Non è motivo valido l’'infedeltà della moglie, anche se vissuta in un lasso breve di tempo e mediante convivenza con "l'altro", ai fini della separazione con addebito.
Così ha sentenziato la Cassazione - n. 25560/2010 - che, oltre a convalidare la separazione ha avallato, a carico dell’ex marito, l’elargizione dell’assegno di mantenimento a favore della donna e della figlia minore.
In sintesi - La donna nel 1994 si era invaghita di un uomo più piccolo di lei e decise di conviverci. La nuova esperienza durò solo quattro mesi e terminò con il ritorno dal marito. Ottenuto “il perdono” dal coniuge, la donna è rientrata in casa ed ha continuato il menage familiare, come se nulla fosse, per altri sei anni, sino a sfociare nella separazione. Il Tribunale di Brindisi, nel gennaio 2000, aveva determinato che la precedente “storia” della moglie aveva inciso negativamente sul rapporto di coppia e pertanto la fine del matrimonio era da addebitare a lei. Di diverso avviso la Corte d'appello di Lecce che, nella primavera del 2006, non riconosceva l'addebito e assegnava un assegno di mantenimento di 200 euro mensili unitamente all’affido della figlia minore e un assegno di mantenimento alla prole di 220 euro al mese a carico dell’ex marito. Quest’ultimo, non ritenendo equo il giudizio è ricorso in Cassazione evidenziando che il fallimento del matrimonio era dovuto solo ed esclusivamente alla «relazione adulterina» della moglie e, pertanto, non spettava alcun assegno di mantenimento all’ex consorte La pronuncia della Suprema Corte (sentenza 25560) oltre a respingere tale ricorso ha confermato ciò che il Tribunale d’appello aveva sancito ma ha precisato che è «certamente lesivo degli obblighi coniugali il comportamento della moglie ma privo di efficacia nel provocare l'intollerabilità della prosecuzione del rapporto coniugale che, anche dopo e nonostante l'esperienza extraconiugale vissuta dalla moglie, era durato ancora per ben sei anni». Ed ha concluso che «il comportamento della moglie non può» ritenersi causa «della crisi insanabile intervenuta nella coppia»., contestando «l'equazione posta tra l'obbligo di fedeltà e la rottura del matrimonio che ne sarebbe l'ineludibile corollario», anche perchè nella dinamica relazionale: i momenti positivi e negativi, tradimenti e riconciliazioni, sono oggetto d’esame e di valutazione del giudice di merito che nello specifico ha valutato in maniera coerente e coesa gli elementi agli atti. Proprio per questo motivo non è rilevante che la moglie sia proprietaria di un immobile valutato 160mila euro mentre il marito versa nell’indigenza.
L’avv. Gian Ettore Gassani, presidente nazionale Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, commenta “La Suprema Corte di Cassazione con sentenza numero 25560 ha confermato il principio che laddove un coniuge perdoni o tolleri i tradimenti dell’altro, le infedeltà non possono più essere oggetto di addebito in un giudizio di separazione. In buona sostanza nel nostro Paese vige il principio, oramai consolidato da almeno cinque anni, secondo cui le infedeltà coniugali possono essere sanzionate soltanto a patto che esse costituiscano la causa principale della crisi del matrimonio. Ciò significa che, in caso di ‘corna’ subite, il perdono nei confronti del traditore ha sicuramente riflessi processuali e non soltanto morali. In Italia le infedeltà coniugali sono sempre più frequenti anche se esse si collocano soltanto al secondo posto tra le cause classiche della fine del matrimonio. La prima ragione della crisi che porta la coppia in Tribunale è la stanchezza del rapporto, la cosiddetta ‘routine’, la noia di stare insieme. Al secondo posto si collocano le infedeltà coniugali che sono fondamentalmente connesse alla prima causa. Su 100 infedeltà coniugali 55 volte sono gli uomini a tradire, nelle restanti volte le donne: ciò significa che anche sul piano delle infedeltà coniugali i due sessi tendono a somigliarsi. Tuttavia non sempre le infedeltà sono sanzionate in sede giudiziaria, specie quando esse non risultano essere la causa scatenante della crisi ma soltanto la conseguenza di essa. Gli italiani sicuramente stanno cambiando nel modo di interpretare il matrimonio ed i doveri che discendono da esso. Basti pensare che il 60% delle infedeltà coniugali si consuma nell’ambiente di lavoro mentre proliferano i club privè e gli incontri extraconiugali favoriti dai social network. Morale: il perdono di un tradimento è un’arma a doppio taglio: da una parte può salvare il matrimonio ma dall’altra può pregiudicare un processo”.
