lunedì, 19 maggio 2025

Camere di commercio: il licenziamento gestito dalla giunta camerale è illegittimo

Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 4.12.2015 n. 24731 - Dott. Marco Dami

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE  SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSELLI Federico - Presidente - Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere - Dott. MANNA Antonio - Consigliere - Dott. TRIA Lucia - rel. Consigliere - Dott. DORONZO Adriana - Consigliere - ha pronunciato la seguente:  sentenza 

sul ricorso 5271/2013 proposto da:  S.B. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA, 2, presso lo studio dell'avvocato FRANCESCA BUCCELLATO (STUDIO LEGALE AIELLO, PASTORE E AMERICO), rappresentata e difesa dagli avvocati DI PASSIO IACOPO, LUCA RIGHI, giusta delega in atti;  - ricorrente -  contro C.C.I.I.A.A. - CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA, ARTIGIANATO E AGRICOLTURA DI REGGIO EMILIA C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 135, presso lo studio dell'avvocato BERRUTI PAOLO, (CBA STUDIO LEGALE E TRIBUTARIO), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIAN CARLO SUTICH, giusta delega in atti;  - controricorrente - avverso la sentenza n. 692/2011 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 19/04/2012 R.G.N. 306/2009; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/09/2015 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA; udito l'Avvocato RIGHI LUCA; udito l'Avvocato ALFISI MARIA GRAZIA per delega verbale BERRUTI PAOLO; udito l'Avvocato TARASCONI CORRADO per delega SUTICH GIAN CARLO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

1.- La sentenza attualmente impugnata rigetta l'appello proposto da S.B. avverso la sentenza n. 330/2008 del Tribunale di Reggio Emilia e conferma tale sentenza, la quale, a sua volta, aveva respinto l'impugnazione del licenziamento disciplinare per giusta causa intimato alla S. dalla CAMERA DI COMMERCIO, INDUSTRIA, ARTIGIANATO E AGRICOLTURA (d'ora in poi: CCIIAA) di Reggio Emilia, con delibera di Giunta del 25 giugno 2004 e con successiva nota presidenziale del 29 giugno 2004.

La Corte d'appello di Bologna, per quel che qui interessa, precisa che:

a) va respinta l'eccezione di nullità del licenziamento perchè irrogato dalla Giunta della CCIIA, sull'assunto dell'incompetenza di tale organo ad esercitare il potere disciplinare, trattandosi di un organo politico con compiti di indirizzo e non di pura amministrazione, visto che, ai sensi della L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 14, comma 5, - nella formulazione applicabile ratione temporis avuto riguardo all'epoca del licenziamento - la Giunta "adotta i provvedimenti necessari per la realizzazione del programma di attività e per la gestione delle risorse, ivi compresi i provvedimenti riguardanti l'assunzione e la carriera del personale, da disporre su proposta del segretario generale, in base a quanto previsto dalla presente legge e dalle relative norme di attuazione" e che, per effetto della successiva modifica di cui al D.Lgs. n. 23 del 2010, non applicabile nella specie, la predetta norma è stata modificata, con l'eliminazione del riferimento ai provvedimenti riguardanti l'assunzione e la carriera del personale, da disporre su proposta del Segretario generale;

b) va parimenti respinta l'eccezione di nullità del recesso per mancata preventiva acquisizione del parere del Comitato dei Garanti, in adesione al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che limita l'ambito di applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 22, alle sole ipotesi di responsabilità dirigenziale, considerato che nel caso di specie la condotta della S. è stata oggetto di rilievo esclusivamente disciplinare (violazione dell'art. 2105 c.c.) e non già in relazione al mancato raggiungimento di obiettivi ovvero all'inosservanza di direttive;

c) deve essere accolta l'eccezione della CCIIAA in ordine alla irrituale produzione di determinati documenti allegati dalla difesa della S. alla memoria depositata in primo grado in data 18 gennaio 2007 (sub nn. 27, 28, 29, 32, 33 e 34) nonchè di alcuni documenti prodotti dalla medesima difesa in grado di appello (sub nn. A9, A11 e A13), infatti la produzione dei primi è da considerare tardiva e non espressamente autorizzata dal giudice (le note autorizzate erano finalizzate solo a capitolare prove orali in relazione alla memoria di costituzione della Camera di commercio), mentre i documenti del secondo gruppo avrebbero potuto essere acquisiti, anche ex artt. 210 e 213 c.p.c., nel corso del giudizio di primo grado e, in ogni caso, non risulta che ne sia stata chiarita l'indispensabilità ai fini della decisione;

