Legittimo il licenziamento del lavoratore che in malattia o infortunio svolge un secondo lavoro
Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 19.3.2019 n. 7641
In tema di licenziamento del lavoratore determinato
dall'accertato svolgimento di una attività lavorativa secondaria la giurisprudenza
di cassazione è intervenuta più volte sulle casistiche oggetto e materia
del contendere.
In buona sostanza lo svolgimento di
una attività lavorativa durante periodi "protetti" come l'astensione dal
lavoro per malattia o infortunio lavorativo determina la palese
violazione di quegli specifici obblighi di diligenza e fedeltà oltre che
dei doveri di correttezza e buona fede nei confronti del datore di
lavoro.
Ma non solo.
La certificazione
rilasciata dal curante circa l'evidenza della patologia a carico del
lavoratore presuppone che quest'ultimo metta in atto tutte quelle
naturali condizioni finalizzate al recupero della sua integrità
psicofisica. In caso contrario non solo può pregiudicare o ritardare la
guarigione ma, eventualmente aggravarla.
A maggior ragione se il lavoro secondario prevede lo svolgimento di mansioni
molto gravose come nel caso di specie, dove il ricorrente, assente per
infortunio lavorativo è stato sorpreso alla guida di automezzi in
attività di carico e scarico di materiale.
(Giovanni Dami)
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. NAPOLETANO Giuseppe
- Presidente - Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo
- rel. Consigliere - Dott. PATTI
Adriano Piergiovanni - Consigliere - Dott. LORITO
Matilde - Consigliere - Dott. LEONE
Maria Margherita - Consigliere -
ha pronunciato la seguente: SENTENZA
sul ricorso 26944-2017 proposto da:
R.A.,
domiciliato ope legis presso la Cancelleria della Corte di
Cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato DOMENICO CAROZZA, LUCA
CITARELLA; - ricorrente -
contro
xxx ITALIA MANUFACTURING S.R.L., in persona del
legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata
in ROMA, PIAZZALE ROBERTO ARDIGO' 42, presso lo studio
dell'avvocato ROBERTO BRAGAGLIA, rappresentata e difesa dagli avvocati
EMANUELE ANTONIO NATALE, GIULIO GOMEZ D'AYALA; - controricorrente
- avverso la sentenza n. 1350/2017 della CORTE D'APPELLO
di NAPOLI, depositata il 28/06/2017 R.G.N. 4557/2015; udita la relazione
della causa svolta nella pubblica Udienza del 18/12/2018 del
Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE; udito il P.M. in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO CARMELO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso; udito l'Avvocato DOMENICO CAROZZA; udito
l'Avvocato EMANUELE ANTONIO NATALE.
FATTI DI CAUSA
1. Con
sentenza n. 1350/2017, pubblicata il 28 giugno 2017, la Corte di
appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, con la
quale il Tribunale della stessa sede, in accoglimento del ricorso
proposto da Unilever Italia Manufacturing S.r.l., aveva dichiarato la
legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad R.A., con
lettera del 3/3/2010, per avere svolto, in periodo di assenza per
infortunio, attività lavorativa consistita nella guida di automezzi e
in operazioni di carico/scarico di cerchi in lega per autovetture, tale
da compromettere o ritardare la guarigione.
2. La Corte ha
rilevato a sostegno della propria decisione che i fatti
contestati, giunti a conoscenza della società attraverso un'indagine
investigativa, avevano trovato conferma nelle dichiarazioni degli
investigatori e che la consulenza
Pagina 2 di 5 d'ufficio disposta in primo grado aveva consentito di
accertare la potenzialità dannosa del comportamento addebitato, il
quale, pertanto, integrando un inadempimento degli obblighi contrattuali
di diligenza e fedeltà e la violazione dei doveri generali di
correttezza e buona fede, era da ritenersi di gravità tale
da giustificare il recesso datoriale, anche in difetto di previsione del
contratto collettivo o del codice disciplinare.
