Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SALME' Giuseppe - Presidente - Dott. ARMANO Uliana - Consigliere - Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere - Dott. SCARANO Luigi A. - Consigliere - Dott. STALLA Giacomo Maria - rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso 29985-2010 proposto da: A.I. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI 146, presso lo studio dell'avvocato SPAZIANI TESTA EZIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato POZZOLI GIUSEPPE giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro ARNOLDO MONDADORI EDITORE SPA (OMISSIS), in persona del suo procuratore Avv. D.S.U.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DELLA SETA 25/43, presso lo studio dell'avvocato FIORI ARIANNA, rappresentata e difesa dall'avvocato ANTONELLO MARTINEZ giusta procura a margine del controricorso; - controricorrente - avverso la sentenza n. 2695/2009 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 28/10/2009, R.G.N. 1177/C/2007; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA; udito l'Avvocato GIANLUCA FONSI per delega; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
Nel marzo 2003 A.I. conveniva in giudizio la Arnoldo Mondadori Editore spa, deducendo che sulla rivista "Chi", edita da quest'ultima, erano state illecitamente pubblicate (nn. 24 e 25, rispettivamente del 19 e 26 giugno 2002) alcune fotografie che la raffiguravano in (OMISSIS) in compagnia del cantante R. E.. Tali fotografie, poi ulteriormente divulgate attraverso Internet ed una trasmissione televisiva, erano accompagnate da didascalie tendenziose quali: "Clamoroso, R. con un'altra";
" R. sorpreso con una giovane donna italiana in (OMISSIS) dopo la rottura con la moglie H.M.: tenerezze, abbracci e baci focosi per l'artista e la sua nuova amica"; " R. è rientrato da (OMISSIS) dove è stato visto con T., una bella italiana". Poichè la pubblicazione delle fotografie in oggetto era lesiva del suo diritto alla riservatezza ed all'immagine, chiedeva che il tribunale ne accertasse l'illiceità, con ordine di consegna dei negativi; inibitoria di ogni ulteriore pubblicazione;
risarcimento dei danni quantificati in Euro 10.000,00.
Nella costituzione della Arnoldo Mondadori Editore spa, interveniva la sentenza n. 1759/06 con la quale il tribunale di Milano accoglieva tali domande, con condanna altresì della convenuta al risarcimento nell'importo richiesto, oltre accessori e spese.
Interposto gravame da parte della Arnoldo Mondadori Editore spa, veniva emessa la sentenza n. 2695 del 28 ottobre 2009, con la quale la corte di appello di Milano, in totale riforma della sentenza di primo grado, respingeva tutte le domande proposte dall'attrice, con compensazione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza viene proposto ricorso per cassazione dalla A. sulla base di tre motivi, ai quali resiste con controricorso la Arnoldo Mondadori Editore spa; quest'ultima ha inoltre depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Diritto
1.1 Con il primo ed il secondo motivo di ricorso la A. deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nonchè violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) con riferimento la L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 96 e art. 21 Cost., come attuato dalla L. 8 febbraio 1948, n. 47. Ciò perchè la corte di appello: - aveva, da un lato, correttamente disatteso la censura mossa dall'appellante Arnoldo Mondadori secondo la quale la violazione della L. n. 633 del 1941, art. 96 andava nella specie esclusa per la notorietà del personaggio (dal momento che quest'ultimo elemento poteva, al più, riguardare il cantante R.E., non già essa attrice) e, dall'altro, inopinatamente giustificato la pubblicazione delle fotografie sulla base del diritto di cronaca e dell'utilità sociale (in realtà inesistente) della notizia; - non aveva ammesso le prove testimoniali da lei dedotte sulle modalità con le quali erano state scattate le fotografie ed estrapolati dal contesto solo alcuni fotogrammi; prove da ritenersi decisive, poichè da esse sarebbero emerse la tendenziosità e la non veridicità della notizia, costruita ad arte per falsamente accreditare la sussistenza di una relazione sentimentale tra lei ed il cantante.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con riferimento agli artt. 136 segg. legge sulla privacy (D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196), nonchè art. 2 Cost. sul diritto alla riservatezza, poichè la corte di appello le aveva negato il diritto al risarcimento del danno patrimoniale (secondo il criterio del cd.
"prezzo del consenso") e non patrimoniale (previsto anche normativamente, nella materia affine della protezione dei dati personali, dall'art. 15 D.Lgs. cit.) nonostante che tali danni fossero insiti nella violazione del suo diritto alla riservatezza e nell'illecito costituito dalla diffusione di notizie non soltanto non verificate dal giornalista, ma senz'altro false e costruite al solo fine di ottenere uno scoop giornalistico.
1.2 I tre motivi di ricorso sono suscettibili di essere trattati unitariamente perchè tutti incentrati, sotto il profilo ora della carenza motivazionale ora della violazione di legge, sulla erroneità della decisione con la quale la corte di appello ha nella specie ravvisato l'esimente del diritto di cronaca ex art. 21 Cost..