d) sussiste la giusta causa di licenziamento considerata nella sua valenza oggettiva (fatti addebitati) e soggettiva (qualifica dirigenziale ricoperta), in relazione alla condotta contestata: 1) aver indirizzato in data 5 maggio 2004 una lettera al Segretario generale nella quale, a conclusione di una riunione ristretta avuta con il medesimo Segretario e con un altro dirigente, la S. riteneva di confermare la valutazione di produttività già espressa in ordine a due addetti al proprio ufficio, senza aderire alle richieste di "ridimensionamento del punteggio" avanzate dal Segretario generale nel corso della citata riunione; 2) averne divulgato U contenuto, indirizzando, per conoscenza, la lettera anche alle due funzionane preposte ai due dipendenti interessati dalle valutazioni in contestazione, la cui competenza in materia si era senz'altro esaurita;

e) in particolare, la gravità della condotta si ravvisa da un lato nel passaggio della lettera in cui la S. giustifica ulteriormente la propria decisione di non modificare i punteggi con il richiamo a pregresse vicende e al "clima ostile" subito nell'ambiente lavorativo, peraltro non meglio specificato, e dall'altro lato nella circostanza che con la divulgazione della missiva la S., di fatto, ha manifestato l'intenzione di stigmatizzare l'operato del Segretario generale, diffondendo il contenuto di una riunione riservata;

f) come affermato anche dal primo giudice, il suddetto comportamento integra una grave violazione del dovere di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c., e, pertanto, determina la rottura dell'elemento fiduciario e giustifica il licenziamento per giusta causa, a nulla rilevando, a frante della gravità dei fatti, l'assenza di precedenti.

2- Il ricorso proposto da S.B. avverso la predetta sentenza ne domanda la cassazione per quattro motivi; resiste, con controricorso, la CAMERA DI COMMERCIO, INDUSTRIA, ARTIGIANATO E AGRICOLTURA di Reggio Emilia, che deposita anche memoria ex art. 378 c.p.c.. Diritto MOTIVI DELLA DECISIONE

1 - Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Il ricorso è articolato in quattro motivi.

1.1- Con il primo motivo si denunciano: a) violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 21, e della L. n. 580 del 1993, art. 14, comma 5; b) omessa, insufficiente o incongrua motivazione sul punto decisivo della controversia in relazione all'incompetenza per materia dell'organo che ha pronunciato il licenziamento, in violazione del principio generale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, di separazione tra attività di indirizzo e di gestione, siccome recepito anche dallo Statuto camerale (art. 26, che rimette al Segretario i compiti di gestione del personale).

1.2.- Con il secondo motivo si denunciano: a) violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 22; b) omessa, insufficiente o incongrua motivazione sul punto decisivo della controversia in relazione alla mancata previa acquisizione del parere del Comitato dei garanti, richiesto dalla natura della contestazione, che, anche a voler nettamente distinguere fra responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare, involge senz'altro profili di contrasto con il superiore, rientranti nell'ambito di competenza del predetto Comitato.

1.3.- Con il terzo motivo si denunciano: a) violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione alla necessaria proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti contestati; b) motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria sul punto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo la Corte di appello ritenuto la condotta addebitata talmente grave da meritare la massima sanzione, senza considerare che l'episodio si inseriva in uno scambio dialettico - con toni adeguati al caso - con il proprio superiore, rispetto ad una richiesta certamente valutabile come illegittima e che, come tale, giustificava non solo la presa di posizione per iscritto, ma anche il coinvolgimento delle due funzionarie che avevano partecipato alla formulazione del punteggio in contestazione. Infine, si sottolinea che la Corte di appello non ha adeguatamente valutato il vissuto soggettivo della S., che aveva sofferto una progressiva emarginazione e ridimensionamento delle funzioni assegnate alla propria area dirigenziale anche a causa e per effetto di pregresse valutazioni compiute nei confronti di altri dipendenti, onde è pienamente giustificato il riferimento al "clima ostile", su cui si è incentrato il giudizio di gravità espresso nella sentenza impugnata.

1.4.- Con il quarto motivo si denunciano: a) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 437 c.p.c., comma 2; b) genericità, illogicità e contraddittorietà della motivazione sulla indispensabilità della produzione documentale operata in sede di appello e non ammessa, avuto riguardo sia all'esclusione della documentazione già autorizzata dal giudice di primo grado, in replica alla riconvenzionale proposta dalla Camera di commercio, sia in relazione alla documentazione prodotta in grado di appello (essenzialmente il doc. n. A9, relazione ispettiva), da cui emerge chiaramente che, a seguito della riorganizzazione dell'ente, la S. aveva subito una progressiva marginalizzazione, in modo da dare conto di quel riferimento al "clima ostile" particolarmente evidenziato nella sentenza impugnata come indice della gravità della condotta), la cui conoscenza e disponibilità è stata acquisita solo dopo la sentenza di primo grado.

2 - Esame delle censure.

