Ottemperanza: il Consiglio di
Stato muta orientamento sull’ammissibilità dell’astreinte nel caso di pagamento di somme di danaro
Avvocato Sabrina Cestari
L'art. 114 comma 4, lett. e) c.p.a. ha introdotto l'istituto
della c.d. penalità di mora (o astreinte),
già regolato per il processo civile, con riguardo alle sentenze aventi per
oggetto obblighi di fare infungibile o di non fare, dall'art. 614 bis del c.p.c, aggiunto dall'art. 49 della legge n. 69/2009.
Si tratta di una misura coercitiva
indiretta a carattere pecuniario, modellata sulla falsariga dell'istituto
francese dell' astreinte,
che mira a vincere la resistenza del debitore, inducendolo ad adempiere
all'obbligazione sancita a suo carico dall'ordine del giudice.
La misura della
penalità di mora può trovare applicazione se sussistono tutti i tre presupposti
stabiliti dall' art. 114 comma 4, lettera e), c.p.a.,
ossia quello positivo, costituito dalla richiesta di parte e quelli negativi,
costituiti dall'insussistenza di profili di manifesta iniquità e dall'insussistenza
di altre ragioni ostative.
Dall’introduzione dell’istituto
si è posto il problema di stabilire se lo stesso sia ammissibile solo nel caso
di obblighi di fare infungibile o non fare oppure anche nel caso di pagamento
di somme di danaro.
La risposta della giurisprudenza
è stata inizialmente negativa (Tar Campania Napoli n. 2162/2011, Tar Lazio Roma n. 10305/2011, Tar
Lazio Roma, Sez. II, n. 9037/2012, Tar Campania,
Napoli Sez. IV, n. 4887/2012), considerandosi l’iniquità del pagamento di una
somma di danaro ulteriore per il ritardo rispetto alla tutela già offerta
dall’ordinamento per le obbligazioni pecuniarie.
Successivamente l’orientamento è mutato, così la misura è stata considerata applicabile anche
alle sentenze di condanna pecuniarie della p.a., trattandosi, secondo il
Consiglio di Stato, di un modello normativo che assolve ad una finalità
sanzionatoria e non risarcitoria, in quanto non volta a riparare il pregiudizio
cagionato dalla non esecuzione della sentenza, ma a sanzionare la disobbedienza
alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all' adempimento (Consiglio
di Stato sez. V n. 6688/2011, Consiglio
di Stato sez. V n. 2744/2012, Consiglio
di Stato sez. VI n. 4523/2012, Consiglio di Stato sez. VI n. 4685/2012, Consiglio
di Stato sez. III n. 2933/2013).
Il Consiglio di Stato aveva in
particolare sottolineato che, nell'ambito del processo
amministrativo, l'istituto presenta un portata applicativa più ampia che nel
processo civile, in quanto l'art. 114, comma 4, lettera e), del c.p.a. non ha
riprodotto il limite, stabilito della norma di rito civile, della riferibilità
del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi per oggetto
un non fare o un fare infungibile.
La fine dello scorso anno ha
registrato, tuttavia, il ritorno del pregresso orientamento negativo.
Il Tar Lazio, infatti, in una sentenza del novembre scorso (Tar Lazio
Roma n. 9364/2013) ha ritenuto di disattendere l’indirizzo positivo espresso
dal Consiglio di Stato, affermando che non è possibile far ricorso alla
astreinte quando l'esecuzione del giudicato consista nel pagamento di una somma
di denaro, posto che in questo caso l'obbligo oggetto di domanda giudiziale di
adempimento è esso stesso di natura pecuniaria ed è già assistito, a termine
del vigente ordinamento, per il caso di ritardo nel suo adempimento,
dall'obbligo accessorio degli interessi legali, cui la somma dovuta a titolo di
astreinte andrebbe ulteriormente ad aggiungersi.
Secondo il Tar Lazio, inoltre,
qualora il giudizio di ottemperanza fosse prescelto dalla parte per
l'esecuzione di sentenza di condanna pecuniaria del giudice ordinario, la tesi
favorevole alla ammissibilità della applicazione della
astreinte finirebbe per consentire una tutela diversificata dello stesso
credito a seconda del giudice dinanzi al quale si agisca.
Invero, il creditore pecuniario dell' amministrazione pubblica nel giudizio di ottemperanza
potrebbe ottenere maggiori e diverse utilità rispetto a quelle conseguibili nel
giudizio di esecuzione civile (ove in base alla pressoché unanime
interpretazione, l'istituto del 614-bis c.p.c. è applicabile alle sole condanne
ad un facere infungibile), e tanto semplicemente in base ad una opzione
puramente potestativa.
Il Tar evidenzia, altresì, nella
succitata sentenza, che, nel caso in cui la
domanda di applicazione della penalità di mora, sia stata proposta unitamente
alla domanda di nomina di un Commissario ad acta ai sensi dell'art. 114, comma
4, lettera d), c.p.a,, ove si prestasse adesione all'orientamento secondo il
quale la misura della astreinte può trovare applicazione anche nel caso di
sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro, si dovrebbe affrontare il
problema della compatibilità di tale misura con la nomina del Commissario.
A tal riguardo la giurisprudenza (Tar Piemonte Torino, Sez. I, n. 1386/2012) ha già avuto modo di
sottolineare che la nomina del commissario ad acta, per il caso di persistente
inerzia dell'Amministrazione, escluderebbe la possibilità di condannare quest' ultima
anche al pagamento della astreinte, perché diversamente opinando si correrebbe
il rischio di far gravare, ingiustamente, sull'amministrazione le conseguenze
sanzionatorie di eventuali ulteriori ritardi imputabili non ad essa, bensì
all'ausiliario del giudice.
La sentenza del Tar Lazio è stata
seguita da una nuova sentenza del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato sez.
III n.
5819/2013 del 6/12/2013), nella quale i Giudici amministrativi, mutando il
proprio consolidato precedente orientamento, hanno affermato che l'astreinte non può trovare applicazione nel
caso di sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro.
Secondo il Consiglio di Stato, infatti,
come già affermato dal Tar Lazio, se il giudizio di ottemperanza fosse
prescelto dalla parte per l'esecuzione di sentenza di condanna pecuniaria del
giudice ordinario, la tesi favorevole all'ammissibilità dell'applicazione dell'astreinte finirebbe per consentire una tutela diversificata dello stesso credito a seconda del giudice dinanzi al quale si agisca.
Nel caso di esecuzione di
giudicato mediante pagamento di somma di denaro, deve ravvisarsi, inoltre, secondo
il Consiglio di Stato, la carenza del primo
presupposto negativo richiesto dalla legge ai fini dell’applicazione della
misura in oggetto, dal momento che l’obbligo derivante dal giudicato ha esso
stesso natura pecuniaria ed il suo adempimento è già tutelato dall’ordinamento.
Pertanto, all’obbligo accessorio del pagamento degli interessi e della rivalutazione
si aggiungerebbe quello derivante dall’astreinte, con conseguente
duplicazione ingiustificata di misure volte a ridurre l’entità del pregiudizio derivante
all'interessato dalla violazione, inosservanza o ritardo nell'esecuzione del
giudicato, creando un ingiustificato arricchimento del soggetto già creditore
della prestazione principale e di quella accessoria.
Avvocato
Sabrina Cestari
(Sabrina Cestari)
LaPrevidenza.it, 24/02/2014