Il lavoro a progetto e la conversione in rapporto di lavoro subordinato
Dott.ssa Annaluisa Furno
Le prime tracce delle collaborazioni coordinate e continuative risalgono all’art. 2 della legge n. 741/1959, sul tema dei “minimi di trattamento economico e normativo dei lavoratori”. In esso sono indicati come meritevoli di tutela, in materia di trattamenti minimi economici dei lavoratori, anche “i rapporti di collaborazione che si concentrino in una prestazione d’opera coordinata e continuativa” . La materia viene ripresa dalla riforma del processo del lavoro, operata con la legge n. 533 del 1973, che estende la disciplina processuale del rito differenziato del lavoro oltre i confini della subordinazione, inserendovi una serie di rapporti aventi ad oggetto prestazioni di facere, riconducibili allo schema generale del lavoro autonomo, ma individuati prescindendo dalla qualificazione giuridica del tipo di contratto dedotto in giudizio, sulla base della sussistenza in concreto di determinate modalità di svolgimento del rapporto condensate nei requisiti della continuità, coordinazione e personalità della prestazione. Tali caratteri tipici del lavoro subordinato descrivono una modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, che il legislatore ritiene sintomo di una situazione di debolezza economica di una parte rispetto all’altra e, pertanto, prevede per esse una più efficace tutela sul piano processuale. L’art. 409, n. 3, c.p.c., introdotto dalla legge n. 533 del 1973, e rubricato “Controversie individuali di lavoro” estende, così, la disciplina del rito speciale anche ai rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale e ad altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La riforma con l’introduzione della locuzione “…altri rapporti…” da vita nel 1973, ad una nuova tipologia di lavoro personale e continuativo, la quale va a comporre la cosiddetta “zona grigia” delle co.co.co. I tratti rilevanti di questi rapporti di collaborazione sono: la continuità, la coordinazione, il carattere prevalentemente personale della prestazione lavorativa. Nella norma processuale il termine “opera” è accompagnato dal requisito della continuità. A tal riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’elemento della continuità ricorre tutte le volte in cui la prestazione d’opera sia non meramente occasionale ed istantanea, ma destinata a protrarsi in un arco temporale indeterminato o, comunque, apprezzabilmente lungo, implicante una reiterazione della prestazione . Quindi, nei rapporti di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. l’adempimento non è istantaneo ma prolungato nel tempo; di qui, parte della dottrina li considera contratti di durata in senso tecnico, considerando la continuità un elemento essenziale del contratto, preordinato alla soddisfazione di un interesse durevole del creditore. Questa affermazione è smentita da altra dottrina, che ricomprende nelle co.co.co. i rapporti, la cui attività si protrae nel tempo, ma che non possono essere considerati tecnicamente di durata, costituendo la continuità “un mero dato empirico”. La individuazione di un rapporto nel novero dei contratti di durata ha conseguenze anche sul tipo di obbligazione che il prestatore è tenuto ad eseguire, e di riflesso, sulla causa del contratto. Un rapporto che si caratterizzi per un adempimento duraturo può, infatti, più facilmente rientrare in un’obbligazione di mezzi, uno che si individui come contratto ad esecuzione istantanea è più idoneo, invece, a collocarsi nel novero delle obbligazioni di risultato.
La norma processuale dispone che la prestazione d’opera deve essere altresì coordinata.
Il requisito della coordinazione indica l’esistenza di un collegamento funzionale tra l’attività del prestatore d’opera e quella del committente, richiamando in un certo senso alcuni caratteri propri del lavoro subordinato che sono assenti nel contratto d’opera, come disciplinato dal codice civile. Essa rappresenta quasi “un momento o uno strumento del processo produttivo” . Mentre, però, le caratteristiche della coordinazione nel lavoro subordinato si concretano nel potere del datore di lavoro di determinare unilateralmente le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e nel dovere del lavoratore di conformazione a tali prescrizioni, nelle co.co.co. questo collegamento organizzativo si esprime attraverso il potere di conformazione esercitato dal committente. Questi è legittimato ad ingerirsi nell’attività del prestatore, senza però esercitare i poteri tipici del lavoro subordinato .
Il legislatore con l’art. 409, n. 3, c.p.c. non intende assorbire tali rapporti nel lavoro subordinato, ma vuole estendere la tutela processuale del lavoro anche a rapporti che non sono riconducibili al tipo “lavoro subordinato” ex art. 2094 c.c. Si può, quindi, affermare che l’espressione lavoro parasubordinato o coordinato non è indicativa di una fattispecie tipica, ma indica le modalità di svolgimento della prestazione di lavoro in una serie di rapporti che hanno natura e origine diversa.
LaPrevidenza.it, 16/04/2012