Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. STILE Paolo - Presidente - Dott. MAISANO Giulio - Consigliere - Dott. D'ANTONIO Enrica - Consigliere - Dott. DORONZO Adriana - rel. Consigliere - Dott. TRICOMI Irene - Consigliere - ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 19721/2011 proposto da: U.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DUILIO 13, presso lo studio dell'avvocato MANZINI RENATO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti; - ricorrente - contro C.I.TEL S.C.A R.L.; - intimati - avverso la sentenza n. 2373/2011 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 09/04/2011 r.g.n. 6640/2007; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/05/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
1.- Con sentenza depositata in data 9 aprile 2011, la Corte d'appello di Roma, in accoglimento dell'appello proposto dalla CI.TEL s.c. a r.l. rigettava la domanda proposta da U.R. nei confronti dell'appellante; rigettava l'impugnazione incidentale e condannava l' U. a restituire alla società le somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado.
1.2. - La Corte territoriale riteneva che il licenziamento intimato dalla CI.TEL all' U. era sostenuto da giusta causa: in particolare, era risultato provato l'addebito contestato al lavoratore, il quale aveva alterato la lettera di assunzione di un lavoratore, già sottoscritta dal legale rappresentante della società, attraverso l'eliminazione della clausola contenente il patto di prova, della parola "programmatore" aggiunta a quella di "analista" per indicare le mansioni del dipendente, nonchè della specificazione del progetto per il quale era stata prevista l'assunzione.
1.3. - Per contro, le giustificazioni addotte dal lavoratore - specificamente, il fatto di essere stato autorizzato ad effettuare quelle modifiche da tale D., del quale peraltro non erano stati precisati i poteri nell'ambito della società - non erano state adeguatamente provate, mentre non poteva aver rilievo l'assunto dell' U. circa la inutilità del patto di prova e della indicazione del progetto (trattandosi di un lavoratore che proveniva da una società consorziata), giacchè questo non spiegava perchè l'appellato non avesse redatto una nuova lettera di assunzione.
1.4. - In ordine alla valutazione della gravità dell'addebito, le delicate mansioni dell'appellato, quale responsabile della gestione del personale, e la sua recente assunzione costituivano circostanze tali da far ritenere sussistente la lesione irreparabile del vincolo fiduciario che lo legava al datore di lavoro. 1.5. - Infine, non era stato provato il motivo ritorsivo del licenziamento, in difetto di prova, mentre la questione relativa all'inefficacia del licenziamento intimato in costanza di malattia, era infondata trattandosi di un licenziamento per giusta causa, che non consente cioè la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto.
2. - Contro la sentenza, l' U. propone ricorso per cassazione sostenuto da quattro motivi. La CI.TEL s.c. a r.l. non ha svolto attività difensiva.
Diritto
1.- Con il primo motivo di ricorso l' U. censura la sentenza per "violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 5, art. 2697 c.c.". La parte lamenta che la corte di appello è incorsa in errore invertendo l'onere della prova della giusta causa, che ai sensi delle norme citate grava sul datore di lavoro. In particolare, la sanzione del licenziamento era stata irrogata sulla base di una presunta "alterazione arbitraria della lettera di assunzione del signor L.M.", sicchè competeva alla società dimostrare l'arbitrarietà della modifica.
1.1. - Il motivo è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato.
E' inammissibile nella parte in cui fa riferimento alle richieste istruttorie avanzate dalla società, in cui vi sarebbe un capitolo di prova diretto a provare la circostanza dell'arbitrarietà dell'alterazione - con ciò confermandosi, secondo il suo assunto, per un verso, che l'oggetto della contestazione non era l'alterazione in sè bensì la sua "arbitrarietà" e, per altro verso, la consapevolezza da parte della società degli oneri probatori su di essa gravanti -, nonchè a tutta la documentazione prodotta dalla società intimata (e, in particolare, ad una e-mail C.- M.), che confermerebbe che la eliminazione del patto di prova dalla lettera di assunzione riguardava tutti i dipendenti, passati dalla IT & A a CI.TEL e, quindi, sarebbe stata (implicitamente) autorizzata.
La parte infatti non indica gli estremi per il rinvenimento della detta documentazione, che trascrive solo parzialmente.