2.- Il primo motivo è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.

2.1.- Con tale motivo, come si è detto, si contesta la statuizione con la quale la Corte bolognese ha respinto l'eccezione della S. di nullità del licenziamento, perchè irrogato dalla Giunta della CCIIA, sull'assunto dell'incompetenza di tale organo ad esercitare il potere disciplinare, trattandosi di un organo politico con compiti di indirizzo e non di pura amministrazione. La Corte è pervenuta a tale conclusione rilevando che: a) ai sensi della L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 14, comma 5, - nella formulazione applicabile ratione temporis avuto riguardo all'epoca del licenziamento - la Giunta "adotta i provvedimenti necessari per la realizzazione del programma di attività e per la gestione delle risorse, ivi compresi i provvedimenti riguardanti l'assunzione e la carriera del personale, da disporre su proposta del segretario generale, in base a quanto previsto dalla presente legge e dalle relative norme di attuazione"; b) pertanto, la Giunta camerale, in base a tale disposizione, non verrebbe configurata come "organo di indirizzo politico-amministrativo, ma di esecuzione", sicchè, "nell'ambito del potere di gestione conferitole, rientrerebbero specificamente i provvedimenti riguardanti l'assunzione e la carriera del personale, dirigenti compresi"; c) la distinzione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e funzioni di gestione era già contenuta nel D.Lgs. n. 29 del 1993, precedente alla suddetta L. n. 580 del 1993, il cui art. 14 è rimasto in vigore anche dopo l'emanazione del d.lgs. n. 165 del 2001, essendo stato modificato, nella parte che qui viene in considerazione, soltanto dal D.Lgs. n. 23 del 2010, non applicabile nella specie, prevedendosi l'eliminazione del riferimento ai provvedimenti riguardanti l'assunzione e la carriera del personale, da disporre su proposta del Segretario generale.

2.2.- La suddetta ricostruzione del ruolo della Giunta camerale con riferimento ai provvedimenti riguardanti il personale e quindi del contenuto normativo della L. n. 580 del 1993, citato art. 14, comma 5, non è condivisibile.

In primo luogo, deve essere precisato che, pur essendo la questione di cui si discute nel presente giudizio nuova per la giurisprudenza di questa Corte, tuttavia essa deve essere esaminata muovendo dal condiviso principio affermato, in varie occasioni, a proposito della natura delle Camere di commercio e delle prestazioni di lavoro alle loro dipendenze, secondo cui, le Camere di commercio, rientrano tra le Amministrazioni pubbliche, essendo state qualificate come enti pubblici dotati di autonomia funzionale per effetto della legge di riordino n. 580 del 1993 ed essendo state comprese tra le Amministrazioni pubbliche dal D.Lgs. n. 29 del 1993 (Cass. 8 maggio 2006, n. 10437; Cass. 17 maggio 2006, n. 11519; Cass. 9 febbraio 2009, n. 3189).

2.3.- Partendo da questa base si deve osservare che la L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 19, sul riordinamento delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, fin dalla sua originaria versione, stabilisce all'art. 19, comma 1, - rubricato: "Personale delle Camere di commercio" e mai modificato - che a detto personale si applicano le disposizioni previste dalla L. 23 ottobre 1992, n. 421 e dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29.

E' del tutto evidente il carattere recettizio e mobile del rinvio operato a tale ultimo decreto legislativo (arg. ex Cass. 17 maggio 2006, n. 11519 cit.) come conferma anche il fatto che il testo della norma non sia stato modificato dal D.Lgs. n. 23 del 2010, ancorchè la relativa emanazione sia successiva a quella del D.Lgs. n. 165 del 2001, nella versione successiva alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150.

Nè va pretermessa l'efficacia "rinforzata" che anche la Corte costituzionale ha attributo al D.Lgs. n. 29 del 1993, e successive modificazioni, quale desumibile dalle due leggi di delega in attuazione delle quali è stata realizzata la cosiddetta privatizzazione dei rapporti di lavoro nel settore pubblico, sottolineando che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 3, qualifica come norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, fra l'altro, "i principi desumibili dalla L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 2, e successive modificazioni, e dalla L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 11, comma 4, e successive modificazioni ed integrazioni" (vedi, per tutte: Corte cost., sentenze n. 308 del 2006 e n. 189 del 2007).

