Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CURZIO Pietro - Presidente - Dott. ARIENZO Rosa - Consigliere - Dott. FERNANDES Giulio - Consigliere - Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere - Dott. MAROTTA Caterina - rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente: ordinanza sul ricorso 16326-2012 proposto da: D.N.P. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO II n. 13, presso lo studio dell'avvocato MARIA CECILIA FELSANI, rappresentata e difesa dall'avvocato ISIDE B. STORACE, giusta procura speciale in calce al ricorso; - ricorrente - contro I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO ((OMISSIS)) in persona del Dirigente con incarico di livello generale, Direttore della Direzione Centrale Prestazioni, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la Sede Legale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FAVATA EMILIA e ROMEO LUCIANA, giusta procura speciale in calce al controricorso; - controricorrente - avverso la sentenza n. 323/2012 della CORTE D'APPELLO di TORINO del 14/3/2012, depositata il 4/4/2012; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/1/2015 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA.
Fatto
1 - Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto:
"Con sentenza n. 323/2012, resa in data 5 aprile 2012, la Corte di appello di Torino, in accoglimento dell'appello proposto dall'I.N.A.I.L. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva condannato l'Istituto alla costituzione in favore di D. N.P. (vedova di D.V.G.) la rendita ai superstiti, rigettava l'azionata domanda. Escludeva la Corte territoriale, sulla base della disposta c.t.u., che nel determinismo causale del carcinoma polmonare da cui il D.V. era risultato affetto (e che ne aveva cagionato il decesso) potesse aver avuto una qualche incidenza l'attività lavorativa dallo stesso svolta presso l'ATM di Genova dal 1965 al 1995 (pulizia delle fosse e delle officine di manutenzione dei mezzi). Escludeva anche l'incidenza sulla malattia dell'attività svolta presso le miniere di zolfo di Trabbia Tallarita di Caltanissetta (nel restante periodo dal 1939 al 1961) e riteneva, invece, che il carcinoma polmonare fosse da mettere in relazione con l'attività svolta dal D.V. nelle miniere di carbone in Belgio dal 1947 al 1951 (periodo in cui l'appellato era stato esposto alla silice ma per il quale non poteva valere la copertura assicurativa ordinaria).
Propone ricorso per cassazione D.N.P. affidando l'impugnazione a due motivi. L'I.N.A.I.L. resiste con controricorso.
Con il primo articolato motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, del D.P.R. n. 482 del 1975, del D.P.R. n. 336 del 1994 e relativa tabella "A" (voci 43, 44, 49, 56 e all. 8), degli arte. 115 e 116 cod. proc. civ., dell'art. 2697 cod. civ., dei principi di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 179/1988 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia tenuto conto della presunzione tabellare dell'origine professionale del "carcinoma polmonare" (causa primaria del decesso del D.V.) in quanto correlata all'esposizione del predetto a silice e amianto. Evidenzia che il nesso causale tra tale patologia e l'attività lavorativa del D.V. era da ritenersi sussistente anche indipendentemente dalla presenza di una broncopneumopatia. Rileva che, nel caso delle malattie professionali tabellate, il lavoratore deve solo provare l'esposizione a rischio e cioè i fatti materiali che fanno scattare la presunzione legale e che, nella specie, tale prova non solo era stata fornita dalla ricorrente attraverso la documentazione prodotta e le circostanze dedotte ma era stata senz'alno ammessa dallo stesso Istituto assicuratore che aveva indennizzato altra specifica patologia respiratoria (bronchite cronica asmatica, enfisema, fibrosi polmonare e insufficienza respiratoria da inalazione acuta di anidride solforosa) contratta nello stesso periodo e per la medesima attività svolta dal D.V..
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 78, 79, 80, 81, 85 e 133, degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc. civ. nonchè omessa motivazione circa un fatto decisivo per la controversia (in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Si duole della mancata attribuzione alla riconosciuta BPCO di un ruolo concausale nel determinismo del decesso.
I motivi sono manifestamente infondati.
Va rilevata la incongruità delle ragioni addotte circa l'errore di diritto addebitato al giudice del merito, per non avere applicato la presunzione dell'eziologia lavorativa per la malattia allegata, derivante, ad avviso del ricorrente, da lavorazione tabellata. Nella specie, infatti, la Corte torinese ha ben tenuto conto di tale presunzione ritenendo però che, nella specie, le risultanze di causa deponessero per un superamento della stessa, essendovi la prova della origine extralavorativa del carcinoma polmonare che aveva portato al decesso del D.V. (da porsi in relazione con l'esposizione alla silice patita nel periodo di lavoro in Belgio) ed escludendo che le ulteriori mansioni del lavoratore potessero aver avuto idoneità causale (o quantomeno concausale) sufficiente. Ed infatti va evidenziato che la presunzione legale circa la eziologia professionale delle malattie contratte nell'esercizio delle lavorazioni morbigene investe soltanto il nesso tra la malattia tabellata e le relative specificate cause morbigene, anch'esse tabellate, e non può esplicare la sua efficacia nell'ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale (come il carcinoma polmonare) in cui il nesso di causalità non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di concreta e specifica dimostrazione - quanto meno in via di probabilità - in relazione alla effettiva esposizione al rischio ambientale e alla sua idoneità causale alla determinazione dell'evento morboso (cfr. ex multis Cass. 6 maggio 2014, n. 9688; 30 luglio 2013 n. 18267; Cass. 13 luglio 2011, n. 15400; Cass. 6 aprile 2006, n. 8002; Cass. 27 marzo 2003, n. 4665; Cass. 4 giugno 2002, n. 8108).
