso datoriale.
La lavoratrice impugnava il recesso chiedendo di escludere dal computo il solo periodo 22 novembre - 11 dicembre 2018 perche' conseguente ad infortunio sul lavoro avvenuto per violazione datoriale dell'obbligo di protezione (ed e' pacifico altresi' che escludendo tale periodo dal compiuto, il complessivo numero di assenze per malattia scendesse al di sotto del periodo di comporto).
Quindi, in base alla giurisprudenza ora richiamata, premessa la verificazione di una assenza per malattia superiore al periodo di comporto, la lavoratrice doveva dimostrare che alcuni di tali giorni andavano esclusi dal computo in quanto conseguenti ad assenze verificatesi a causa della nocivita' dell'ambiente di lavoro, ed a sua volta era il datore doveva dimostrare di avere assolto l'obbligo di protezione ex art. 2087 cc.
Il collegio concorda con il Tribunale sul fatto che la lavoratrice abbia assolto il proprio onere della prova, mentre lo stesso risultato non sia stato raggiunto dalla datrice.
Prima di tutto, non si puo' dubitare che nel turno pomeridiano del 21 novembre 2018 la lavoratrice reclamata si fosse infortunata mentre movimentava una cassetta di posta - compito che oggettivamente faceva parte delle funzioni del reparto transito carico / scarico di appartenenza, dedicato a suddividere la posta, registrare le raccomandate e posizionarle sui roll per la pesatura, inviare i pacchi e gli stessi roll ai furgoni di spedizione e recapito.
La circostanza era sempre stata riferita dall'interessata, sia nell'immediato al pronto soccorso ove era trasportata dall'ambulanza chiamata dagli stessi colleghi in conseguenza del suo malore (vedi cartella clinica PS, doc. 2 ricorso sommario), sia in seguito nella domanda amministrativa all'Inail (vedi certificato Inail, doc. 3 ricorso sommario).
Invece, come evidenziato nella stessa sentenza reclamata, le versioni della lavoratrice divergevano esclusivamente sulla circostanza che la cassetta di posta movimentata fosse piena (doc. 2) o vuota (doc. 3), ovvero su quanti chili pesasse.
Quindi, il fatto che nessuno dei presenti in reparto durante il medesimo turno pomeridiano (collega P. e caposquadra D.F.) avesse visto il gesto materiale di movimentazione della cassetta di posta non poteva portare ad escludere che tale fosse stata la dinamica dell'incidente.
Del resto, la collega P. confermava comunque di avere saputo fin da subito che la reclamata si era sentita male mentre spostava una cassetta di posta (vedi dichiarazioni P. raccolte in fase sommaria), aggiungendo che si trattava di una cassetta di quelle grandi (50 x 50 cm), diversa da quelle piccole che la C.A. spostava di solito da sola.
Analogamente, anche il capo squadra D.F. ribadiva la medesima affermazione, riferendo che il giorno del fatto la P. era venuta a cercarlo per dirgli che la reclamata si era appena sentita male mentre spostava una cassetta di posta (vedi dichiarazioni D.F. raccolte in fase sommaria), limitandosi egli ad aggiungere di non ricordare se la cassetta movimentata nell'occasione fosse piena o vuota.
E ancora, le stesse difese datoriali, diffusamente ribadite nel presente reclamo, piu' che negare l'infortunio come dinamica materiale (spostamento della cassetta e conseguente insorgenza del dolore) insistevano nel senso che non si potesse parlare di vero e proprio infortunio perche' l'Inail aveva negato la causa violenta, riconducendo la malattia ad origine comune, e smentendo quindi la origine professionale.
Ma anche quest'ultima circostanza e' irrilevante, a fronte della giurisprudenza di legittimita' (Cass. n. 10572/2019, e precedenti conformi ivi richiamati) secondo la quale l'accertamento negativo effettuato dall'Istituto previdenziale nell'ambito del proprio procedimento amministrativo non preclude al giudice di verificare se le assenze siano imputabili al datore di lavoro. Va considerato fra l'altro che, da un lato, la lavoratrice reclamata sarebbe ancora nei termini di legge (3 anni e 150 giorni dall'infortunio ex art. 112 TU Inail) per introdurre nei confronti dell'istituto il giudizio teso ad ottenere le prestazioni per la inabilita' temporanea, e che, dall'altro lato, il diniego dell'Inail aveva portato comunque al riconoscimento dell'assenza 22 novembre 11 dicembre come malattia, seppur comune.
