giovedì, 19 giugno 2025

Responsabilità sanitaria, legittima la condanna in assenza di una diligente condotta del medico atta a prevenire il danno

Tribunale di L'Aquila sezione unica, sentenza 12.5.2021 n. 335

 

TRIBUNALE ORDINARIO DI L'AQUILA
SEZIONE UNICA 

Il Tribunale Ordinario di L'Aquila, in composizione monocratica, in persona: Dott. PETRONIO Emanuele - Presidente - ha pronunciato la seguente:  SENTENZA 

redatta ai sensi dell'art. 132 c.p.c., n. 4 e dell'art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, nella causa civile iscritta al n. 1511 del ruolo generale affari contenziosi dell'anno 2015, assegnato allo scrivente in data 25.05.2018, trattenuto in decisione all'udienza del 07.01.2021 con l'assegnazione in favore delle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito e lo scambio degli scritti difensivi finali, vertente tra:  M.S. (C.F.: (OMISSIS)), in proprio e in qualità di genitore esercente la potestà sui minori N.D. (C.F.: (OMISSIS)), NO.DA. (C.F.: (OMISSIS)), tutti rappresentati e difesi dall'Avv. CONSTANTINI MASSIMO giusta procura in calce all'atto di citazione ed elettivamente domiciliati in L'Aquila, alla Via G. Carducci n. 30, presso lo studio del difensore; - parte attrice - 

e ASL N. (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in L'Aquila, alla Via degli Orsini n. 25, presso lo studio dell'Avv. PICCININI ALESSANDRO, che la rappresenta e difende in virtù di procura rilasciata su foglio allegato alla comparsa di costituzione; - parte convenuta - e RELIANCE NATIONAL INSURANCE COMPANY (EUROPE) LIMITED, quale successore nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c. di QBE INSURANCE EUROPE LIMITED, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in L'Aquila, alla Via degli Orsini n. 25, presso e nello studio dell'Avv. BRACHETTI SILVANA, rappresentata e difesa dall'Avv. TAVAZZI MICHELE come da procura allegata in calce all'atto di costituzione;

- terza chiamata in causa - CONCLUSIONI DELLE PARTI. I procuratori delle parti concludevano come da verbale dell'udienza di precisazione delle conclusioni del 07.01.2021.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione del 2 settembre 2015, ritualmente notificato in data 30 settembre 2015, i Sig.ri M.S., N.D. e No.Da. citavano in giudizio innanzi all'intestato Tribunale la ASL N. (OMISSIS) per sentir accogliere le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, nel merito e per tutte le ragioni esposte in narrativa: 1. accertare e dichiarare la responsabilità civile della convenuta ASL n. (OMISSIS), avente sede legale in (OMISSIS), nella causazione dell'evento morte del Sig. n.d.; 2. per l'effetto, condannare, la prefata ASL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante p. t., al risarcimento in favore della Sig.ra M.S., in proprio e n. q. di esercente la potestà genitoriale sui figli minori No.Da. e N.D., di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti et subendi, vantati iure proprio e iure hereditatis, come quantificati per un importo complessivo pari ad Euro 1.459.170,00, ovvero nella diversa somma che sarà ritenuta di Giustizia, anche all'esito di CTU, come meglio da appresso partitamente indicate: - quanto alla Sig.ra M.S., a titolo di danno non patrimoniale Euro 163.080,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dall'evento fino all'effettivo soddisfo; - quanto al figlio minore N.D., a titolo di danno non patrimoniale Euro 163.080,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dall'evento fino all'effettivo soddisfo; quanto al figlio minore N.D., a titolo di danno non patrimoniale Euro 163.080,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dall'evento fino all'effettivo soddisfo; - quanto agli eredi tutti del de cuis sig. n.d., ulteriori Euro 969.930,00 a titolo di danno biologico, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dall'evento fino all'effettivo soddisfo, da liquidarsi, per tutti in favore della Sig.ra M.S., in proprio e nella riferita qualità di esercente la potestà genitoriale sui figli minori".

In particolare, gli attori esponevano che il Sig. n.d. in data 12.10.2006 veniva ricoverato presso il Reparto di Psichiatria del Presidio Ospedaliero (OMISSIS) della convenuta ASL (OMISSIS) a seguito di uno "stato di agitazione psicomotoria", come riportato nella cartella clinica, riferendo di aver abusato di bevande alcoliche e sostanze stupefacenti a seguito dell'allontanamento volontario dalla clinica (OMISSIS), presso la quale era stato ricoverato per disintossicarsi.

In data 17.10.2006, a seguito di effettuazioni di esami tossicologici e della somministrazione delle terapie farmacologiche, il Sig. n.d. veniva dimesso e inviato al SERT (OMISSIS). Poche ore dopo la dimissione il Sig. n. si recava nuovamente presso il Pronto Soccorso del Presidio Ospedaliero (OMISSIS) e nel giorno successivo al ricovero e precisamente il (OMISSIS) alle ore 12,20, il paziente, all'interno del reparto di psichiatria, decedeva a causa di una crisi dispnoica grave seguita da arresto totale del respiro e dell'attività cardiaca.