3. Ha proposto
ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con tre motivi,
illustrati da memoria, cui ha resistito la società con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.
Con il primo motivo, deducendo ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e
falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c. e L. n. 604 del
1966, art. 5 nonchè dell'art. 24 Cost., il ricorrente censura la
sentenza impugnata per avere ritenuto accertati i fatti descritti nella
relazione investigativa prodotta in giudizio dalla società, sebbene tali
fatti fossero stati puramente confermati "in blocco" dai testimoni
escussi e la relazione, in quanto documento di parte, non avesse ex
se efficacia probatoria.
2. Con il secondo motivo, deducendo la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2119,2106,1175,1375 e 1455
c.c., nonchè dell'art. 70 c.c.n.l. Industria Alimentare, il ricorrente
censura la sentenza per avere ritenuto che anche una condotta
potenzialmente idonea a compromettere o ritardare la guarigione,
quale delineata dal consulente d'ufficio in esito alle proprie indagini,
potesse integrare la giusta causa di recesso, di conseguenza
trascurando, su tale premessa, di ricercare e di accertare i fatti che
potessero dimostrare la sussistenza, in concreto (e non solo in
astratto), di tale nesso di causalità.
3. Con il terzo motivo,
deducendo il vizio di cui all'art. 360, n. 5, il ricorrente si duole del
fatto che la Corte non abbia preso in esame le deduzioni e i rilievi
critici formulati con il ricorso in appello e che, con il supporto della
relazione medico- legale allegata, avrebbero consentito di smentire la
validità delle conclusioni raggiunte dal consulente d'ufficio.
4. Il primo motivo è inammissibile.
Come più volte
precisato da questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 13395/2018), "la
violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c., censurabile
per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è
configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito
l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata
secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla
differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove" -
come con il motivo ora in esame "oggetto di censura sia la valutazione
che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle
parti (sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i
ristretti limiti del "nuovo" art. 360 c.p.c., n. 5)".
6. E'
altresì consolidato il principio, secondo il quale "la violazione
dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in
riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal
giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo,
esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli
elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte
abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in
concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga
alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua
scienza personale" (Cass. n. 4699/2018).
7. Il secondo motivo è infondato.
8.
La Corte di appello ha invero correttamente richiamato l'orientamento,
per il quale "lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del
dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli
specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonchè dei doveri
generali di correttezza e buona fede, oltre che nell'ipotesi in cui
tale attività esterna sia, di per sè, sufficiente a far presumere
l'inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la
medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla
natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o
ritardare la guarigione o il rientro in servizio" (Cass. n. 26496/2018;
conforme, fra le più recenti, Cass. n. 10416/2017).
9. La Corte
ha peraltro positivamente accertato come la condotta imputata
al lavoratore fosse stata tale, anche in concreto, da ritardare la
guarigione, avendo osservato che egli "guidando autovetture e sollevando
cerchi in lega nei giorni (OMISSIS)" aveva "disatteso la prescrizione
medica" in data (OMISSIS) (e cioè "ulteriori 17 giorni di cure e riposo") e che "ai successivi controlli
medici non veniva riscontrata la guarigione, tanto che la riammissione
in servizio poteva avvenire soltanto" il successivo 28 gennaio 2010
(cfr. sentenza impugnata, p. 4).
10. Il terzo motivo è
inammissibile, in forza della preclusione (c.d. "doppia conforme") di
cui all'art. 348 ter c.p.c., u.c., a fronte di giudizio di
appello introdotto con ricorso depositato il 14 dicembre 2015 e,
pertanto, in epoca successiva all'entrata in vigore della novella (11
settembre 2012).
11. Nè il ricorrente, al fine di evitare
l'inammissibilità del motivo, ha indicato le ragioni di fatto poste a
base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza
di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro
diverse (Cass. n. 5528/2014 e successive conformi).
12. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in
Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e
accessori di legge.
Ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per
il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma
dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2019
(Giovanni Dami)
LaPrevidenza.it, 01/04/2019