Nemmeno il dubbio relativo al fatto che la cassetta movimentata nell'occasione dalla reclamata fosse piena o vuota puo' portare a negare la qualificazione dell'evento in termini di infortunio (di nuovo a prescindere dalla valutazione amministrativa dell'Inail che, basandosi sulla dichiarazione che la cassetta fosse vuota, aveva escluso la causa violenta, requisito legale delle prestazioni per inabilita' temporanea da infortunio).
E' pacifico infatti che fin dal 2016 la lavoratrice reclamata fosse esentata da ogni movimentazione dei carichi, in quanto gia' vittima di un precedente infortunio sul lavoro che le aveva provocato una condizione di minorata resistenza dell'apparato osteoarticolare. Si trattava infatti dei postumi permanenti al rachide lombare sulla base dei quali aveva ottenuto:
- nel 2016 la prescrizione del medico competente che le inibiva qualsiasi movimentazione di pesi
- nel 2018 le disposizioni del Direttore della sede di Arezzo che la destinava a compiti del tutto diversi, e privi di ogni rischio per il rachide lombare.
Insomma, viste le lesioni preesistenti nel distretto interessato, potevano rivelarsi pericolose non solo ripetute manovre di sollevamento e spostamento di pesi, ma anche occasionali manovre di spostamento di contenitori seppur non pesanti (come confermato dal fatto che sia il medico competente nel 2016, che il Direttore nel 2018, avevano categoricamente escluso che la reclamata le potesse compiere).
Il collegio concorda con il Tribunale anche nel superare le difese datoriali secondo le quali le lesioni si sarebbero verificate in conseguenza di una condotta abnorme della lavoratrice, in quanto lo spostamento della cassetta sarebbe avvenuto in violazione sia delle generali prescrizioni datoriali che le vietavano ogni movimentazione, sia delle specifiche disposizioni ricevute quel pomeriggio che lo avrebbero destinata a compiti diversi, e non pericolosi.
E' vero che, come sostenuto dalla stessa datrice, la reclamata era categoricamente esentata da qualsiasi movimentazione di carichi, motivo per cui la comunicazione del maggio 2018 del direttore l'aveva destinata in modo esclusivo ad attivita' prive di ogni rischio per l'apparato osteoarticolare gia' leso dal precedente infortunio.
Tuttavia, vi sono decisivi argomenti di fatto per ritenere che la movimentazione di carichi effettuata dalla reclamata in occasione dell'infortunio non potesse qualificarsi come condotta abnorme, bensi' appartenesse alle mansioni ordinarie che le venivano comunque richieste in reparto.
A prescindere dal fatto che il pomeriggio del 21 novembre 2018 la movimentazione della cassetta che si rivelo' fatale fosse stata decisa dalla lavoratrice (per completare le operazioni di ripartizione della posta con svuotamento del casellario e collocazione del materiale nella cassetta da spostare, vedi versione oggetto delle difese giudiziali della reclamata), e non fosse oggetto di uno specifico ordine datoriale (vedi dichiarazioni rese dalla collega P. e dal caposquadra D.F. nella fase sommaria), rimane decisivo il fatto che la movimentazione dei carichi appartenesse comunque ai compiti che frequentemente la reclamata eseguiva, di sua iniziativa ma in vista dei superiori, su richiesta dei colleghi del reparto e addirittura dello stesso caposquadra.
La circostanza - che giustamente il Tribunale riteneva decisiva si spiega semplicemente perche' tutti gli addetti al reparto di appartenenza della reclamata condividevano le sue medesime limitazioni funzionali, oggetto di analoghe prescrizioni del medico competente.
E' pacifico che ne' la reclamata, ne' la collega P. ne' il caposquadra D.F. avrebbero potuto movimentare alcun carico per l'intero turno di servizio, circostanza che evidentemente avrebbe di per se' paralizzato il funzionamento del reparto di appartenenza.
Ma le dichiarazioni di P. e D.F. ricostruivano una diversa modalita' di organizzazione del lavoro di quel reparto per cui - nonostante che tutti gli addetti fossero consapevoli delle prescrizioni mediche, formalmente recepite dalla stessa datrice, per cui nessuno di loro avrebbe dovuto movimentare carichi di sorta per l'intero turno di servizio - di fatto la movimentazione era eseguita da ciascuno di loro, o individualmente o in gruppo quando il peso era di maggiore impegno.
