in persona della dott.ssa XXXX, all'udienza del 24 aprile 2019 ha pronunciato la seguente
... OMISSIS ...
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato il 20 aprile 2016 il ricorrente in epigrafe, dipendente della convenuta dal 21.9.87, deducendo di aver subito negli anni, in particolar modo a partire da agosto 2011, una dequalificazione professionale discriminatoria e ritorsiva, ha chiesto condannare la società resistente a risarcirle a tale titolo tutti i relativi danni patrimoniali, quantificati in E 231.675,00, oltre al danno da perdita di chances, e non patrimoniali, a titolo di danno biologico e danno esistenziale, nelle misure specificamente indicate o nella diversa misura ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione e interessi; con vittoria delle spese di lite, da distrarsi a favore dei procuratori.
Si è costituita in giudizio la resistente affermando l'infondatezza della domanda e chiedendone il rigetto.
Quindi, sulla documentazione in atti, espletata la prova testimoniale articolata dalle parti, concesso termine per il deposito di note, all'udienza del 24 aprile 2019 la causa è passata in decisione come da dispositivo e contestuale motivazione, di cui è stata data pubblica lettura in udienza.
La domanda è in parte fondata e va pertanto accolta per quanto di ragione.
Il ricorrente lamenta di essere stato progressivamente demansionato, e specificamente di essere stato lasciato sostanzialmente inattivo dal 2008, dopo essere arrivato a ricoprire nel 2006 l'incarico di Responsabile dell'Help Desk presso la Bcc Gestione Immobiliare, dove era stato contestualmente distaccato e dove coordinava vario personale dipendente di diverse società del Gruppo ICCREA, e dopo essere stato fatto rientrare nel 2007 in ICCREA Banca s.p.a., per continuare a svolgere la medesima attività di responsabile Help Desk, ma solo per ICCREA Banca e coordinando un'unica risorsa. Afferma che il suo ruolo di responsabile del servizio informatico era stato nel frattempo assegnato a Gi. Da., e di essere lui invece rimasto a lavorare presso ICCREA Banca svolgendo compiti marginali di natura amministrativa, quali gestione degli archivi, previsione del budget per l'acquisto di software e hardware, dopo che l'attività di Help Desk di cui era responsabile era stata integralmente trasferita, a gennaio 2008, a Bcc Gestioni Immobiliari. Sostiene di essere stato infine lasciato totalmente privo di compiti da agosto 2011 quando, avendo ricevuto la formale promozione a QD3, è stato assegnato al Servizio Approvvigionamento senza che a tale assegnazione sia conseguita l'attribuzione di specifiche responsabilità, pur a seguito del decesso del responsabile, dott. Lu., le cui funzioni di coordinamento e gestione della struttura sono state svolte, ad interim, dal dirigente responsabile della U.O. Coordinamento Ciclo Operativo Aziendale, dott. Ci..
La circostanza è stata confermata dallo stesso Ci., sentito come teste, il quale ha riferito che: ... nel 2011 ero responsabile della U.O. Coordinamento Ciclo Operativo Aziendale. Ho lavorato con Fe. Da. presso la U.O. Gestione Servizi Generali, ex Servizio Approvvigionamento, ma non ricordo in quale periodo, ma ricordo che ciò è avvenuto per circa un paio di anni. Presso quell'Ufficio il sig. Da. non aveva specifiche mansioni in quanto era impegnato nelle attività sindacali e l'Ufficio Approvvigionamento richiedeva una continuità di presenza... Pertanto, in sostanza in questo periodo il Da. non ha avuto assegnato alcun incarico lavorativo. Ciò per tutto il periodo in cui ha lavorato al Servizio Approvvigionamento ... il ricorrente venne a chiedermi di assegnargli delle mansioni ma ciò non è stato possibile in quanto era incompatibile con la sua attività sindacale.
