Modifiche al contratto di lavoro a termine, le indicazioni contenute nella circolare ministeriale
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circolare 9.10.2023 n. 9
Decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante "Misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro", convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85. Articolo 24, in materia di modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a termine.
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Il decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante "Misure urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al mondo del lavoro", convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85 è intervenuto a modificare la disciplina del contratto di lavoro subordinato a termine, di cui al Capo III del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. In proposito, al fine di garantire l'uniforme applicazione delle nuove disposizioni, sentito l'Ispettorato nazionale del lavoro e acquisito il parere finale dell'Ufficio legislativo, espresso con nota prot. 9686 del 6 ottobre 2023, si forniscono le prime indicazioni sulle innovazioni più significative introdotte dal decreto-legge n. 48 del 2023, come modificato in sede di conversione, anche in considerazione delle richieste di chiarimento finora pervenute a questo Ministero.
In primo luogo, occorre evidenziare che il decreto-legge n. 48 del 2023 ha lasciato inalterato il limite massimo di durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato che possono intercorrere tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, che resta fissato in ventiquattro mesi, fatte salve le diverse previsioni dei contratti collettivi, ai sensi dell'articolo 19, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015, e la possibilità di un'ulteriore stipula di un contratto a tempo determinato, della durata massima di dodici mesi, presso la sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 19. Non ha, altresì, subìto variazioni il numero massimo di proroghe consentite sempre quattro nell'arco temporale di ventiquattro mesi e il regime delle interruzioni tra un contratto di lavoro e l'altro (c.d. stop and go).
Il decreto-legge n. 48 modifica, invece, le specifiche condizioni che possono legittimare l'apposizione del termine al contratto di lavoro. In particolare, con l'articolo 24, il decreto-legge è intervenuto in modo significativo sulla disciplina delle condizioni (articolo 19 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 e successive modificazioni), delle proroghe e dei rinnovi (articolo 21), nonché sulle modalità di computo dei limiti percentuali di lavoratori che possono essere assunti con contratto di somministrazione (articolo 31).
Nello specifico, per quanto riguarda l'articolo 19 del decreto legislativo n. 81 del 2015, al comma 1 sono state del tutto soppresse le condizioni in precedenza riferite: · ad esigenze temporanee e oggettive estranee all'ordinaria attività (contemplate alla previgente lettera a); · ad esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell'attività ordinaria (di cui alla previgente lettera b)).
Con le nuove lettere a) e b) introdotte al comma 1 dell'articolo 19 del d.lgs. n. 81 del 2015, la riforma ha inteso valorizzare il ruolo della contrattazione collettiva nella individuazione dei casi che consentono di apporre al contratto di lavoro un termine superiore ai dodici mesi, ma in ogni caso non eccedente la durata massima di ventiquattro mesi, nel rispetto di quanto previsto dal comma 1 del medesimo articolo 19.
In proposito, la nuova lettera a) introdotta al comma 1 dell'articolo 19 del d.lgs. n. 81 del 2015 si limita a riaffermare la prerogativa, già in precedenza riconosciuta alla contrattazione collettiva, di individuare tali casi, purché ciò avvenga ad opera dei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dai contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali delle suddette associazioni, ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria. La nuova lettera b) del medesimo comma 1 esplicita che, in assenza delle previsioni di cui alla lettera a) - che richiama tutti i livelli della contrattazione collettiva - le condizioni possano essere individuate dai contratti collettivi applicati in azienda, fermo restando il rispetto delle previsioni di cui all'articolo 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015 in ordine alla qualificazione dei soggetti stipulanti, in un'ottica di valorizzazione della contrattazione di prossimità. La stessa lettera b) introduce, altresì, la possibilità che le parti del contratto individuale di lavoro - in assenza di specifiche previsioni contenute nei contratti collettivi - possano individuare esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva che giustificano l'apposizione di un termine al contratto di lavoro di durata superiore ai dodici mesi (ma ugualmente non superiore ai ventiquattro mesi).