2.4.- Per le suindicate ragioni - anche sulla base di una lettura costituzionalmente orientata della suddetta disciplina - l'esplicito richiamo al D.Lgs. n. 29 del 1993, porta a considerare recessiva la norma indicata nella lettera a) della L. n. 580 cit., art. 14, comma 5, nella parte in cui (nel testo originario qui applicabile) affida alla Giunta camerale anche la competenza per "i provvedimenti riguardanti l'assunzione e la carriera del personale, da disporre su proposta del segretario generale", tanto più che: a) tale affidamento che risulta essere effettuato "in base a quanto previsto dalla presente legge e dalle relative norme di attuazione" e, pertanto, non può che essere considerato implicitamente abrogato, dato che si pone in contraddizione con la disciplina di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, e s.m.i., richiamata dal citato art. 19, comma 1; b) tale competenza è stata esclusa nel testo dell'art. 14, comma 5, lett. a), di cui al D.Lgs. n. 23 del 2010, sicchè anche il canone dell'interpretazione evolutiva, porta al medesimo risultato.

2.5.- Peraltro, un ulteriore - rispetto al mancato esame dell'art. 19, comma 1 cit. - presupposto ermeneutico erroneo dell'impostazione seguita dalla Corte bolognese è rappresentato dall'aver ritenuto che tra "i provvedimenti riguardanti l'assunzione e la carriera del personale" possano farsi rientrare quelli disciplinari, che, invece, hanno una loro precisa ed autonoma configurazione, sia nel lavoro privato sia, e ancor più, nel lavoro pubblico.

Da questa osservazione si evince che, essendo operante nel nostro ordinamento anche prima del D.Lgs. n. 80 del 1998, la distinzione tra compiti di indirizzo e compiti di gestione degli enti pubblici (come afferma la stessa CCIIA a p. 10 del controricorso), in ogni caso, per effetto di tale distinzione, le Camere di commercio avrebbero dovuto provvedere alla istituzione di un ufficio ad hoc per le sanzioni disciplinari.

2.6.- Non va, del resto dimenticato che - con riguardo ad un giudizio relativo ad un licenziamento disciplinare intimato da una Camera di commercio - questa Corte ha precisato che anche le Camere di commercio devono individuare l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, in tal modo dovendosi coordinare la disciplina prevista dalla L. n. 580 del 1993, con il disposto generale di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 59, comma 4, poi trasfuso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 4, (Cass. 24 luglio 2003, n. 11506).

Si tratta di una applicazione di un indirizzo assolutamente consolidato della giurisprudenza di legittimità in base al quale, nel pubblico impiego privatizzato tutte le fasi del procedimento disciplinare devono essere svolte esclusivamente dall'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, il quale è anche l'organo competente all'irrogazione delle sanzioni disciplinari, ad eccezione del rimprovero verbale e della censura, con la conseguenza che il procedimento instaurato da un soggetto diverso al predetto ufficio è illegittimo e la sanzione è affetta da nullità, risolvendosi in una violazione di norme di legge inderogabili sulla competenza (vedi, per tutte: Cass. 17 giugno 2010, n. 14628; Cass. 25 luglio 2011, n. 16190; Cass. 30 settembre 2009 n. 2098 ed in epoca più risalente Cass. 5 febbraio 2004 n. 2168).

2.7.- A quanto si è detto consegue la fondatezza del primo motivo di ricorso, per avere la Corte territoriale escluso l'incompetenza della Giunta camerale e la conseguente nullità del licenziamento de quo.

sulla base di una errata ricostruzione ed interpretazione della normativa di riferimento e della corrispondente giurisprudenza di legittimità.

Il suddetto accoglimento comporta l'assorbimento di tutte le altre censure.

3 - Conclusioni.

3.- In sintesi, il primo motivo di ricorso deve essere accolto, per le ragioni dianzi esposte e con assorbimento degli altri motivi.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Bologna, in diversa composizione, che - nell'ulteriore esame del merito della controversia finalizzato alla determinazione delle conseguenze risarcitorie della nullità del licenziamento in oggetto - si atterrà, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente: "Anche le Camere di commercio, al pari delle altre Amministrazioni pubbliche, devono individuare l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, in tal modo dovendosi coordinare la disciplina prevista dalla L. n. 580 del 1993, con il disposto generale di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 59, comma 4, poi trasfuso nell'art. 55, comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001. Pertanto, il procedimento disciplinare per l'irrogazione di un licenziamento instaurato e gestito dalla Giunta camerale è illegittimo e la sanzione è affetta da nullità, risolvendosi in una violazione di norme di legge inderogabili sulla competenza, senza che possa portare ad un diverso risultato la L. n. 580 del 1993, art. 14, comma 5, (nel testo antecedente la modifiche di cui al D.Lgs. n. 23 del 2010, applicabile nella specie ratione temporis). trattandosi di norma si carattere recessivo rispetto alla stessa L. n. 580 cit., art. 19, comma 1, il quale, con rinvio recettizio, stabilisce che al personale delle Camere di commercio si applicano le disposizioni previste dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29".

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Lavoro, il 29 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2015

(Marco Dami)

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LaPrevidenza.it, 20/01/2016

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