Anche il teste Ma. ha riferito della mancanza di compiti specifici, assegnati al ricorrente da agosto 2011: ...dal 1990 sono collega del ricorrente. Lavoro presso l'Ufficio Commerciale e non ho mai lavorato nello stesso ufficio del ricorrente. Tuttavia, poiché sono Segretario Responsabile della CISL aziendale, ho avuto modo di parlare con il Capo Servizio del personale di Ic. Bo., con il Capo Servizio del personale di Iccrea Holding, dott. Ia., e con il Capo Servizio, dott. Tr., del problema relativo alla collocazione lavorativa del ricorrente dopo che era stato promosso a QD3. Con il Dott. Ia. avevamo convenuto di assegnarlo alla struttura della Segreteria Generale ed il ricorrente aveva accettato anche se avrebbe preferito rimanere nella struttura di appartenenza che era l'EDP. Ciò è avvenuto nell'estate del 2011 in previsione dell'imminente pensionamento del dott. Lu. che rivestiva l'incarico di Capo Servizio e che il ricorrente avrebbe dovuto sostituire. Il dott. Lu., tuttavia, rimase a lavorare e sorse il problema dell'assegnazione di ruolo del ricorrente che sulla carta era stato nel frattempo trasferito alla Segreteria Generale. Ho parlato varie volte del problema con il dott. Ci. che era Capo Divisione della Segreteria Generale, facendogli presente che occorreva assegnare un incarico al ricorrente. Ad un certo momento sia il Bo. che il Ci., proposero di assegnare il ricorrente in staff di Ci., ma tale proposta non è mai stata messa in atto. Il Da., quindi, dalla data del suo formale trasferimento presso la Segreteria Generale non ha avuto l'attribuzione di alcun incarico.
A sua volta il teste No., che ha affermato di aver lavorato con il ricorrente dal 2011 presso la U.O. Approvvigionamento, come Capo Ufficio, ha confermato che il suddetto era in realtà privo di incarichi, e di non averlo mai visto partecipare a riunioni o svolgere attività lavorativa, e ciò anche successivamente al passaggio presso la Bcc Solutions, che aveva poi interessato tutti gli addetti alla U.O.
Approvvigionamento, tranne il dirigente dott. Ci.. Il suddetto teste ha in particolare riferito che: Nel 2011 io lavoravo presso la U.O. Approvvigionamento, inquadrato come Capo Ufficio. In quell'anno il ricorrente venne trasferito presso il suddetto ufficio, ma ricordo che io ed altri due colleghi andammo a parlare con il Capo del Personale Bo., facendogli presente che il ricorrente aveva un inquadramento superiore al nostro e ci avrebbe ostacolato nella nostra crescita professionale. Preciso che il quel periodo il Responsabile dell'Ufficio era il dott. Lu. e non sapevamo che compiti avrebbe dovuto svolgere il dott. Da..
L'ing. Bo. disse che il trasferimento del ricorrente non ci avrebbe comportato alcun problema perché non avrebbe avuto compiti da svolgere. Ed effettivamente il Da. è stato presente in ufficio, ma non lo abbiamo mai visto partecipare a riunioni, né svolgere attività lavorativa. Ciò è rimasto così fino al passaggio presso Bcc Solutions che ha interessato tutti coloro che lavoravano presso la U.O. Approvvigionamento tranne il dirigente dott. Ci.. Io sono rimasto nella nuova società solo un anno e tra mese e poi sono ritornato in Iccrea Banca. In questo periodo ho continuato a vedere il ricorrente presente in ufficio, ma non l'ho visto impegnato in attività lavorative... .
Quanto infine al teste Bo., il medesimo ha affermato: Sono stato Capo del Personale di Iccrea Banca fino alla fusione con Iccrea Holding ... Il ricorrente ha sempre svolto attività sindacale che gli ha comportato un impegno quantificabile all'incirca sull'80% del tempo a disposizione. Nel residuo 20% è stato assegnato ad attività di natura informatica o attività al servizio dell'attività di natura informatica, tipo budgeting, reporting, consuntivazione. Di tali attività il ricorrente si occupava già dal 1995 e ha continuato ad occuparsene successivamente. Preciso che ad agosto 2011 il ricorrente è stato assegnato alla U.O. Approvvigionamento dove si è occupato di reportistica ed altro, ossia di attività in staff all'unita organizzativa. Tale incarico ha ricoperto fino al distacco presso Bcc Solutions avvenuto a gennaio 2016. Presso tale nuova società il ricorrente sostanzialmente continua ad occuparsi delle medesime attività in quanto la società si occupa di servizio infrastrutturali di tutto il Gruppo...il Dott. Lu. era il Responsabile della U.O. Approvvigionamento. Non mi risulta che il Dott. Da. lo avrebbe dovuto sostituire ... .
Sicché in definitiva dalle dichiarazioni di tutti i testi, tranne in parte il Bo., è emerso che effettivamente il ricorrente, almeno dall'agosto 2011, data della sua promozione a QD3 e del suo passaggio dall'Help Desk all'U.O.
