Perseverare è diabolico!
Corte di Cassazione Sez. Quinta Pen. - Sent. del 11.4.2011, n. 15230 - Mariagabriella Corbi
La Corte di Cassazione, sentenza n. 15230/2011, ha respinto il ricorso presentato da una ex moglie che, non dandosi per vinta, persisteva nel compiere atti vessatori nei confronti dell’ex coniuge, inoltrandogli sms denigratori tramite il cellulare di un collega e pubblicizzando calunnie circa un ipotetico traffico di sostanze stupefacenti a opera della intera famiglia dell’ex. Per tale comportamento già il Tribunale del riesame di Bari, in qualità di Tribunale d’Appello, confermando l’ordinanza del Gip di Bari, condannava la donna agli arresti domiciliari oltre il preesistente divieto di avvicinamento. A nulla sono valse le motivazioni addotte dai difensori nell’atto di appello per scongiurare una condanna severa quali: incensuratezza, svolgimento di attività lavorativa quale funzionario della Regione Puglia, assunzione di sostanze mediche atte a reprimere atti impulsivi, eventi concretizzatisi dopo l’intervento del PM e degni di considerazione. Gli Ermellini, sebbene hanno “dato atto che la indagata è risultata affetta da una patologia di tipo paranoideo che, da un lato, rappresenta una probabile chiave di lettura degli eventi al vaglio della accusa e, dall’altro, non è ritenuta del tutto risolta a causa della recente instaurazione della terapia: questa, essendo in corso, non ha prodotto effetti stabilizzati e non da garanzia della cessazione delle condotte aggressive e persecutorie ai danni della persona offesa”- essendo tale cura anche su base volontaria - hanno rigettato e condannato la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Molti adulti vivono la paura di essere abbandonati e questa è così forte da non essere controllabile fino a regredire allo stadio di bambini impauriti, distruggendo i rapporti che creano in maniera inconscia obbligando i loro partners ad agire. L’unica cosa che ovviamente vorrebbero evitare è l’abbandono. Quante volte da piccoli si è sofferto per la mancanza di qualcuno, magari della madre che esce per andare a lavorare? Diverse ricerche e studi di psicologia hanno evidenziato che casi del genere, ad esempio, possono riaffiorare nella fase adulta. L’”abbandono” é una “sindrome” che si palesa con una dinamica compulsiva, il soggetto che razionalmente sa che ciò che “sente” è distruttivo e senza senso ma, dal punto di vista emotivo, si trova costretto a vivere e ad agire senza che possa opporre la sua volontà. La sensazione che provano le persone nella sindrome di abbandono è una vera e propria “fame” indotta dalla convinzione di non essere state soddisfatte dal punto di vista affettivo ed emotivo. Sintomi di una patologia che investe il senso di sé e della propria cura che, in tal guisa, li rende incapaci d’individuare quelle risorse personali; né possiedono il senso della “costanza oggettiva” che li renderebbe appagati sentendosi affettivamente nutriti anche quando l’altra persona è assente e non supporta fisicamente “come una madre”. Lo stato di continuità e la percezione di “poter contare” costituiscono la base indispensabile per strutturare un “mondo stabile interiore” che vada al di là della paura dell’abbandono, sulla solidità emotiva e sul senso di valore personale. Infatti è lo spauracchio di “restare soli” che genera la metamorfosi perché viene intesa come una vera e propria morte.
Mariagabriella Corbi
LaPrevidenza.it, 29/04/2011