Diffamazione e diritto di cronaca
Diritto - Giornalismo
Diffamazione e diritto di cronaca.
Premesso che il giornalismo di denuncia è tutelato dal principio costituzionalmente garantito della libertà di manifestazione del pensiero, previsto dall'art. 21 Cost., in contesti in cui sussiste l'interesse pubblico alla notizia dell'indagine giornalistica e quindi il diritto della collettività a essere informata anche su temi di particolare rilievo che riguardano la libertà, la sicurezza, la salute ecc. gli stessi devono essere espressi in modo motivato e argomentato. Per quanto concerne l'individuazione dei termini di compatibilità tra il delitto di diffamazione e il diritto di cronaca, si ribadisce ancora una volta le tre condizioni sulla base delle quali l'esercizio del diritto di cronaca può avere efficacia scriminante rispetto al reato di diffamazione, si tratta in particolare del rispetto dei limiti della verità, pertinenza e della continenza.
La Cass. pen. sentenza n. 17495/2023, chiarisce le cautele cui è tenuto un giornalista che intervisti una persona la quale renda dichiarazioni in grado di pregiudicare la reputazione di terzi soggetti. Il collegio richiama in premessa il complesso degli indirizzi interpretativi nazionali e sovranazionali formatisi nel tempo attorno alle condizioni di operatività della scriminante del diritto di cronaca e critica. Sono quindi citate le decisioni di legittimità che devono e hanno l'obbligo di rispettare i parametri della verità, della continenza e della rilevanza pubblica e riconosciuto il favore ordinamentale e della giurisprudenza nazionale e sovranazionale per il libero esercizio dell'attività giornalistica, fondamentale per lo sviluppo della dialettica democratica e per la formazione delle opinioni sui temi di interesse sociale. Viene poi in rilievo un'importante decisione delle Sezioni unite penali (Sez. Unite n. 37140 del 30/5/2001, si è chiarito che la condotta del giornalista il quale, pubblicando il testo di un'intervista, vi riporti pedissequamente le dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell'altrui reputazione, non è scriminata dall'esercizio del diritto di cronaca, poiché chi 1 intervista ha comunque il dovere di controllare la veridicità delle circostanze e la continenza delle espressioni riferite; vi si è al tempo stesso precisato che la stessa condotta deve ritenersi scriminata qualora il fatto in sé dell'intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili d'interesse pubblico all'informazione tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l'esercizio del diritto di cronaca.
In tal caso, si esclude in giurisprudenza che il giornalista sia tenuto a svolgere indagini sulla attendibilità del dichiarante (testimone, coimputato o "pentito", essendo lo stesso tenuto ad accertare che la dichiarazione sia stata effettivamente resa e in quale contesto. Nell'ambito della cronaca giudiziaria, la notizia deve essere completa, veritiera, nel rispetto per la tutela della reputazione della persona interessata. Bisogna aver riguardo alla verità della notizia quale risulta nel momento in cui viene diffusa, con la conseguenza che nel caso in cui la notizia riguarda un fatto oggetto di denuncia risalente nel tempo, bisognevole di una verifica da parte del giudice e, quindi suscettibile di modifiche, è necessario che il giornalista verifichi nel momento della sua pubblicazione se siano nelle more intervenute circostanze capaci di influire sulla verità del fatto e non fare un copia e incolla.
È tuttavia ugualmente consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui la tutela della reputazione della persona offesa nei confronti della stampa appare recessiva laddove l'interesse del pubblico a essere informato è costituito proprio dal fatto che un particolare soggetto abbia reso quelle dichiarazioni. In tali casi, è l'intervista che deve risultare vera e la verifica di "continenza" va approntata rispetto alla forma in cui viene proposta al pubblico e non avuto riguardo al suo contenuto, sicché il giornalista risponderà solo degli eventuali commenti o precisazioni apportate a quanto riferito dall'intervistato ovvero, qualora ciò non venga riportato testualmente, della sintesi o parafrasi autonomamente compiuta o ancora, nel caso in cui dalla suggestività delle domande o da altri indici e dal contesto possa ritenersi che l'autore dell'articolo non si sia limitato a ricevere le dichiarazioni dell'intervistato, ma ne sia in qualche modo l'occulto coautore.
Questa evoluzione interpretativa è perfettamente allineata alla giurisprudenza della Corte EDU la quale, operando in sede interpretativa dell'art. 10 della Convenzione, ha rammentato che «quando i giornalisti riprendono delle dichiarazioni fatte da una terza persona, il criterio da applicare consiste nel chiedersi non se tali giornalisti possano dimostrare la veridicità delle dichiarazioni in questione, ma se abbiano agito in buona fede e si siano conformati all'obbligo che normalmente hanno di verificare una dichiarazione fondandosi su una base reale sufficientemente precisa e affidabile che possa essere considerata proporzionata alla natura e alla forza di quanto affermano, sapendo che più l'affermazione è seria, più la base fattuale deve essere solida».
Così, l'aver attribuito la qualifica di imputato a persona che, invece, in quel momento non lo è o non ha assunto ancora tale veste processuale, integra gli estremi del delitto di diffamazione. In conclusione, il giornalista può beneficiare dell'esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie a lui rilasciate, se riportate fedelmente e in modo imparziale, senza commenti e chiose intese a creare falsi convincimenti a margine, tali da renderlo dissimulato coautore e sempre che l'intervista presenti profili di interesse pubblico all'informazione, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti (dunque dell'intervistato, ma anche della persona offesa dalla diffamazione), al suo oggetto e al contesto delle dichiarazioni rilasciate (Sez. 5, n. 16959 del 21/11/2019) e che risponde secondo gli ordinari parametri di valutazione per i commenti e le espressioni, poste a margine dell'intervista, che non si limitino a riassumerne il contenuto o a commentarlo, ma che riportino fatti o opinioni diversi o anche antagonisti rispetto al contenuto delle dichiarazioni rilasciate (Sez. 5, n. 51235 del 9/10/2019). Questo perché, se il compito del giornalista è quello di riportare fedelmente in funzione di una completa informazione il pensiero e il giudizio del soggetto "autorevole", pur se lesivo dell'altrui reputazione, l'intervistatore non deve amplificare, in assenza di un rigoroso accertamento della verità del narrato, il contenuto lesivo dell'informazione, cambiandola, avendo così portata diffamatoria delle dichiarazioni.
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Profilo autore
(Vincenzo Mennea)
LaPrevidenza.it, 05/12/2023