Tale esimente è stata affermata dal giudice di merito in esito all'applicazione nel caso concreto di parametri valutativi ampiamente consolidati nell'interpretazione giurisprudenziale di legittimità;
nel senso che le fotografie in questione dovevano reputarsi (sent.
pagg. 7, 8): - veicolanti una notizia di interesse pubblico, ancorchè parametrato "sul tipo di pubblicazione scandalistica"; ciò perchè esse erano: inerenti alle vicende di un noto cantante italiano, ed in un momento in cui il pubblico iniziava ad interessarsi alla sua separazione dalla moglie, a sua volta personaggio molto noto presso il medesimo pubblico; b) sostanzialmente veridiche, atteso che nel caso di specie la "verità" della notizia coincideva con la stessa rappresentazione fotografica tanto più che l' A. aveva effettivamente lamentato l'indebita estrapolazione delle fotografie dal più ampio contesto di ripresa, ma non aveva contestato quanto in esse specificamente raffigurato, e cioè "di essere realmente stata in compagnia del cantante ed abbracciata allo stesso"; c) associate a modalità continenti di espressione, atteso che le didascalie ed i commenti non potevano reputarsi offensivi o esagerati, in quanto rispecchianti in toto l'eloquenza dei fotogrammi pubblicati.
Ciò posto, si osserva - a confutazione dei motivi in esame - che: a) sul piano dell'applicazione e sussunzione normativa, l'impostazione della corte d'appello è corretta là dove esclude la responsabilità della casa editrice non perchè (come pure era stato da questa sostenuto) il consenso della A., soggetto di per sè non assistito da alcuna notorietà, non fosse nella specie necessario ex art. 97 l.aut., ma perchè era comunque qui ravvisabile l'esimente costituzionale del diritto di cronaca; b) sul piano della carenza logico-motivazionale, la contraddittorietà dedotta a fondamento delle censure non trova in realtà conferma, proprio perchè l'affermazione dell'esimente non contrasta (ma anzi la presuppone) con l'affermazione della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell' illecito, ivi compreso il difetto del necessario consenso dell'interessata ex art. 96 L. cit..
Esclusi tali vizi, i motivi di ricorso mirano a suscitare una rivisitazione di merito e, in particolare, una diversa valutazione dei presupposti dell'esimente stessa, così come argomentatamente focalizzati dal giudice di appello; appunto in termini di interesse pubblico, verità e continenza della notizia diffusa mediante le fotografie.
Senonchè, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, il giudizio sulla sussistenza/insussistenza nel caso concreto dell'esimente del diritto di cronaca costituisce oggetto di accertamento di fatt; esso è pertanto riservato al giudice di merito, ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici (Cass. n. 80 del 10/01/2012; Cass. n. 17395 del 08/08/2007, ed altre).
Nel caso di specie, la motivazione della corte territoriale deve ritenersi adeguata con riferimento non soltanto all'interesse pubblico ed alla continenza della notizia, ma anche alla verità della stessa. Desunta dal giudice di merito - quantomeno a livello putativo e di verosimiglianza, se non storico (Cass. n. 9458 del 18/04/2013) - dall'atteggiamento di intima affettuosità serbato dalla A. e dal R. al momento degli scatti fotografici nella macchia di (OMISSIS).
Questa osservazione vale al contempo a disattendere il profilo di censura specificamente incentrato sulla mancata ammissione da parte del giudice del merito della prova testimoniale offerta dalla A. a dimostrazione del diverso significato che alle foto in questione doveva asseritamente darsi, una volta ricostruito il più ampio contesto di luogo ed azione dal quale esse erano state capziosamente tratte.
Infatti, a fronte della esaustiva ed inequivoca significanza delle fotografie in conformità all'apparato didascalico di corredo, così come ravvisato dalla corte di merito, non ha la ricorrente persuasivamente spiegato le ragioni per cui quand'anche fossero stati dimostrati i fatti di cui alle prove testimoniali pretermesse - tale risultanza istruttoria sarebbe stata "certamente decisiva" nel senso della insussistenza dell'esimente e, in particolare, del requisito di veridicità e continenza della notizia propagata con le fotografie.
Tale non sarebbe il solo fatto che le fotografie vennero scattate quando lei si trovava - incontrovertibilmente in compagnia del cantante e nelle pose raffigurate nelle immagini - non da sola, ma con un gruppo di amici durante una passeggiata nella località balneare.
Ciò posto, una diversa valutazione da parte di questa Corte deve ritenersi anche sotto tale profilo preclusa, dal momento che il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l'attendibilità e la concludenza delle prove di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, spetta in via esclusiva al giudice di merito.
Con la conseguenza che, affinchè possa ravvisarsi - nell'ambito di questa sfera discrezionale ed insindacabile di valutazione probatoria - un vizio di ordine motivazionale su un punto decisivo della controversia, è necessaria l'emersione di uno stretto rapporto di causalità logico-dimostrativa fra la circostanza la cui prova si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia;
rapporto "tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità" (Cass. n. 25608 del 14/11/2013, ed altre).
Nel caso di specie, la ricostruzione testimoniale del contesto di estrazione delle fotografie, così come descritto dalla stessa ricorrente e dai capi di prova da essa riportati, non era comunque tale da comportare - con il necessario coefficiente di certezza e decisività - la dimostrazione della falsità della notizia; e, per tale via, l'adozione di una soluzione giuridica del caso necessariamente diversa da quella adottata, nella argomentata considerazione di tutte le altre fonti di convincimento, dal giudice di merito.
La ritenuta insussistenza della responsabilità per il ricorso dell'esimente indicata esclude, al contempo, la fondatezza della doglianza relativa al mancato risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per la violazione del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate, come in dispositivo, ai sensi del D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile, il 27 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2014