Pensione ai superstiti, il 75% di invalidità riconosciuta al figlio minorenne al momento del decesso preclude il diritto alla prestazione
Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 20.11.2017 n. 27748
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Dott. MAMMONE Giovanni -
Presidente - Dott. D'ANTONIO Enrica -
Consigliere - Dott. BERRINO Umberto -
Consigliere - Dott. RIVERSO Roberto -
Consigliere - Dott. CALAFIORE Daniela - rel.
Consigliere - ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA sul ricorso 3784-2012 proposto da: F.R., C.F.
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE FLAMINIO 19,
presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPE RUSCONI, che lo rappresenta e
difende, giusta delega in atti; - ricorrente - contro I.N.P.S. -
ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del
Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l'Avvocatura
Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati SERGIO
PREDEN, GIUSEPPINA GIANNICO, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO, giusta
delega in atti; - controricorrente - avverso la sentenza n. 865/2011
della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 01/08/2011 R.G.N.
382/2010; Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.
Fatto
Che
la Corte d'appello di Milano con sentenza n. 865/2011 ha respinto
l'appello proposto da F.R. avverso la sentenza del Tribunale di Varese
che aveva rigettato la sua domanda tesa ad ottenere la pensione di
reversibilità del padre, deceduto il giorno (OMISSIS), in quanto figlio a
carico ed inabile e non ancora maggiorenne al momento del decesso,
posto che lo era diventato il 21 aprile 1967;
che la Corte di
merito, considerato che tra la documentazione sanitaria prodotta non vi
erano certificazioni relative al periodo compreso tra l'1.2.1956 ed il
21 aprile 1967, che vi era contraddizione tra il verbale del 18 ottobre
1967 del Comitato di assistenza e beneficenza pubblica che prendeva atto
della dichiarazione della Commissione sanitaria provinciale del 15
settembre 1967, secondo cui era presente totale e permanente inabilità
lavorativa non di natura psichica, ed altra - di poco successiva - che
accertava una invalidità del 75% senza bisogno di corsi di avviamento al
lavoro, riteneva che il ricorrente, all'epoca del decesso del proprio
padre, non si trovasse nell'assoluta e permanente impossibilità a
svolgere qualsiasi attività lavorativa, irrilevante essendo la pure
accertata invalidità civile e dovendosi escludere la concreta
possibilità di svolgere una utile consulenza medica su situazioni
risalenti ad oltre quaranta anni addietro;
che avverso tale
sentenza della Corte territoriale, F.R. propone ricorso per cassazione
fondato su tre motivi illustrati da memoria e da un quarto motivo di
mero richiamo ai motivi d'appello;
che L'I.N.P.S. resiste con controricorso. che il P.G. ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
Diritto
che
con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 13, commi 1 ed 8 conv. in
L. n. 1272 del 1939 e succ. mod., artt. 32 e 38 Cost., comma 1, e),
dell'art. 19 e 26, comma 1 della Conv. ONU sui diritti delle persone con
disabilità ratificata con L. n. 18 del 2009, degli artt. 1 e 26 della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 18.12.2000, in
relazione alla circostanza che, ad avviso della parte, la Corte
d'appello non avrebbe applicato alla fattispecie il R.D.L. n. 636 del
1939, art. 13, commi 1 ed 8 conv. in L. n. 1272 del 1939 e modif. con la
L. n. 903 del 1965, art. 22 poichè dagli atti prodotti risultava
lo stato di inabilità derivante dall'esistenza di una cerebropatia
infantile con emiparesi spastica sinistra e grave deficit deambulatorio;
che
il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge,
omessa pronuncia ed omessa motivazione circa il punto decisivo
dell'accertamento del "proficuo lavoro" D.P.R. n. 818 del 1957, ex art.
39 nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 27 e 28 comma 2
lett. c) e lett. e) della Conv. ONU sui diritti delle persone con
disabilità ratificata con L. n. 18 del 2009, posto che la citata
documentazione sanitaria era conforme agli arresti giurisprudenziali
formatisi in applicazione della normativa richiamata secondo cui il
requisito era integrato anche dal riconoscimento di una invalidità non
totale purchè inidonea ad un proficuo lavoro e tale non era il lavoro
svolto dal F. presso l'Associazione AIAS di Varese;
che il terzo
motivo denuncia la violazione dell'art. 445 c.p.c. e dell'art. 149 disp.
att. c.p.c., posto che la Corte territoriale non aveva disposto c.t.u.
