sabato, 12 ottobre 2024

Malattia professionale, il corretto inquadramento normativo evita la perdita di tutti i benefici economici

Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 12.4.2019 n. 10334

 

In tema di infortuni e malattie professionali la data del 25 luglio 2000 individua il momento dal quale decorrono gli effetti del D.Lgs. 38/2000 in luogo del "vecchio" T.U. 1124/65. La nuova norma, metabolizzata da anni introduce un nuovo sistema di trattazione dei casi di infortunio e malattia professionale.

L'ovvietà dell'affermazione secondo la quale i casi avvenuti prima di tale data seguono il disposto del "vecchio" T.U. 1124/65 mentre quelli avvenuti dopo rientrano nel "nuovo" D.Lgs. 38/2000, ci stimola a commentare brevemente la sentenza 10334/2019 con la quale gli ermellini, accogliendo il ricorso dell'INAIL, hanno correttamente ricondotto alla gestione del T.U. 1124/65 un caso di tecnopatia denunciato nel 1999.

Inoltre proveremo a ipotizzare, sempre in linea generale, che cosa sarebbe accaduto se il caso fosse stato gestito in altro modo.

Nella presente controversia, il ricorrente ha chiesto l'indennizzo in danno biologico di cui al D.Lgs.38/2000 per il caso di malattia professionale. La Corte di Appello di Lecce lo ha riconosciuto nella misura del 10%.

Gli effetti di tale riconoscimento sono ovviamente diversi se trattati con la vecchia o con la nuova normativa. In sintesi ne citiamo due:

a) Il 10% trattato con i criteri di cui al D.Lgs. 38/2000 avrebbe determinato il pagamento di una somma "una tantum" da parte dell'Inail, calcolata sulla retribuzione o sul reddito di riferimento precedente alla denuncia.

b) la stessa percentuale trattata con i dettami del T.U. 1124/65 non avrebbe portato alcun be- neficio immediato al richiedente.

I due punti stimolano, a posteriori, ulteriori riflessioni e ipotesi anche sul tema della strategia adottata.

a) La trattazione del caso secondo il D.Lgs. 38/2000

Il riconoscimento del danno biologico nella misura del 10% del 10%, ha temporaneamente as- segnato al ricorrente a vedersi riconosciuto l'indennizzo in capitale secondo l'art. 13 del D.Lgs. 38/2000, non considerando che l'INAIL avrebbe ottenuto, con l'ulteriore grado di giudizio grado di giudizio, la corretta collocazione normativa dell'evento, cioè il T.U. 1124/65.

In ipotesi ciò avrebbe determinato:

1) il rifiuto della pretesa, quindi nessun indennizzo economico; 
2) il rischio di una parziale condanna alle spese, peraltro verificatasi; 
3) l'ovvia impossibilità a gestire il caso con i criteri del T.U. 1124/65; 
4) l'impossibilità a riaprire il caso in via amministrativa per decadenza dei termini; 
5) l'incontrovertibilità della decisione in sede civile (ne bis in idem).

b) La trattazione del caso secondo il T.U. 1124/65

Occorre premettere che la ipoacusia percettiva da rumore è riconosciuta dalla scienza medica- come patologia "ingravescente ed irreversibile".

A far data dal riconoscimento della malattia professionale con inabilità del 10%, l'interessato avrebbe potuto avanzare più domande di revisione nell'arco dei quindici anni, secondo quanto disposto dall'art. 83 del T.U. Singole domande di revisione che, in caso di eventuale disaccordo con il collegio medico circa la valutazione dell'ipotetico aggravamento, avrebbero potuto essere impugnate innanzi alla magistratura ordinaria.

In tale ipotesi, l'interessato non avrebbe percepito il danno biologico ai sensi del D.Lgs. 38/2000 nel caso a), ma sarebbe stato in grado di avanzare almeno 6 istanze per aggrava- mento nell'arco temporale di cui al punto precedente, considerato che la percentuale minima per il diritto a rendita era pari all'11%, secondo quanto disposto dall'art. 74 T.U. 1124/65.

