domenica, 13 ottobre 2024

Legittimo il licenziamento del lavoratore che in malattia o infortunio svolge un secondo lavoro

Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 19.3.2019 n. 7641

 

In tema di licenziamento del lavoratore determinato dall'accertato svolgimento di una attività lavorativa secondaria la giurisprudenza di cassazione è intervenuta più volte sulle casistiche oggetto e materia del contendere.
In buona sostanza lo svolgimento di una attività lavorativa durante periodi "protetti" come l'astensione dal lavoro per malattia o infortunio lavorativo determina la palese violazione di quegli specifici obblighi di diligenza e fedeltà oltre che dei doveri di correttezza e buona fede nei confronti del datore di lavoro.
Ma non solo.
La certificazione rilasciata dal curante circa l'evidenza della patologia a carico del lavoratore presuppone che quest'ultimo metta in atto tutte quelle naturali condizioni finalizzate al recupero della sua integrità psicofisica. In caso contrario non solo può pregiudicare o ritardare la guarigione ma, eventualmente aggravarla.
A maggior ragione se il lavoro secondario prevede lo svolgimento di mansioni molto gravose come nel caso di specie, dove il ricorrente, assente per infortunio lavorativo è stato sorpreso alla guida di automezzi in attività di carico e scarico di materiale.

(Giovanni Dami)


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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE  SEZIONE LAVORO 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Presidente - Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo - rel. Consigliere - Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere - Dott. LORITO Matilde - Consigliere - Dott. LEONE Maria Margherita - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:  SENTENZA

sul ricorso 26944-2017 proposto da: 

R.A., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato DOMENICO CAROZZA, LUCA CITARELLA; - ricorrente -

contro

xxx ITALIA MANUFACTURING S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE ROBERTO ARDIGO' 42, presso lo studio dell'avvocato ROBERTO BRAGAGLIA, rappresentata e difesa dagli avvocati EMANUELE ANTONIO NATALE, GIULIO GOMEZ D'AYALA; - controricorrente - avverso la sentenza n. 1350/2017 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/06/2017 R.G.N. 4557/2015; udita la relazione della causa svolta nella pubblica Udienza del 18/12/2018 del Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'Avvocato DOMENICO CAROZZA; udito l'Avvocato EMANUELE ANTONIO NATALE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1350/2017, pubblicata il 28 giugno 2017, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale della stessa sede, in accoglimento del ricorso proposto da Unilever Italia Manufacturing S.r.l., aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad R.A., con lettera del 3/3/2010, per avere svolto, in periodo di assenza per infortunio, attività lavorativa consistita nella guida di automezzi e in operazioni di carico/scarico di cerchi in lega per autovetture, tale da compromettere o ritardare la guarigione.

2. La Corte ha rilevato a sostegno della propria decisione che i fatti contestati, giunti a conoscenza della società attraverso un'indagine investigativa, avevano trovato conferma nelle dichiarazioni degli investigatori e che la consulenza

  Pagina 2 di 5 d'ufficio disposta in primo grado aveva consentito di accertare la potenzialità dannosa del comportamento addebitato, il quale, pertanto, integrando un inadempimento degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà e la violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede, era da ritenersi di gravità tale da giustificare il recesso datoriale, anche in difetto di previsione del contratto collettivo o del codice disciplinare.

3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con tre motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito la società con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, deducendo ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5 nonchè dell'art. 24 Cost., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto accertati i fatti descritti nella relazione investigativa prodotta in giudizio dalla società, sebbene tali fatti fossero stati puramente confermati "in blocco" dai testimoni escussi e la relazione, in quanto documento di parte, non avesse ex se efficacia probatoria.

2. Con il secondo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119,2106,1175,1375 e 1455 c.c., nonchè dell'art. 70 c.c.n.l. Industria Alimentare, il ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto che anche una condotta potenzialmente idonea a compromettere o ritardare la guarigione, quale delineata dal consulente d'ufficio in esito alle proprie indagini, potesse integrare la giusta causa di recesso, di conseguenza trascurando, su tale premessa, di ricercare e di accertare i fatti che potessero dimostrare la sussistenza, in concreto (e non solo in astratto), di tale nesso di causalità.

3. Con il terzo motivo, deducendo il vizio di cui all'art. 360, n. 5, il ricorrente si duole del fatto che la Corte non abbia preso in esame le deduzioni e i rilievi critici formulati con il ricorso in appello e che, con il supporto della relazione medico- legale allegata, avrebbero consentito di smentire la validità delle conclusioni raggiunte dal consulente d'ufficio.

4. Il primo motivo è inammissibile.

Come più volte precisato da questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 13395/2018), "la violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove" - come con il motivo ora in esame "oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del "nuovo" art. 360 c.p.c., n. 5)".

6. E' altresì consolidato il principio, secondo il quale "la violazione dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale" (Cass. n. 4699/2018).

7. Il secondo motivo è infondato.

8. La Corte di appello ha invero correttamente richiamato l'orientamento, per il quale "lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonchè dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sè, sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio" (Cass. n. 26496/2018; conforme, fra le più recenti, Cass. n. 10416/2017).

9. La Corte ha peraltro positivamente accertato come la condotta imputata al lavoratore fosse stata tale, anche in concreto, da ritardare la guarigione, avendo osservato che egli "guidando autovetture e sollevando cerchi in lega nei giorni (OMISSIS)" aveva "disatteso la prescrizione medica" in data (OMISSIS) (e cioè "ulteriori 17 giorni di cure e riposo") e che "ai successivi controlli medici non veniva riscontrata la guarigione, tanto che la riammissione in servizio poteva avvenire soltanto" il successivo 28 gennaio 2010 (cfr. sentenza impugnata, p. 4).

10. Il terzo motivo è inammissibile, in forza della preclusione (c.d. "doppia conforme") di cui all'art. 348 ter c.p.c., u.c., a fronte di giudizio di appello introdotto con ricorso depositato il 14 dicembre 2015 e, pertanto, in epoca successiva all'entrata in vigore della novella (11 settembre 2012).

11. Nè il ricorrente, al fine di evitare l'inammissibilità del motivo, ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014 e successive conformi).

12. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2019

(Giovanni Dami)

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LaPrevidenza.it, 01/04/2019

MAURIZIO RICIGLIANO
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