sabato, 12 ottobre 2024

Contratti a termine ed eccezione di decadenza

Avv. Daniela Carbone

 

Nel contenzioso relativo all’efficacia dei contratti a termine per l’illegittimità del termine apposto, l’attenzione degli “addetti ai lavori” è concentrata sull’intepretazione del c.d. mille-proroghe in ordine alla proroga dell’entrata in vigore della decadenza prevista ed introdotta per la prima volta dall’art. 32 del Collegato lavoro per una serie di contratti di lavoro (60 gg dalla fine del rapporto per impugnare  la risoluzione e successivi 270 gg per adire l’autorità giudiziaria).

Parte della dottrina (e solitamente i difensori di parte datoriale) ritengono che il c.d. mille-proroghe non abbia riguardato anche i contratti a termine.

In proposito è necessario ripercorrerne l’excursus normativo.

Com’è noto di decadenze per impugnare il licenziamento s’interessano i primi quattro commi dell’art.32 della legge n.183/2010 (Collegato Lavoro) che dispongono quanto di seguito viene riportato.

Il primo comma prevede la sostituzione dei commi 1 e 2 dell’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, i cui nuovi testi pertanto sono i seguenti:

« Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione, ovvero dalla comunicazione dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso”.

“L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 270 giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato,ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso . Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo ».

Il comma secondo invece stabilisce che le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 , si applicano anche a tutti i casi di invalidità e di inefficacia del licenziamento.

Il comma terzo a sua volta prevede che le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 , si applicano inoltre:

a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto;

b) al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di cui all’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile;

c) al trasferimento ai sensi dell’articolo 2103 del codice civile, con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento;

d) all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo.

Il comma quarto infine stabilisce che le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 , si applicano anche:

a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine;

b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge;

c) alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data del trasferimento;

d) in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dall’articolo 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.

In base all’originario testo del Collegato lavoro, coloro che avessero avuto un contratto a termine concluso prima del 24 novembre 2010, data d’entrata in vigore della legge n.183/2010, il primo termine di 60 giorni per l’impugmazione del contratto sarebbe scaduto il 23 gennaio 2011. A modificare tale quadro normativo è intervenuto l’art. 2, comma 54, della legge 26.2.2011 n. 10, che ha convertito il decreto legge n.225 del 29.12.2010 (c.d. Milleproroghe), pubblicata sul Supplemento Ordinario n.53 della GazzettaUfficiale n.47 del 26.2011, inserendo una disposizione finalizzata a spostare al 31 dicembre 2011 la scadenza del termine di 60 giorni per l’impugnazione dei rapporti a termine ritenuti irregolari, così che la decadenza, inizialmente fissata a 60 giorni dalla data d’entrata in vigore della legge n.183/2010 e quindi al 23.1.2010, è stata rinviata a 60 giorni successivi al 31.12.2011 ,vale a dire al 1° marzo 2012.

Ed è sull’ambito di applicazione di succitata norma di proroga di efficacia che si è aperto un ampio dibattito, poiché si afferma che la predetta disposizione non si applichi ai contratti a termine perchè nel testo del citato comma 54 del decreto Milleproroghe non vi sarebbe il giusto rinvio anche ai contratti a termine.

Effettivamente, si è in presenza di un clamoroso errore del legislatore poichè  risulta errata la norma di riferimento.

Infatti il comma 54 in questione ha integrato il testo dell’art.32 della legge n.183/2010 con l’art.1 bis , nel quale si dispone che “in sede di prima applicazione le disposizioni di cui all’art.6,comma primo,della legge 15 luglio 1966 n.604,come modificato dal comma 1 del presente articolo ,relative al termine di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre2011″.

L’errore contenuto nella suddetta norma sta nel fatto che la stessa avrebbe dovuto fare riferimento ,circa la norma da disapplicare , non già al comma primo dell’art.6 della legge n. 604/66, bensì ai commi 3 e 4, sopra riportati, che prevedono l’estensione della disciplina relativa alle impugnazioni contro i licenziamenti ai co co co ed ai rapporti a termine, compresi quelli già conclusi al 24 novembre 2010.

L’art. 2, comma 54 del mille proroghe è il classico intervento dell’ultimo minuto, pensato con poca organicità rispetto al testo ed al contenuto del Collegato lavoro. Erano quindi prevedibili le divergenze e di diversi orientamenti giurisprudenziali che sarebbero sorti in proposito. L’art. 12 delle Preleggi dispone che “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore” contemperando quindi interpretazione letterale ed intepretazione logica (l’interpretazione logica).

L’interpetazione letterale condurrebbe al risultato di differire esclusivamente il termine decadenziale di 60 gg. relativo all’impugnazione del licenziamento di cui all’art. 6, comma 1, l. 604/66, e cioè di un termine che i lavoratori sono chiamati a rispettare già dal 1966 !!!

Una simile conclusione precluderebbe l’operatività del differimento a tutte le nuove fattispecie per le quali il Collegato ha previsto il nuovo regime decadenziale, ivi compresi i contratti a termine.