Ora, è ormai principio acquisito di questa Corte di cassazione che, in ossequio alle regole imposte dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (su cui v., da ultimo, Cass., 6 novembre 2012, n. 19157), quando siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o di un error in procedendo, ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 della medesima norma, è necessario non solo che il contenuto dell'atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l'esatta allocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass., 6 novembre 2012, n. 19157; Cass., 23 marzo 2010, n. 6937; Cass. civ. 12 giugno 2008, n. 15808; Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12239). Resta ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, del contenuto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari al loro reperimento (Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726).
Si è poi ulteriormente specificato (Cass., Sez. Un., ord. 7 novembre 2013, n. 25038) che "l'onere di deposito degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o degli accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, sancito, a pena di sua improcedibilità, dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ed applicabile anche in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, è soddisfatto: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di quelle fasi, mediante il deposito di quest'ultimo, specificandosi, altresì, nel ricorso l'avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile; b) se il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l'indicazione che lo stesso è depositato nel relativo fascicolo del giudizio di merito, benchè, cautelativamente, ne sia opportuna la produzione per il caso in cui quella controparte non si costituisca in sede di legittimità o la faccia senza depositare il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all'ammissibilità del ricorso, oppure attinente alla fondatezza di quest'ultimo e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l'esaurimento della possibilità di produrlo, mediante il suo deposito, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell'ambito del ricorso".
Nella specie, tale onere non è stato assolto in ragione della mancata costituzione della CI.TEL, e della mancata produzione dei documenti indicati da parte del ricorrente, sicchè non se ne può valutare la sussistenza e quindi la decisività.
1.2. - La censura è tuttavia infondata nel merito. La Corte territoriale ha ritenuto che l'addebito, costituito da un'alterazione della lettera di assunzione del dipendente L.M., nella parte riguardante il patto di prova, la mansione ed il progetto di riferimento, è risultato provato dalle ammissioni dell' U. in sede di interrogatorio libero, nonchè da una e.mail prodotta dalla società CI.TEL. ed inviata dal L., con la quale questi chiedeva all' U. di rettificare la lettera di assunzione, e che, per contro, le giustificazioni addotte dal lavoratore circa una presunta autorizzazione a tali modifiche è rimasto sfornito di prova, così come sfornita di prova è la tesi difensiva circa la natura ritorsiva del licenziamento.
1.3.- Ora, è principio pacifico di questa Corte che, per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario e la cui prova incombe sul datore di lavoro, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare; la valutazione della gravità dell'infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (Cass., 3 gennaio 2011, n. 35; Cass., 18 settembre 2012, n. 15654).
1.4. - La Corte ha fatto corretta applicazione di tali principi, ritenendo sussistente il fatto materiale dell'alterazione, valutandone la gravità sia in senso oggettivo, riguardando l'alterazione elementi fondamentali di un rapporto di lavoro, quali le mansioni e l'esistenza del patto di prova e del progetto, ovvero pattuizioni rimesse "all'esclusiva volontà contrattuale del datore di lavoro", sia in senso soggettivo, con riguardo alla particolare posizione lavorativa dell' U., "responsabile della gestione del personale" e alla sua recente assunzione.
1.5. - A fronte di tale accertamento fattuale, e contrariamente a quanto opinato dal ricorrente, era suo onere dimostrare l'esistenza di un'eventuale causa di giustificazione della sua condotta, quale l'autorizzazione ad apportare le dette modifiche.
Anche sul punto, la sentenza non merita censure, avendo la Corte romana ammesso la prova testimoniale diretta ad accertare i veri motivi determinanti del licenziamento, senza che la stessa sia stata assunta a causa della mancata intimazione dei testimoni da parte dell'appellato, non comparso l'udienza fissata per la prova e quindi dichiarato decaduto dalla stessa.
1.6. - Per effetto delle considerazioni suesposte, è infondata la doglianza del ricorrente secondo la quale avrebbe dovuto essere la società a dimostrare non solo il fatto materiale dell'alterazione ma anche l'"arbitrarietà", ovvero l'assenza di un'autorizzazione, la quale invece costituendo una causa di giustificazione della condotta del lavoratore, di per sè contraria agli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, doveva essere provata da quest'ultimo al fine di escludere l'illiceità della sua condotta (sul punto, in generale, cfr. Cass., 16 marzo 1990, n. 2160; sull'onere del lavoratore di fornire giustificazioni dell'assenza, Cass., 7 febbraio 2011, n. 2988; Cass., 29 novembre 1999, n. 13352).
