Danni da sangue infetto le Sezioni Unite si pronunciano sul valore probatorio del verbale di C.M.O.
Cassazione, Sezioni Unite sentenza 6.6.2023 n.
19129
Con pronuncia n. 15734/2018 la Suprema Corte, nei
giudizi risarcitori promossi contro il Ministero della Salute, aveva attribuito
natura di prova legale al verbale della Commissione medica di cui all’art. 4
della L. 25 febbraio 1992 n. 210 (in seguito: C.M.O.) che riconosca la
sussistenza del nesso causale fra l’emotrasfusione e la malattia … ai fini
della liquidazione delle prestazioni assistenziali disciplinate dalla legge
richiamata.
Secondo la Cassazione, infatti, in questa fattispecie, nella quale le parti del
giudizio coincidono con quelle del procedimento amministrativo, l’accertamento
è imputabile allo stesso Ministero, che lo ha espresso per il tramite di un suo
organo, e, pertanto, nel giudizio di risarcimento del danno il giudice deve
ritenere “fatto indiscutibile e non
bisognoso di prova” la riconducibilità del contagio alla trasfusione.
Il principio era stato condiviso da numerose pronunce successive (si veda ad
esempio Cass. n. 13008/2020).
Con ordinanza interlocutoria n. 32077/2022 la Terza Sezione Civile della Corte
si poneva in contrasto con questo orientamento, evidenziando come, al di fuori
del procedimento amministrativo per la concessione dell’indennizzo, il verbale costituisce
prova legale ex art. 2700 c.c. solo limitatamente ai fatti che la commissione
attesta essere avvenuti in sua presenza o dalla stessa compiuti, mentre le
valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione
espresse forniscono unicamente materiale indiziario, soggetto al libero
apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della
prova, ma non può attribuire alle stesse il valore di vero e proprio
accertamento.
La Terza Sezione rimetteva, pertanto, gli atti al Primo Presidente, che
assegnava il ricorso alle Sezioni Unite.
Le predette Sezioni Unite si sono pronunciate sulla questione con sentenza n.
19129/2023, con la quale hanno escluso che al verbale citato possa attribuirsi
valore di prova legale, come tale vincolante per il giudice.
Le Sezioni Unite evidenziano innanzi tutto come, dalla normativa vigente, si
tragga la conclusione che le C.M.O. sono estranee all’organizzazione del
Ministero della Salute … e costituiscano articolazioni del Ministero della
Difesa, ad esse è semplicemente affidata, per effetto di specifiche
disposizioni di legge, la competenza ad esprimere valutazioni tecniche, che
integrano atti endoprocedimentali strumentali all’adozione di provvedimenti
riservati a Ministeri diversi da quello di appartenenza … La Commissione
medica, quindi, nell’effettuare l’accertamento alla stessa demandato … , non
agisce quale organo del Ministero della Salute e la valutazione espressa
impegna quest’ultimo, anche in sede amministrativa, nei soli limiti della
disciplina dettata per il procedimento nel quale l’atto si inserisce.
Le Sezioni Unite evidenziano, altresì, come nel giudizio avente ad oggetto la
prestazione assistenziale … opera il principio, sancito dall’art. 147 disp.
att. c.p.c., secondo cui “sono privi di
qualsiasi efficacia vincolante, sostanziale e processuale, … le collegiali
mediche, quale ne sia la loro natura”, sicché in quella sede, nella quale
non è precluso all’amministrazione contestare anche la sussistenza del nesso
causale, seppure affermato dalla commissione medica, il giudice è tenuto ad
accertare tutti gli elementi costitutivi della prestazione della quale si
discute (cfr. Cass. 6 aprile 2021 n. 9235, Cass. 30 marzo 2006 n. 7548, Cass.
22 maggio 2006 n. 11908 in tema di invalidità civile e Cass. 27 novembre 2017
n. 28262 pronunciata in fattispecie nella quale veniva in rilievo l’indennizzo
emotrasfusionale).
Un principio che ha trovato avallo nelle pronunce di queste Sezioni Unite che,
sia pure in sede di regolamento di giurisdizione e con riferimento alle
attività accertative poste in essere da Commissioni mediche diverse da quella
che qui viene in rilievo, hanno ripetutamente affermato che il giudizio
formulato dalle commissioni mediche all’esito degli accertamenti disposti è
espressione di discrezionalità tecnica, non amministrativa, e, pertanto, va
esclusa la natura provvedimentale dell’atto adottato, che è meramente
strumentale e si inserisce nel procedimento in ragione della funzione di
“certazione” attribuita dal legislatore alle commissioni medesime (Cass. S.U.
23 ottobre 2014 n. 22550; Cass. S.U. 22 novembre 2006 n. 24862; Cass. S.U. 11
dicembre 2003 n. 18960 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione).
Ne consegue che il verbale della C.M.O. non ha valore di prova legale … persino
nel giudizio nel quale si discute della prestazione assistenziale, in relazione
alla quale il procedimento amministrativo viene avviato e svolto.