Né può essere decisivo come argomento fondante tale interpretazione l’ordine del giorno approvato dalla Camera dei deputati il 25.2.2011,  sul quale si fonda la sentenza sentenza n. 4404 del 29 settembre 2011, del Tribunale di Milano, il quale, nel rigettare il ricorso del lavoratore, ha invece tenuto conto (acriticamente) unicamente dell'ordine del giorno, primo firmatario G. Cazzola, che, in occasione dell'approvazione del “milleproroghe”, ha escluso che il differimento al 31 dicembre si potesse applicare anche all'impugnazione dei contratti a tempo determinato, dei contratti di somministrazione di manodopera e di tutte le altre situazioni che il collegato lavoro assoggetta a uno specifico regime di impugnazione.

L'effetto di questa interpretazione, o meglio di questa non-interpretazione, è che, paradossalmente, la proroga stabilita dalla disposizione oggetto del giudizio è come se non fosse mai stata approvata dal legislatore, essendo chiaro a tutti che, per i licenziamenti, il termine di decadenza dei 60 gg. già era operativo e la norma del mille proroghe avrebbe avuto il non-senso di sospendere per un anno l’impugnazione di tutti i licenziamenti che sarebbero stati disposti dal 24.11.2010 al 31.12.2011. A che fine?

Vi sono invece sentenze di segno opposto circa l’estensione del “mille proroghe” anche ai contratti a termine (e alle altre tipologie di contratto indicate dall’art. 32 del Collegato lavoro).

In proposito si segnala la decisione del Tribunale di Milano, il quale,  con sentenza n. 3914 del 4 agosto 2011 (confermativa di precedente sentenza 4 luglio 2011 n. 3402), ha affermato che il comma 54 dell'art. 2 della legge n. 10/2011 (il cosiddetto milleproroghe), ha sospeso sino al 30 dicembre 2011 l'entrata in vigore dei nuovi termini di impugnazione previsti dall'articolo 32 della legge n. 183/2010, incluso quello riguardante i contratti “atipici” già scaduti alla data dell'entrata in vigore della stessa legge (24 novembre 2010).

Il caso in specie riguardava proprio la contestazione di una successione di contratti di cui l'ultimo era scaduto, appunto, prima del 24 novembre 2010. L'impugnazione del contratto non era avvenuta entro il 23 gennaio 2011 (termine capestro previsto dal comma 4, lettera b), dell'art. 32 per tutti i contratti scaduti ante collegato lavoro), per cui la difesa del datore di lavoro aveva eccepito l'avvenuta decadenza dell'impugnazione.

Il giudice milanese, respingendo l'eccezione, ha invece applicato il “milleproroghe” sostenendo che l'unica lettura che si può dare del comma 54 della legge n. 10/2011 è quella secondo cui, pur in assenza di una espressa previsione, il termine del 23 gennaio 2011 (previsto dalla lettera b) del comma 4 dell'articolo 32) sia stato spostato al 31 dicembre 2011 (nel senso che a questa data non sarà più possibile impugnare i contratti scaduti prima del 24 novembre 2010).

In base  a tale orientamento, per tutte le ipotesi a cui si applicano i nuovi termini d'impugnazione previsti dall'articolo 32 della legge n. 183/2010 (60 gg. per impugnare il licenziamento, il contratto a termine, a progetto, il trasferimento etc... e i successivi 270 gg. per depositare il ricorso al giudice), sino al 30 dicembre 2011 sono rimasti in piedi i vecchi termini d'impugnazione.

Le sentenze succitate e l’interpetazione più logica della norma in questione (proroga dell’entrata in vigore delle decadenze) evidenziano che la rimessione in termini sarebbe un obiettivo perseguito dal legislatore e, quindi, introdotto dal Decreto Milleproroghe.

A ciò aggiungasi che ritenere applicabile la proroga a tutta la nuova disciplina delle decadenze anziché all’unica già previgente (dal lontanisosmo 1966), è l’unica via percorribile per dare un senso al disposto differimento, superando ed andando oltre i limiti del comma 1, dell’art. 6, della legge n. 604/1966).

Lo stesso Tribunale di Ascoli Piceno, Giud. Palestini, con sentenza n. 365 del 12 aprile 2012, in merito alla proposta analoga eccezione sollevata dalla convenuta, ha affermato che “Sull’efficacia retroattiva del “milleproroghe” non possono sussistere dubbi: la norma dice espressamente che il differimento di efficacia della modifica dell’art. 6, l. n. 604/66 si produce “in sede di prima applicazione” vincolando così l’interprete a non tener conto di quanto potrebbe essere accaduto dal 23 gennaio scorso fino alla data della sua entrata in vigore. Deve pertanto escludersi che possano essersi verificate decadenze legate alla fase di temporanea efficacia delle modifiche apportate dall’art.  32 l. n. 183/2010 alla disciplina dei licenziamenti, sia che riguardino azioni di nullità del termine sia che concernano altre ipotesi comunque disciplinate per relazionem dalla norma ult. cit.”.

Facendo prevalere la logica interpretazione alla lettera della norma, il risultato è sicuramente più conforme ai principi di ragionevolezza cui dovrebbero corrispondere le nuove norme introdotte con il Collegato Lavoro.

Avv. Daniela Carbone


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LaPrevidenza.it, 24/04/2012

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