Approvvigionamento, non solo non ha ricevuto l'attribuzione di alcun incarico confacente al nuovo livello di inquadramento, ma addirittura nemmeno equivalente ai compiti di responsabile precedentemente ricoperti presso l'Help Desk. Né tale situazione può trovare giustificazione, come vorrebbe parte resistente, con l'attività sindacale svolta dal Da. all'interno dell'azienda, che lo avrebbe tenuto impegnato per la quasi totalità dell'orario lavorativo. A tal proposito occorre infatti rilevare che, sebbene i testi abbiano effettivamente dato atto di tale attività, e del notevole impegno che essa richiedeva al ricorrente, ciò certamente non giustifica una totale sottrazione di mansioni lavorative, come quella che è risultata essere stata posta in essere nei confronti del Da..
D'altronde il suddetto ha evidenziato, nelle note conclusive, come la medesima attività sindacale, da lui svolta almeno da vent'anni prima, non gli abbia in passato impedito di rivestire ruoli di responsabilità all'interno della società fino al 2007, e come egli stesso abbia più volte sollecitato l'attribuzione di compiti specifici, a fronte dell'inattività in cui la società datrice di lavoro l'aveva relegato, come confermato dai testi Ci. e Ma..
Accertato pertanto l'avvenuto demansionamento professionale del ricorrente, occorre rilevare che, secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai prevalente, la sola violazione dell'art. 2103 c.c. non comporta automaticamente il diritto al risarcimento del danno in quanto il prestatore di lavoro deve fornire specificamente la prova del danno derivante dal demansionamento, la quale costituisce presupposto indispensabile per una sua valutazione equitativa. Tale danno non si porrebbe infatti quale conseguenza indefettibile di ogni comportamento illegittimo del datore di lavoro, sicché non sarebbe sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, facendo carico al lavoratore che denunzi il danno subito di fornirne la prova in base alla regola generale dell'art. 2697 cod. civ. (Cass. 11.8.1998, n. 7905; Id., 4.2.1997, n. 1026; Id., 14.5.2002, n. 6992; Id., 4.6.2003, n. 8904; Id., 28.5.2004, n. 10361).
Tale orientamento è stato confermato dalle Sezioni unite con sentenza 24.3.2006, n. 6572 (successivamente ripresa, tra le altre, da Cass. civ., 2.10.2006, n. 21282 e da Cass. civ., 15.9.2006, n. 19965) con cui è stato evidenziato che il demansionamento costituisce l'inadempimento del datore di lavoro, dal quale però non deriva immancabilmente il danno, sicché spetta al lavoratore innanzi tutto allegare specificamente circostanze di fatto idonee a dimostrare che tale danno si è verificato e di quale natura esso sia (professionale, biologico ed esistenziale).
Secondo le Sezioni Unite, in altre parole, per affermare la fondatezza della domanda risarcitoria per violazione dell'art. 2103 c.c. non può ritenersi sufficiente la prova del demansionamento, essendo invece necessario che sia offerta la prova, eventualmente anche mediante presunzioni, della sussistenza di circostanze di fatto dalle quali possa desumersi l'esistenza dei danni conseguenti all'inadempimento datoriale: la forma rimediale del risarcimento del danno, in altri termini, opera solo in funzione di neutralizzare la perdita sofferta, concretamente, dalla vittima, mentre l'attribuzione ad essa di un somma di denaro in considerazione del mero accertamento della lesione finirebbe con il configurarsi come somma - castigo, come una sanzione civile punitiva, inflitta sulla base del solo inadempimento, ma questo istituto non ha vigenza nel nostro ordinamento.
Nella specie l'esistenza di danni alla professionalità può essere presunta sulla base di elementi indiziari.
Il ricorrente, infatti, allega che il demansionamento subito non gli abbia consentito di preservare ed accrescere il proprio bagaglio professionale, interno all'azienda, comportando ciò uno svuotamento della propria professionalità.
La fondatezza di tali allegazioni si ritiene possa desumersi dalla circostanza che il ricorrente da epoca piuttosto risalente sia stato tenuto in una situazione di quasi totale inattività, che certamente gli ha impedito di arricchire il bagaglio professionale precedentemente acquisito ed anche di sviluppare ulteriori conoscenze.
Appare quindi equo liquidare il danno subito dal ricorrente in misura pari al 50% della retribuzione mensile percepita, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione al saldo. Tale somma è determinata in relazione alla quantità ed alla qualità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata dell'inattività e alle altre circostanze sopra descritte.