2.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c., e dell'art. 2697 c.c., "laddove conferisce alle affermazioni di parte efficacia di argomenti di prova e non di prova, nè di presunzione iuris tantum, e conseguente violazione anche della L. n. 604 del 1966, art. 5".
Specificamente, ritiene che l'affermazione contenuta in sentenza - secondo cui la contestazione da parte della società dell'esistenza di un'autorizzazione alle modifiche apportate dall' U. è sufficiente a rendere legittimo il licenziamento - viola le norme succitate, poichè alle dichiarazioni di parte non può attribuirsi altro che il valore di un mero argomento di prova.
Al di là della sua poco chiara formulazione e scarsa illustrazione, la censura è infondata, giacchè la decisione della Corte si fonda su una serie di elementi di fatto, complessivamente valutati, e non già sulla base delle mere asserzioni della società datrice di lavoro. La Corte territoriale ha, infatti, ritenuto sussistente l'addebito contestato sulla base di una serie di elementi istruttori (interrogatorio libero del lavoratore e documentazione in atti), ed ha sovvertito il giudizio del primo grado nella parte in cui il tribunale aveva escluso che la società avesse specificamente contestato l'assunto difensivo del lavoratore, circa la presunta autorizzazione alla modifica del contratto. La Corte romana, con un apprezzamento di fatto non specificamente censurato, ha ritenuto che invece la società avesse puntualmente e chiaramente contestato l'assunto del lavoratore, negando di aver mai autorizzato la detta modifica. A fronte di tale specifica contestazione, era onere dell' U. provare la sussistenza della causa giustificativa, ovvero l'autorizzazione ad apportare le modifiche ad un contratto già perfezionatosi.
Non è pertanto conforme alle norme citate il ragionamento seguito dal ricorrente, il quale, suggestivamente, assume che debba essere la società datrice di lavoro a dimostrare l'arbitrarietà della condotta addebitata, non specificando peraltro in che cosa tale prova avrebbe dovuto sostanziarsi.
In definitiva, se è onere del datore di lavoro dimostrare tutte le circostanze del caso concreto da cui è scaturita l'irrogazione della sanzione massima del licenziamento, incombe sul lavoratore provare la sussistenza di eventuali cause giustificative della sua condotta, rientrando quest'ultime nella sua sfera soggettiva ed avendo egli la disponibilità delle relative prove.
3.- Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3, e, comunque, omessa e insufficiente motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia, "laddove ha omesso di valutare se la condotta concreta del lavoratore, ove correttamente ricostruita e valutata, sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa ed, in particolare, ove ha omesso di esaminare e valutare l'elemento soggettivo volitivo necessario per ritenere provata la giusta causa di licenziamento, nonchè, infine, laddove ha omesso di esaminare e valutare la proporzionalità della sanzione rispetto all'addebito".
3.1. - Anche questo motivo è inammissibile. Pur a voler prescindere dal profilo di inammissibilità relativo al cumulo, nell'unico motivo, di censure ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non risultando ben evidenziata la trattazione delle doglianze relative all'errata interpretazione o inesatta applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie, da un lato, ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto, dall'altro, la censura di violazione di legge si presenta inammissibile nella parte in cui non specifica in che cosa sarebbe consistita effettivamente la denunciata violazione.
Ed invero, come affermato da questa Corte, "In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra luna e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cfr. al riguardo, ex plurimis: Cass., 26 marzo 2010, n. 7394, in tema di impugnazione del licenziamento, in riferimento alla denuncia dell'erronea applicazione della legge in ragione della non condivisa valutazione delle risultanze di causa).
3.2. - Nella specie, il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non avrebbe tenuto minimamente conto del fatto che il patto di prova, contenuto nell'originaria lettera di assunzione, riguardava dipendenti con una professionalità già verificata, in quanto provenienti da una società consorziata alla CI.TEL., e che dalla documentazione in atti risultava che anche per gli altri contratti era stata prevista la eliminazione della clausola, e che infine per queste ragioni il datore di lavoro non aveva subito alcun danno.