medico legale seppure la stessa non fosse stata disposta neanche in
primo grado e si trattasse di materia previdenziale ed
assistenziale obbligatoria;
che i primi due, articolati, motivi
sono connessi in quanto presuppongono in primo luogo la individuazione
delle norme regolatrici della concreta fattispecie, anche ratione
temporis rispetto al 4 maggio 2004, momento di presentazione della
domanda, per cui vanno trattati congiuntamente, premettendo alla
valutazione del motivo relativo al vizio di motivazione le
necessarie considerazioni sistematiche;
che, in particolare, deve
ricordarsi che questa Corte di legittimità ha avuto modo di affermare
(vd. da ultimo Cass. 10953/2016) che la L. n. 222 del 1984, art. 8
(Definizione di inabilità ai fini delle prestazioni previdenziali) ha
introdotto un'unica ed unitaria nozione di "inabilità" ai fini
del riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità (art. 2), alla
pensione di riversibilità (L. 21 luglio 1965, n. 903, artt. 21 e 22) ed
alle altre prestazioni previste dal medesimo art. 8, e cioè quelle di
cui alla L. 9 agosto 1954, n. 657, che riguarda i provvedimenti relativi
ai lavoratori tubercolotici e ai loro familiari, e quelle di cui alla
L. 4 agosto 1955, n. 692, che riguarda l'estensione dell'assistenza di
malattia ai pensionati di invalidità e vecchiaia ed ai loro familiari
e che la stessa nozione vale anche ai fini del diritto agli assegni
familiari, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 8, che ha sostituito
il T.U. 30 maggio 1955, n. 797, art. 4, u.c..;
che secondo l'art.
8 sopra menzionato, si considerano inabili le persone che, a causa di
infermità o difetto fisico o mentale, si trovino nell'assoluta e
permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa e
tale requisito è più restrittivo di quello richiesto in precedenza dal
D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, art. 39 che considerava inabili le
persone che per gravi infermità fisiche o mentali si trovassero nella
assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad "un
proficuo lavoro";
che, in particolare non era richiesta la totale
inabilità, ma la concreta impossibilità, tenuto conto delle condizioni
del mercato del lavoro, delle condizioni soggettive della persona
colpita dall'infermità o dal difetto fisico o mentale e dei fattori
ambientali, di dedicarsi ad un'attività lavorativa utile a soddisfare in
modo normale e non usurante le primarie esigenze di vita;
che la
L. n. 222 del 1984, art. 8 viceversa attribuisce rilevanza, ai fini del
riconoscimento della prestazione, al criterio oggettivo della "assoluta
e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa",
nel senso che questa deve essere determinata esclusivamente dalla
infermità ovvero dal difetto fisico o mentale, senza che debba
verificarsi, in caso di mancato raggiungimento di una totale inabilità,
il possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in
relazione al tipo di infermità alle generali attitudini del soggetto (in
tal senso, pur dopo qualche oscillazione giurisprudenziale, è ormai
attestata questa Corte: si vedano Cass. n. 9946 dell'8 maggio
2014; Cass. n. 9970 del 29 aprile 2009; Cass. n. 16955 del 26 agosto
2004);
che, nella specie, la Corte territoriale ha affermato che
non vi è alcuna evidenza che, nel periodo compreso tra il momento del
decesso del padre ed il compimento dei diciotto anni, il ricorrente
si fosse trovato nell'assoluta e permanente impossibilità di lavorare,
secondo la formulazione della L. n. 222 del 1984, art. 8, non versando
in una situazione di assoluta inabilità lavorativa e permanendo nello
stesso una residua capacità lavorativa idonea a consentirgli di
procacciarsi i mezzi per la sopravvivenza, per cui sotto tale profilo la
decisione non è incorsa nella denunciata violazione di legge;
che,
sotto il profilo del vizio motivazionale, va osservato che i fatti
controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle
relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte di
appello, sicchè non di omesso esame si tratta, ma di accoglimento di una
tesi diversa da quella sostenuta dalla parte odierna dal momento che la
Corte territoriale ha esaminato e valutato tutta la documentazione
prodotta consistente nel verbale del 18 ottobre 1967 del Comitato di
assistenza e beneficenza pubblica nel quale si prendeva atto della
dichiarazione della Commissione sanitaria provinciale del 15 settembre
1967, secondo cui era presente totale e permanente inabilità lavorativa
non di natura psichica, e l'altra - di poco successiva - che
accertava una invalidità del 75% senza bisogno di corsi di avviamento al
lavoro;
che non appare incrinata da illogicità la scelta della
Corte territoriale di sostanziale condivisione della valutazione fatta
dal primo giudice in ordine al riconoscimento di maggiore attendibilità,
per specificità e sufficiente vicinanza temporale all'epoca rilevante
per il giudizio, della documentazione sanitaria di attribuzione
dell'invalidità al 75%, anche per la oggettiva impossibilità - in
mancanza di ulteriore documentazione medica - di tentare
maggiori approfondimenti medico legali a distanza di circa quaranta anni
dall'epoca di interesse per il processo;
che quanto al rilievo
della violazione dell'art. 445 c.p.c. e dell'art. 149 disp. att. c.p.c.
è, invero, decisiva la considerazione che per costante giurisprudenza di
questa Corte di Cassazione (vd. Cass. 3130/2011; 9060/2003; 3191/2006).
La
consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio,
avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di
elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di
specifiche conoscenze, ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non
può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la
prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la
parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle
proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine
esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.
(Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c., comma 1);
che,
conseguentemente, il ricorso va rigettato e le spese del giudizio vanno
compensate in ragione delle peculiarità di apprezzamento della
fattispecie concreta.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell'Adunanza camerale, il 21 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2017
LaPrevidenza.it, 04/12/2017