Ai sensi di tale disposizione, si evidenzia che le parti individuali possono avvalersi solo temporaneamente di tale possibilità, entro la data del 30 aprile 2024, consentendo in tal modo alle Parti sociali di adeguare alla nuova disciplina i contratti collettivi sopra richiamati, le cui previsioni costituiscono fonte privilegiata in questa materia. Tale data è da intendersi come riferita alla stipula del contratto di lavoro, la cui durata, pertanto, potrà anche andare oltre il 30 aprile 2024.
Dovendo tenere ragionevolmente conto dell'evoluzione del quadro normativo, nell'ipotesi in cui nei contratti collettivi sia tuttora presente un mero rinvio alle fattispecie legali di cui al decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, le stesse potranno ritenersi implicitamente superate dalla nuova disciplina introdotta dal decreto-legge 4 maggio n. 48 del 2023, con conseguente possibilità di ricorso ai contratti collettivi applicati in azienda o, esclusivamente fino al 30 aprile 2024, all'esercizio dell'autonomia delle parti del contratto individuale di lavoro, secondo la nuova lettera b) dell'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2015.
Diversamente, nel caso in cui nei contratti collettivi sopra citati siano presenti causali introdotte in attuazione del regime di cui al previgente articolo 19, comma 1, lettera b-bis) - quest'ultima inserita dall'articolo 41-bis del decreto-legge n. 73 del 2021 -, data la sostanziale identità di tale previsione con le specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all'articolo 51 di cui al nuovo articolo 19, comma 1, lett. a), si ritiene che le suddette condizioni potranno continuare a essere utilizzate per il periodo di vigenza del contratto collettivo. Allo stesso modo, restano utilizzabili le causali introdotte da qualsiasi livello della contrattazione collettiva (come definita dal più volte richiamato articolo 51 del d.lgs. n. 81 del 2015) che individuino concrete condizioni per il ricorso al contratto a termine, purché non si limitino ad un mero rinvio alle fattispecie legali di cui alla previgente disciplina, ormai superata dalla riforma in esame.
Infine, la nuova lettera b-bis) riafferma la possibilità per il datore di lavoro, già prevista in precedenza, di far ricorso al contratto di lavoro a termine quando abbia la necessità di sostituire altri lavoratori.
Benché la formulazione letterale utilizzata dal decreto-legge n. 48 risulti in parte diversa rispetto alla previgente espressione, nella quale si faceva riferimento ad "(...) esigenze di sostituzione di altri lavoratori", si deve ritenere che resti fermo l'onere per il datore di lavoro di precisare nel contratto le ragioni concrete ed effettive della sostituzione, restando la stessa comunque vietata ai sensi dell'articolo 20, comma 1, lettera a) per i lavoratori che esercitano il diritto di sciopero.
L'individuazione delle ragioni della sostituzione appare ancora più necessaria nelle ipotesi in cui il datore di lavoro intenda avvalersi dei benefici previsti dalla legge per specifiche ipotesi di assunzione per sostituzione (ad esempio gli sgravi contributivi di cui all'articolo 4, commi 3 e 4, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151)
In linea con la finalità di razionalizzare e riordinare le condizioni che consentono il ricorso al contratto di lavoro a termine, il medesimo articolo 24, comma 1, del decreto-legge n. 48 ha abrogato il comma 1.1. dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 81 del 2015. Tale previsione era stata inserita dall'articolo 41-bis del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, come modificato dalla legge di conversione n. 106 del 23 luglio 2021, al fine di riconoscere temporaneamente, nell'ambito delle misure emergenziali introdotte per fronteggiare gli effetti occupazionali dell'emergenza sanitaria da SARS-CoV-2, la possibilità per i contratti collettivi di cui all'articolo 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015 di individuare specifiche esigenze per apporre ai contratti di lavoro subordinato un termine di durata superiore ai dodici mesi, ma comunque non eccedente ventiquattro mesi. Come già sopra evidenziato, tale possibilità viene ora stabilmente confermata dalla nuova lettera a) dell'articolo 19, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 81 del 2015.