In tal guisa, se la percentuale riconosciuta fosse stata superiore al 10%, egli avrebbe beneficiato della rendita mensile calcolata in base sia alla percentuale riconosciuta che alla retribu- zione precedente alla denuncia del caso.

Ma non solo.

Il raggiungimento del diritto in precedenza ricordato con percentuale tra l'11% e il 15% compresi, secondo quanto previsto dall'art. 75 del T.U. 1124/65, avrebbe potuto garantire all'interessato, alla scadenza dei termini revisionali, la c.d. "liquidazione in capitale" ovvero una somma in denaro di importo pari al valore capitale della rendita. Ciò dopo averne riscosso i ratei mensili per anni.

I vari aspetti del caso in precedenza trattati e oggetto della pronuncia della Corte di Cassazione ci hanno stimolato ad ipotizzare cosa sarebbe accaduto se la questione fosse stata affrontata in altro modo. L'aver ipotizzato un diverso percorso nella gestione del caso sin dalla fase amministrativa, ci ha portato sul terreno della strategia, aspetto fondamentale del contenzioso.

(Giovanni Dami)

***

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D'ANTONIO Enrica - Presidente - Dott. BERRINO Umberto - Consigliere - Dott. FERNANDES Giulio - Consigliere - Dott. GHINOY Paola - Consi- gliere - Dott. MANCINO Rossana - rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente: ORDINANZA .... omissis ....

RILEVATO

Che:

1. con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di Appello di Lecce ha riformato la sentenza di primo grado e, accertata l'eziologia professionale dell'ipoacusia denunciata il 9 luglio 1999, ha riconosciuto all'attuale intimato l'indennizzo per danno biologico nella misura del dieci per cen- to, con decorrenza dalla predetta data, oltre interessi;

2. avverso tale sentenza l'INAIL ha proposto ricorso affidato ad un articolato motivo, al quale l'intimato non ha opposto difese e conferito delega in calce alla copia notificata del controricorso.

CONSIDERATO

Che: 

3. articolando il motivo di ricorso con plurime violazioni di legge, l'INAIL si duole dell'erronea applicazione, nella specie, del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13 e, in particolare, del discrimine temporale, per l'applicazione della predetta normativa, indicato nel 25 luglio 2000, con conseguente applicazione del regime precedente agli eventi dannosi antecedenti;

4. il ricorso è da accogliere;

5. il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, comma 6 prevede che "Il grado di menomazione dell'integrità psicofisica causato da infortunio sul lavoro o malattia professionale, quando risulti aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti derivanti da fatti estranei al lavoro o da infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 e non indennizzati in rendita, deve essere rapportato non all'integrità psicofisica completa, ma a quella ridotta per effetto delle preesistenti menomazioni, il rapporto è espresso da una frazione in cui il denominatore indica il grado d'integrità psicofisica preesistente e il numeratore la differenza tra questa ed il grado d'integrità psicofisica residuato dopo l'infortunio o la malattia professionale. Quando per le conseguenze degli infortuni o delle malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 l'assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato in capitale ai sensi del testo unico, il grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere conto delle preesistenze. In tale caso, l'assicurato continuerà a percepire l'eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data sopra indicata.";

6. l'intero comma 6 disciplina fattispecie di infortuni sul lavoro verificatisi o malattie professionali denunciate prima del 25 luglio 2000 (data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3), seguite da eventi lesivi sotto il nuovo regime, e distingue due diverse ipotesi, allo scopo di raccordare il precedente ed il nuovo sistema indennitario;

7. nella specie è incontroverso che l'evento dannoso si collochi in epoca antecedente al discrimine temporale del 25 luglio 2000, conseguendone l'applicabilità del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 74 e, dunque, la riduzione dell'attitudine al lavoro in misura pari o superiore all'11 per cento;

8. incontroverso, altresì, che la percentuale stimata in giudizio sia risultata inferiore a detta percentuale, la sentenza va, pertanto, cassata e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la domanda va rigettata;

9. l'alterno esito dei giudizi di merito consiglia la compensazione delle spese del giudizio di merito;

10. le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'originaria domanda; spese compensate del giudizio di merito; condanna la parte intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 22 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2019

(Giovanni Dami)

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LaPrevidenza.it, 10/05/2019

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