Le Sezioni Unite evidenziano, ulteriormente, che l’affermazione enunciata da
Cass. n. 15734/2018, secondo cui “l’accertamento
della riconducibilità del contagio ad un’emotrasfusione compiuto dalla
Commissione….non può essere messo in discussione dal Ministero…ed il giudice
deve ritenere detto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova…” nella
sostanza … finisce per ravvisare una confessione nell’accertamento del nesso
causale contenuto nel parere tecnico. Il principio non può essere condiviso,
oltre che per quanto si è illustrato nei punti che precedono, per l’assorbente
ragione che il nesso causale non è un fatto obiettivo, ma una relazione che
lega un’azione o un’omissione ad una data conseguenza, che non si sarebbe
verificata ove la condotta non fosse stata tenuta o l’azione doverosa non fosse
stata omessa.
Invero, la confessione non può avere ad oggetto giudizi, opinioni o assunzioni
di responsabilità, e riguarda solo “fatti”,
la cui qualificazione giuridica è comunque riservata al giudice. … E’ da
escludere, pertanto, che possa essere oggetto di confessione l’affermazione del
nesso causale fra l’emotrasfusione ed il contagio, sia nell’ipotesi in cui
detto accertamento sia contenuto nel solo verbale della Commissione medica
(come accade nei casi di rigetto della domanda amministrativa per ragioni
diverse dall’insussistenza della necessaria causalità), sia qualora il
procedimento si concluda con il riconoscimento dell’indennizzo in favore del
richiedente, atteso che anche quel provvedimento è espressione di
discrezionalità tecnica e presuppone, non una dichiarazione di scienza, bensì
una valutazione sulla sussistenza dei requisiti richiesti ai fini dell’accesso
alla prestazione assistenziale.
Peraltro questo non significa che nel giudizio promosso nei confronti del
Ministero della Salute per il risarcimento del danno derivato
dall’emotrasfusione l’accertamento effettuato in sede amministrativa del nesso
causale fra quest’ultima e l’insorgenza della patologia non possa essere
utilizzato ai fini della prova del nesso medesimo, che deve essere offerta
dalla parte che agisce in giudizio. Il diritto all’indennizzo ex lege n. 210
del 1992 e quello al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., che
l’ordinamento riconosce come concorrenti, presuppongono entrambi un medesimo
fatto lesivo, ossia l’insorgenza della patologia, derivato dalla medesima
attività (cfr. in motivazione Cass. S.U. 11 gennaio 2008 n. 584), e l’azione di
danno si differenzia da quella finalizzata al riconoscimento della prestazione
assistenziale essenzialmente perché richiede anche che l’attività trasfusionale
o la produzione di emoderivati siano state compiute senza l’adozione di tutte
le cautele ed i controlli esigibili a tutela della salute pubblica. Si è in
presenza, quindi, di diritti e di azioni che presentano elementi costitutivi
comuni.
Premesso questo, le Sezioni Unite riconoscono valenza probatoria al
provvedimento che, sulla base dell’istruttoria svolta e del parere tecnico
acquisito, disponga la liquidazione dell’indennizzo in favore del richiedente,
sul presupposto dell’avvenuto accertamento in sede amministrativa dei requisiti
tutti che integrano gli elementi costitutivi del diritto alla prestazione
assistenziale, elementi tra i quali rientra … il nesso causale che lega
emotrasfusione e patologia indennizzata. Pertanto, l’atto con il quale
l’amministrazione si riconosce debitrice della provvidenza assistenziale
presuppone la valutazione positiva della derivazione eziologica, valutazione
che se da un lato, in quanto tale, non può integrare una confessione,
dall’altro costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a
giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per
tale via, il nesso causale.
Ne consegue che qualora il danneggiato produca in giudizio il provvedimento di
liquidazione dell’indennizzo e/o dell’assegno una tantum o reversibile ex art.
2, comma 3 della legge 210/1992 il Ministero della Salute, nel costituirsi in
giudizio, non potrà limitarsi alla generica contestazione del nesso causale ed
all’altrettanto generica invocazione della regola di riparto dell’onere
probatorio fissata dall’art. 2697 c.c., poiché la presunzione “forte” che dal riconoscimento
amministrativo discende, seppure semplice e non legale, richiede, per essere
superata, che vengano allegati specifici elementi fattuali non potuti
apprezzare in sede di liquidazione dell’indennizzo o sopravvenute acquisizioni
della scienza medica, idonei a privare la prova presuntiva offerta dei
requisiti di gravità, precisione e concordanza che la caratterizzano.
Tutto questo, peraltro, non realizza alcuna inversione dell’onere della prova,
che resta a carico del danneggiato, perché la regola di giudizio qui enunciata
attiene alla idoneità dell’elemento presuntivo a consentire inferenze che ne
discendano secondo il criterio dell’id
quod plerumque accidit, idoneità che va ritenuta, salva l’allegazione di
contrari elementi specifici e concreti che rendano il primo inattendibile, sì
da impedire che sullo stesso possa essere fondato il giudizio di inferenza
probabilistica.
Avv.ti Sabrina Cestari e Alberto Cappellaro
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Profilo autore
(Sabrina Cestari)
LaPrevidenza.it, 06/12/2023