Merita di essere richiamata anche la previsione di cui al comma 1, lettera c), dell'articolo 24, che - riportando la medesima disposizione già contenuta all'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87 - esclude l'applicazione dell'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2015 per i contratti di lavoro a termine stipulati dalle pubbliche amministrazioni, da università private (incluse le filiazioni di università straniere), da istituti pubblici di ricerca, da società pubbliche che promuovono la ricerca e l'innovazione ovvero da enti privati di ricerca con lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how, di supporto all'innovazione, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa. Per effetto di tale disposizione, ai contratti stipulati dai soggetti sopra indicati non si applicano né il termine massimo complessivo di ventiquattro mesi, né le nuove causali indicate dal decreto-legge n. 48/2023, restando ferme quelle previste dall'articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che consente l'utilizzo di tale tipologia contrattuale solo in presenza di "comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale". Tale indicazione è pertanto sempre necessaria, indipendentemente dalla durata del contratto di lavoro. Sul punto, fatti salvi eventuali chiarimenti che potranno essere forniti dal Dipartimento per la funzione pubblica, si precisa che la durata massima dei contratti a termine stipulati dai soggetti sopra richiamati continua ad essere di trentasei mesi, secondo quanto previsto dall'articolo 19, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015, nella formulazione previgente alla riforma di cui al decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87.
Con il comma 1-bis dell'articolo 24, il decreto-legge interviene, altresì, a modificare l'articolo 21 del richiamato decreto legislativo n. 81 del 2015. In particolare, al comma 01 dell'articolo 21 viene disciplinato con maggiore uniformità il regime delle proroghe e dei rinnovi che, nei primi dodici mesi, possono adesso intervenire liberamente senza specificare alcuna condizione, mentre viene confermato l'obbligo delle condizioni previste dall'articolo 19, comma 1, per eventuali periodi successivi ai dodici mesi.
Resta, altresì, fermo - al medesimo comma 01 - l'effetto della trasformazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato nei casi di violazione di quanto previsto al (nuovo) primo periodo dello stesso comma. In relazione alla distinzione fra le proroghe e i rinnovi, continua a trovare applicazione quanto illustrato nella circolare di questo Ministero n. 17 del 31 ottobre 2018, al paragrafo 1.1.
Con il comma 1-ter, aggiunto al testo originario dell'articolo 24 in sede di conversione del decreto-legge, si introduce una previsione che ha l'effetto di consentire ulteriori contratti di lavoro a termine privi di causale per la durata massima di dodici mesi, indipendentemente da eventuali rapporti già intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 48 del 2023. Più in particolare, la disposizione prevede che, ai fini del raggiungimento del limite massimo di dodici mesi (previsto sia dall'articolo 19, comma 1, sia dall'articolo 21, comma 01 del d.lgs. n. 81 del 2015), si tiene conto unicamente dei contratti di lavoro stipulati a decorrere dal 5 maggio 2023, data di entrata in vigore del decreto- legge in esame (pubblicato in G.U. in data 4 maggio 2023). Conseguentemente, eventuali rapporti di lavoro a termine intercorsi tra le medesime parti in forza di contratti stipulati prima del 5 maggio 2023 non concorrono al raggiungimento del termine di dodici mesi entro il quale viene consentito liberamente il ricorso al contratto di lavoro a termine.
Come detto, il comma 1-ter è stato introdotto nel testo del decreto-legge in sede di conversione, avvenuta con la legge 3 luglio 2023, n. 85, a sua volta entrata in vigore il 4 luglio 2023. Per effetto di tale previsione, a decorrere dal 5 maggio 2023 i datori di lavoro potranno liberamente fare ricorso al contratto di lavoro a termine per un ulteriore periodo (massimo) di dodici mesi, senza necessità di ricorrere alle specifiche condizioni dell'articolo 19, comma 1, indipendentemente da eventuali rapporti già intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore in forza di contratti stipulati prima del 5 maggio 2023, ferma restando la durata massima dei contratti a tempo determinato prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva (non modificata dal decreto-legge n. 48 del 2023).
Ad esempio, se successivamente al 5 maggio 2023 sia venuto a scadenza un contratto di lavoro a termine instaurato prima di tale data, lo stesso contratto, in virtù della disposizione entrata in vigore il 4 luglio 2023, potrà essere rinnovato o prorogato "liberamente" per ulteriori dodici mesi. Diversamente, sempre a titolo di esempio, se nel periodo intercorrente tra il 5 maggio 2023 e il 4 luglio 2023 - data di entrata in vigore del comma 1-ter - le parti abbiano già rinnovato o prorogato un rapporto di lavoro a termine per sei mesi, le stesse avranno la possibilità di fare ricorso al contratto a termine per un ulteriore periodo non superiore a sei mesi "senza condizioni".