Quanto al richiesto danno da perdita di chances, il ricorrente non ha indicato, come era suo onere, specifiche progressioni di carriera o comunque diverse opportunità, che gli sarebbero state precluse in virtù del subito demansionamento.
Ne consegue il rigetto della domanda di risarcimento di tale voce.
Deve, poi, essere rigettata anche la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali asseritamente subiti dal ricorrente.
Lo stesso, infatti, a fondamento della propria richiesta di risarcimento del danno biologico ed esistenziale, si è limitato a produrre due certificati medici, del 2010 e del 2012, attestanti una sospetta cardiopatia, senza alcun riferimento alle presumibili cause della stessa, che possono essere molteplici e non necessariamente devono essere fatte risalire alla situazione lavorativa del Da. (docc. 30 e 31 prod. ricorr.). Tale allegazione, che peraltro dà atto di una patologia presente nel ricorrente sin da epoca antecedente il demansionamento, non consente di ritenere provata la sussistenza di danni non patrimoniali derivanti dall'accertato demansionamento, e di poter pertanto disporre una CTU medica al fine di procedere ad un'eventuale quantificazione, che avrebbe una finalità meramente esplorativa.
Del tutto generiche devono infine ritenersi le allegazioni in ordine al danno esistenziale, identificato nella diminuita capacità relazionale e nel disagio psicologico derivato al Da. dal comportamento aziendale, senza alcun riferimento a specifici episodi da cui desumere il prodursi di siffatti danni.
Il ricorso contiene inoltre l'affermazione del perpetrarsi di una situazione di mobbing nei confronti del Da., individuata sempre negli episodi di dequalificazione professionale posti in essere nei confronti del dipendente, che ne avrebbero mortificato la professionalità e personalità.
Va tuttavia osservato che la circostanza del demansionamento, pur provata, non integra automaticamente anche il mobbing, non potendo ritenersi di per sé nemmeno sintomatica di una dolosa condotta vessatoria posta in essere nei confronti del lavoratore.
Non sono stati infatti dedotti specifici episodi in grado di evidenziare una finalità specificamente tesa ad offendere il dipendente.
In definitiva, alla luce delle osservazioni innanzi svolte, e tenuto conto delle deduzioni in atti e dell'insegnamento della Suprema Corte, secondo cui: Per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità (Cass. civ., sez. lav., 17.2.09, n. 3785), alcun comportamento mobbizzante nei confronti del Da. può ritenersi ascrivibile alla resistente, già alla stregua della descrizione dei fatti contenuta in ricorso, che non rivelano alcun intento persecutorio e vessatorio nei confronti del ricorrente, quanto piuttosto una colpevole scarsa considerazione delle capacità professionali del suddetto, e del diritto del dipendente a svolgere attività lavorativa in concomitanza con quella sindacale.
Va poi sottolineato come, sebbene nelle conclusioni del ricorso sia adombrato un intento discriminatorio del datore di lavoro nei confronti del ricorrente, in nessuna parte del corpo dello stesso sono esplicitate le eventuali ragioni e modalità di tale discriminazione. In particolare, nel ricorso non si fa alcuna menzione dell'attività sindacale del Da. in azienda, come possibile ragione discriminatoria del demansionamento subito. Lo svolgimento della suddetta attività è infatti emerso solo a seguito delle difese di parte resistente, e nel corso della prova testimoniale.
Sicché di tale aspetto non può tenersi conto nella liquidazione del danno.
Le spese di lite seguono la soccombenza in misura della metà, tenuto conto del complessivo esito della lite, e si compensano per il residuo. Esse si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, in parziale accoglimento della domanda:
dichiara che Fe. Da. ha subito un demansionamento dall'1.8.2011 e, per l'effetto, condanna ICCREA Banca s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., al risarcimento del danno in favore del ricorrente in misura del 50% della retribuzione da ultimo percepita dal ricorrente, pari ad E 5.865,18 mensili, per ciascun mese di demansionamento, da agosto 2011 alla data di deposito del ricorso, oltre accessori dalla pubblicazione del presente provvedimento al saldo;
rigetta per il resto la domanda;
condanna ICCREA Banca s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., al pagamento della metà delle spese di lite a favore del ricorrente, con distrazione, che si liquidano per l'intero in E 9.565,00, oltre IVA, CPA e spese generali nella misura del 15%;
compensa tra le parti la residua metà.
Roma, 24 aprile 2019.
Depositata in Cancelleria il 24/04/2019