In particolare D.F., premesso che la reclamata aveva delle limitazioni per cui avrebbe dovuto solo smistare la corrispondenza, aggiungeva tuttavia che capitava che lei stessa spostasse anche le cassette di posta, operando da sola quando non le riteneva troppo pesanti, oppure per dare una mano allo stesso capo squadra, il quale a sua volta chiedeva a lei e/o a P. di intervenire in aiuto reciproco in caso di contenitori di maggior impegno.
Analogamente la collega P., ribadito che la reclamata aveva le stesse limitazioni, riconosceva che le capitava comunque di spostare delle cassette, sia da sola sia in aiuto dei colleghi, anche su richiesta del caposquadra.
In conclusione, la circostanza che di fatto il funzionamento ordinario del reparto si basasse anche sulla movimentazione dei carichi da parte di tutti coloro che (la reclamata come gli altri addetti) avrebbero dovuto essere esentati sulla base di prescrizioni mediche, recepite in disposizioni della stessa datrice, impone di concludere che la manovra pericolosa compiuta in occasione dell'infortunio non fosse una iniziativa imprevista ed imprevedibile della lavoratrice, che avrebbe cosi' deliberatamente violato prescrizioni datoriali, bensi' esecuzione di una ordinaria modalita' di lavoro, consolidata in sede aziendale nonostante le contrarie, formali, disposizioni.
Motivo 7)
Anche l'ultimo motivo di reclamo datoriale e' infondato.
Come appurato nel confronto fra le procuratrici delle parti alla udienza odierna, per l'intero periodo di estromissione dal lavoro (dal licenziamento di dicembre 2018 alla reintegra di dicembre 2019), la reclamata aveva percepito la sola NASPI.
Nel medesimo arco di tempo non aveva svolto alcuna altra attivita' di lavoro, come del resto presumibile, considerando l'eta' (nata nel 1958), la professionalita' maturata fino a quel momento negli anni alle dipendenze di Poste, e le limitazioni funzionali croniche.
La giurisprudenza di legittimita' (da ultimo Cass. n. 21158/2019, n. 23306/2019) e' consolidata nel ritenere le prestazioni assistenziali da disoccupazione non siano detraibili dal risarcimento del danno dal licenziamento illegittimo. Non si tratta infatti di importi qualificabili come compensi ricavati aliunde, bensi' di prestazioni pubbliche di cui in caso di reintegra giudiziale come nel caso in esame - sopravviene il carattere indebito con conseguente obbligo di restituzione all'Inps.
RECLAMO INCIDENTALE
La lavoratrice reclamata ha ragione nel censurare la sentenza che, respingendo l'opposizione di Poste Italiane alla ordinanza sommaria, liquidava in suo favore le spese della fase a cognizione piena in . 2000, e cio' nonostante che si trattasse di controversia di valore indeterminabile che in base al DM 55/2014 avrebbe imposto una maggiore liquidazione del compenso.
Non e' invece possibile in questa sede rivedere l'importo delle spese gia' liquidate in . 1.800 nella ordinanza sommaria, dal momento che in tal senso la lavoratrice avrebbe dovuto avanzare una opposizione incidentale nel corso del primo grado.
Di conseguenza, la sentenza reclamata va modificata limitatamente all'importo delle spese liquidate a carico di Poste Italiane per la sola fase di opposizione, che il collegio ritiene di quantificare con riferimento agli importi minimi dello scaglione di valore della causa indeterminabile di complessita' bassa (.di 17 3.513,00), escludendo quelli relativi all'istruttoria in quanto svolta nella fase sommaria (in una sola udienza con 4 dichiaranti) e non in quella di opposizione.
SPESE DI LITE E C.U.
Le spese del presente reclamo seguono la soccombenza, liquidate ex DM 55/2014 come da dispositivo con riferimento agli importi minimi dello scaglione di valore indeterminabile di complessita' bassa (. 3.308), considerato che nuovamente il presente giudizio e' stato deciso senza istruttoria.
A carico di Poste Italiane, che soccombe sul reclamo principale, vanno dichiarati i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando sui reclami exL. 92/2012,
Respinge il reclamo principale proposto da Poste Italiane ed accoglie il reclamo incidentale proposto da C.A., indicando le spese di primo grado in . 3.513,00 oltre accessori in luogo che in . 2.000.
Condanna la societa' reclamante al pagamento in favore della lavoratrice reclamata delle spese del presente reclamo, liquidate in . 3.308 oltre accessori.
Dichiara che a carico della societa' reclamante sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
Firenze, 15 settembre 2020.
LaPrevidenza.it, 05/10/2020