È dunque al momento in cui è stato stipulato il contratto di lavoro se anteriormente al 5 maggio 2023 o a decorrere da tale data che deve farsi riferimento per l'applicazione di questa previsione. In proposito, l'espressione "contratti stipulati" utilizzata al comma 1-ter dell'articolo 24 è riferita sia ai rinnovi di precedenti contratti di lavoro a termine sia alle proroghe di contratti già in essere. Tale lettura risulta, peraltro, coerente con il nuovo testo del comma 01 dell'articolo 21 del d.lgs. n. 81 del 2015 - come modificato proprio dal decreto-legge n. 48 - ove è stato sostanzialmente uniformato il regime delle proroghe e dei rinnovi nei primi dodici mesi del rapporto di lavoro a termine.
Infine, il comma 1-quater - anch'esso aggiunto all'articolo 24 in sede di conversione del decreto-legge - interviene a modificare l'articolo 31, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2015, sulla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, con l'obiettivo di superare alcune limitazioni per particolari categorie di lavoratori. In primo luogo, viene adesso previsto che ai fini del rispetto del limite del 20 per cento, previsto dal primo periodo del comma 1, non rilevano i lavoratori somministrati assunti dall'agenzia di somministrazione con contratto di apprendistato.
Inoltre, sempre al comma 1 dell'articolo 31, viene aggiunto un nuovo periodo che esclude espressamente l'applicabilità di limiti quantitativi per la somministrazione a tempo indeterminato di alcune categorie di lavoratori, tassativamente individuate, tra cui i soggetti disoccupati che fruiscono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, i lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi dell'articolo 2, numeri 4 e 99, del Regolamento (UE) n. 651/2014, come individuati dal decreto ministeriale del 17 ottobre 2017.
Giova ricordare che tale decreto definisce come lavoratori svantaggiati coloro per i quali ricorra, in via alternativa, una delle seguenti condizioni:
a) siano privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
b) abbiano un'età compresa tra i 15 e i 24 anni;
c) non possiedano un diploma di scuola media superiore o professionale (livello ISCED 3) o abbiano completato la formazione a tempo pieno da non più di due anni e non abbiano ancora ottenuto il primo impiego regolarmente retribuito;
d) abbiano superato i 50 anni di età;
e) siano adulti che vivono soli con una o più persone a carico;
f) siano occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato;
g) appartengano a una minoranza etnica di uno Stato membro UE e abbiano la necessità di migliorare la propria formazione linguistica e professionale o la propria esperienza lavorativa per aumentare le prospettive di accesso ad un'occupazione stabile.
Rientrano, invece, nella categoria di lavoratori molto svantaggiati i soggetti che sono privi da almeno ventiquattro mesi di un impiego regolarmente retribuito e quelli che, privi da almeno dodici mesi di un impiego regolarmente retribuito, appartengono a una delle categorie indicate dalle lettere da b) a g) appena richiamate.
La modifica introdotta all'articolo 31, comma 1, riprende l'analoga disposizione già contenuta al comma 2 del medesimo articolo 31 per la somministrazione di lavoratori con contratto a termine, con l'obiettivo di assicurare maggiori occasioni di occupazione a soggetti che si trovano in oggettive condizioni di svantaggio e, dunque, con minori opportunità di rientrare con tempestività nel mercato del lavoro.
Da ultimo, è opportuno precisare che la circolare di questo Ministero n. 17 del 31 ottobre 2018, adottata a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, continua a trovare applicazione per le parti non incompatibili con le nuove disposizioni introdotte dal decreto-legge n. 48 del 2023 e con gli orientamenti illustrati con la presente circolare.
Il Direttore Generale
Romolo de Camillis
Firmato digitalmente da DE CAMILLIS ROMOLO C=IT O=MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
LaPrevidenza.it, 12/10/2023