Il giudice, ritenuto il diritto all'assegno di mantenimento, al fine di valutare la congruità dello stesso deve:
1. prendere in considerazione il contesto sociale nel quale i coniugi hanno vissuto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e quantità dei bisogni emergenti del coniuge istante;
2. accertare le disponibilità economiche del coniuge a carico del quale va posto l'assegno, dando adeguata motivazione del proprio apprezzamento (cfr. Cass. 30 luglio 1997, n. 7127).
Elementi valutativi al fine della determinazione dell'assegno
1) proporzione alle sostanze dell'obbligato: deve considerarsi non solo la situazione economica al momento della proposizione della domanda giudiziale, ma anche il complesso della situazione economica, in relazione alla sua capacità economica nelle varie epoche anteriori alla decorrenza dell'assegno, con specifico riguardo alla sua attività lavorativa(Cass. 22 agosto 2006 n. 18241) secondo la quale è sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi). La determinazione del reddito può aversi per via deduttiva, attraverso l'esame della dichiarazione dei redditi, sia attraverso l'accertamento compiuto dagli ufficiali fiscali, sia attraverso la considerazione che il coniuge pur non risultando avere beni propri o una propria fonte di guadagno, è tuttavia in grado di condurre una vita agiata. Deve anche tenersi conto di ciò che l'obbligato riceve dai genitori durante il matrimonio e che si protraggono in regime di separazione con carattere di regolarità e continuità;
2) condizioni economiche del beneficiario: il bisogno del coniuge può essere sia totale che parziale, cioè dato dalla differenza tra il reddito di lavoro o patrimoniale del coniuge che deve essere mantenuto e quello di colui che è tenuto al mantenimento ((Cass. 28 aprile 2006 n. 9876, 12 giugno 2006 n. 13592, 19 giugno 2003 n. 9806). Con riferimento alle condizioni dell'istante, vengono espressamente inclusi tra gli elementi che rappresentano un'utilità economicamente valutabile: 1) l'ottenuto godimento della casa coniugale (Cass. 30.1.1992, n. 961); 2) la disponibilità del prezzo dell'alienazione di un immobile (Cass. 2.7.1994, n. 6774); 3) i redditi di qualsiasi natura ed i cespiti in godimento diretto (Cass. 13.1.1987, n. 170). Quando il coniuge separato costituisca un nuovo rapporto di convivenza caratterizzata dalla stabilità, è corretto attribuire rilievo, ai fini della quantificazione del suo diritto al mantenimento da parte dell'altro coniuge, alle prestazioni di assistenza che gli vengano corrisposte da parte del convivente more uxorio, quando esse escludano o riducano lo stato di bisogno, a condizione che abbiano carattere di stabilità ed affidabilità (Cass. 12 luglio 2007 n. 15611, 28 febbraio 2007 );
3) altre circostanze ex art. 156, II co., cod. civ.: la norma contempla quelle situazioni in cui, pur in presenza di una possibilità di lavoro per il coniuge beneficiario, questi, cui non è addebitabile la separazione, non può essere costretto a ridimensionare e a trasformare un sistema di vita, soprattutto quando, vista l'età in genere matura, non gli è possibile dare inizio o riprendere una attività lavorativa.