Correttamente, dunque, la Corte territoriale, in presenza di una patologia tabellata ma multifattoriale ha verificato la sussistenza di una adeguata probabilità sul piano scientifico dell'eziologia professionale della stessa e l'ha, in concreto, esclusa spiegando, in modo congruente e logico, le ragioni che, in adesione alle conclusioni del c.t.u., l'hanno indotta a ritenere che l'attività svolta dal D.V. presso l'ATM di Genova dal 1965 al 1995 ("non sono disponibili dati oggettivi che documentino la frequenza e l'entità di tali esposizioni") e quella, precedente, svolta presso le miniere di zolfo Trabbia Talarita di Caltanissetta ("dalla letteratura non risulta un'associazione tra il rischio di carcinoma polmonare ed il lavoro in miniere di zolfo") non possa aver avuto una efficacia causale o concausale nell'insorgenza del carcinoma polmonare contratto dal lavoratore. Se pure allora non è semplice determinare con nettezza i fattori cui attribuire "valenza causale esclusiva" nell'insorgenza della patologia tumorale (in genere) e del carcinoma polmonare (in particolare), nella specie, l'efficienza causale di altri fattori (e così l'esposizione alla silice, pur in assenza di accertata silicosi - "alla luce delle più recenti tabelle risalenti al 2008, la silice è stata ritenuta fattore cancerogeno anche in assenza di silicosi" - per l'attività svolta nelle miniere di carbone dal 1947 al 1951, compatibile il periodo di latenza con la malattia insorta, ma anche l'abitudine al fumo) è stata correttamente presa in considerazione proprio perchè (con riferimento tanto all'attività svolta quella svolta presso le miniere di zolfo di Caltanissetta quanto a quella svolta presso l'ATM di Genova dal 1965 al 1995) gli elementi acquisiti hanno portato ad escludere la responsabilità datoriale nella produzione dell'evento danno e, in particolare, una esposizione significativa al rischio ambientale (sia come esposizione a silice sia come esposizione ad asbesto).
Sempre in modo logico e coerente la Corte territoriale ha, poi, escluso la sussistenza di un nesso causale o anche solo concausale tra la bronchite cronica asmatica (riconosciuta dall'I.N.A.I.L. nel 1954 quale conseguenza di un infortunio sul lavoro - intossicazione acuta da inalazione di anidride solforosa -) ed il tumore polmonare che ha determinato il decesso del D.V. (specificando, come già sopra evidenziato, che "dalla letteratura non risulta un'associazione tra il rischio di carcinoma polmonare ed il lavoro in miniere di zolfo").
Per il resto i motivi sollecitano soltanto una nuova lettura delle risultanze probatorie e, in particolare, delle consulenze tecniche espletate nei due gradi di giudizio, operazione preclusa in sede di legittimità. Infatti, per costante insegnamento di questa S.C., in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell'assicurato, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi. Al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale, che si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. n. 1652 del 3 febbraio 2012; id. n. 569 del 12 gennaio 2011; n. 22707 dell'8 novembre 2010; n. 9988 del 29 aprile 2009).
Con il ricorso in esame non sono dedotti vizi logico-formali che si concretino in deviazioni dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni manifestamente illogiche o scientificamente errate (non potendo tale devianza ovvero illogicità ritenersi integrata, nella specie, dal riferimento operato dal ricorrente a studi scientifici sull'associazione tra silice e carcinoma polmonare trattandosi di studi che, senza avere specificamente riguardato le miniere di zolfo, hanno individuato diverse variabili a base della dispersione di polveri di silice cristallina: composizione delle rocce sottoposte a lavorazione, tipologia dell'attività estrattiva - scavo, frantumazione, manipolazione -), ma vengono effettuate solo osservazioni concernenti il merito di causa, non deducibili innanzi a questa S.C..
In conclusione, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell'art. 375 cod. proc. civ., n. 5".
2 - Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia e che sussista con ogni evidenza il presupposto dell'art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.
3 - Conseguentemente il ricorso va rigettato. 4 - La particolarità sotto vari profili della fattispecie e il diverso esito dei giudizi di merito costituiscono giusti motivi, a termini dell'art. 92 cod. proc. civ. nella formulazione ratione temporis applicabile, per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Diritto