E' evidente che questa prospettazione non involge un vizio di violazione di legge, quanto piuttosto quello di una difettosa ricostruzione degli elementi di fatto, e dunque un vizio di motivazione riguardante anche l'intensità dell'elemento soggettivo - volitivo del lavoratore.
3.3. - Anche sotto questo aspetto, tuttavia, la sentenza merita di essere confermata. Nella specie, non si discute della legittimità o meno della inclusione della clausola del patto di prova nella lettera di assunzione del L., bensì del dato oggettivo della sua alterazione, allorquando essa era stata già sottoscritta dal legale rappresentante della società. E' stato peraltro accertato dal giudice di merito che l'alterazione non ha riguardato solo la prova ma anche le mansioni del lavoratore, attraverso la eliminazione della parola "programmatore", nonchè il mancato riferimento ad un programma lavorativo. Si tratta di elementi tutti che la Corte capitolina ha correttamente ritenuto fondamentali nell'economia del contratto di lavoro e rimessi all'esclusiva volontà delle parti, e da ciò ha tratto (altrettanto) correttamente un giudizio di gravità della condotta del lavoratore, tale da incrinare in modo irrimediabile il vincolo fiduciario con la società datrice di lavoro.
3.4. - Deve altresì aggiungersi che anche questo motivo si fonda su documenti che la corte avrebbe trascurato di esaminare ma che non risultano trascritti nella loro integrità, nè risulta indicata la loro precisa allocazione nei fascicoli di parte o nei fascicoli di ufficio prodotti in questo grado, con la conseguenza che anche questo motivo difetta di autosufficienza, ed è pertanto sotto questo riguardo inammissibile.
3.5. - Quanto agli ulteriori assunti riguardanti l'omessa valutazione da parte del giudice del merito della mancanza di precedenti disciplinari, il ricorrente non indica dove e quando la relativa questione sarebbe stata introdotta nelle precedenti fasi del giudizio, sicchè non può ritenersi sussistente quella "totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione" di cui il ricorrente si duole.
4. - Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia "laddove, in aperto spregio di quanto previsto dall'art. 116 c.p.c., non ha tenuto conto del contegno processuale di Ci.Tel, ha conferito alle dichiarazioni rese da U.R. in sede di interrogatorio libero efficacia confessoria e, al contempo, in violazione di quanto previsto dall'art. 420 c.p.c., non ha tenuto conto della mancata comparizione del convenuto all'udienza fissata per il tentativo di conciliazione".
4.1. - La censura si fonda su una generica contestazione della decisione della corte territoriale in merito al rilievo probatorio dato al contegno delle parti e, in particolare, alle dichiarazioni rese dal ricorrente in sede di interrogatorio libero, nonchè alla mancata comparizione del legale rappresentante della società all'udienza ex art. 420 c.p.c., per desumerne circostanze diverse da quelle ritenute provate dalla corte e così fornendo una propria versione, contrastante con quella ritenuta dal giudice del merito.
4.2. - In proposito, sembra sufficiente richiamare l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorie le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. Cass., 15 luglio 2009, n. 16499; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass. 9.8.2004 n 15355).
4.3. - E' altresì principio pacifico che le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio libero sono soggette nella loro totalità al libero apprezzamento del giudice, che, specialmente nelle controversie di lavoro (nelle quali l'interrogatorio libero è previsto come un atto istruttorio obbligatorio per il giudice di primo grado), ben può fondare la propria decisione anche solo su tali dichiarazioni (v. Cass., 24 ottobre 1995, n. 11048).
4.4. - Come si è sopra evidenziato, la corte territoriale ha esaminato tanto la documentazione prodotta in giudizio quanto il contegno processuale del ricorrente il quale, in sede di 0interrogatorio libero, ha ammesso il fatto oggettivo dell'alterazione, e l'apprezzamento di tale dichiarazione, unitamente alle altre risultanze istruttorie, non costituisce violazione alcuna della norma di cui all'art. 116 c.p.c..
In definitiva, non ravvisandosi nell'iter argomentativo del giudice d'appello violazioni di legge ed incongruenze o deficienze motivazionali, il motivo deve essere disatteso.
5. - Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Non va adottato alcun provvedimento sulle spese, stante la mancata costituzione della società.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2014