Le parti attrici rilevavano che i farmaci somministrati in occasione dei due ricoveri appartengono alla categoria delle benzodiazepine e concludevano nel senso che l'insufficienza respiratoria acuta che ha portato alla morte del n. deve essere attribuita all'interazione tra i farmaci benzodiazepinici somministrati dai sanitari e le sostanze stupefacenti assunte con ogni probabilità in sede di ricovero.

Di conseguenza, i congiunti del paziente deceduto sostenevano la riconducibilità alla responsabilità della struttura sanitaria convenuta della morte del Sig. n.d., chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti iure proprio e iure hereditatis.

Con comparsa di costituzione e riposta del 20.01.2016 si costituiva in giudizio la A.S.L. n. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, che contestava le avverse domande e concludeva chiedendo: "- in via principale respingere le domande di parte attrice con vittoria di spese ed onorari; - in via subordinata e salvo gravame: - dichiarare la Compagnia Assicuratrice QBE Insurance (Europa) Ltd., P.Iva (OMISSIS), in persona del suo legale rappresentante p. t., con sede in Milano, Largo A., in forza del contratto ripassato tra le parti, tenuta a garantire la convenuta contro gli effetti dell'eventuale accoglimento della domande attorea e per l'effetto condannare il medesimo terzo chiamato al pagamento di quelle somme che verranno accertate e liquidate in corso di causa; - condannare inoltre il terzo chiamato in garanzia al risarcimento di tutti i danni da accertare e liquidare in corso di causa con rivalutazione ed interesse; - onerare la parte o le parti soccombenti della rifusione delle spese di lite".

In particolare, parte convenuta affermava che la controparte non aveva indicato elementi dimostrativi che consentissero anche solo secondo il noto criterio prognostico del più probabile che quanto accaduto al defunto Sig. n. non fosse conseguenza naturale delle patologie sofferte, in quanto il paziente era portatore di numerosi fattori di rischio per una cardiopatia ischemica, considerate le sue condizioni di obesità, di ipertensione e di dislipidemia da cui era da tempo affetto. La convenuta rilevava, inoltre come i sanitari avessero adempiuto alle mansioni a loro affidate in maniera adeguata ed esente da rilievi di ogni genere.

Inoltre, veniva eccepito che le allegazioni di controparte in alcun modo potevano far ricondurre l'imputabilità dell'assunto evento-morte in capo alla struttura sanitaria, non essendosi dimostrato, sotto un profilo scientifico, né che la diagnosi effettuata presso l'ASL n. 1 fosse errata, né l'errata indicazione di trattamenti farmacologici a cui è stato sottoposto il paziente.

La ASL n. (OMISSIS), in quanto titolare della polizza assicurativa contratta con la compagnia assicuratrice QBE Insurance (Europa), chiedeva inoltre la chiamata in causa della propria garante.

Con comparsa depositata in data 05.05.2016 si costituiva ritualmente in giudizio la chiamata QBE INSURANCE (EUROPE) LIMITED, ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni: "In via preliminare: - accertare il difetto di titolarità e legittimazione attiva in capo agli attori e, per l'effetto, dichiarare la nullità, inammissibilità e improcedibilità della relativa domanda di risarcimento; - accertare che l'azione promossa dalla sig.ra M.S. nell'interesse dei minori N.D. e No.Da. è stata esperita in assenza della preventiva autorizzazione del Giudice Tutelare ex art. 320 c.c. e, per l'effetto, dichiarane l'inammissibilità e/o improcedibilità; In via principale: - respingere integralmente le domande avanzate dalla sig.ra M.S. (anche quale genitore esercente la potestà sui minori N.D. e No.Da.) in quanto assolutamente infondate in fatto ed in diritto e, comunque, non provate; dichiarare l'inammissibilità ed infondatezza dell'atto di chiamata in causa notificato alla Qbe Insurance (Europe) Limited, stante l'inoperatività della polizza RCT/RCO invocata dall'Asl n. (OMISSIS) e, per l'effetto, disporre l'estromissione di Qbe Insurance (Europe) Limited dal presente procedimento; In via subordinata, nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento, anche parziale, delle domande attoree: - ridurre i danni (e, conseguentemente le pretese risarcitorie degli attori tutti) in quanto eccessivi, non provati e sproporzionati e calcolare il quantum dell'eventuale pretesa tenuto conto delle condizioni pregresse del defunto sig. n.d.; - in ogni caso, dichiarare la Qbe Insurance (Europe) Limited, nella denegata e non creduta ipotesi in cui venisse ritenuta operante la polizza, tenuta a garantire e manlevare l'Asl n. (OMISSIS) esclusivamente nei limiti della Polizza contratta".

La causa veniva istruita con l'espletamento delle prove orali richieste dalle parti attrici e di una CTU medico-sanitaria, con nomina all'uopo della Dott.ssa F.A.R..

Ultimata la fase istruttoria, veniva fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni al 07.01.2021 e, in tale occasione, la causa veniva trattenuta in decisione, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.

Così sinteticamente ricostruito l'oggetto del processo e la posizione delle parti, la domanda proposta dalle parti attrici deve essere dichiarata infondata e va, pertanto, rigettata.

In punto di diritto, va sottolineato in prima luogo che l'azione è stata proposta ai sensi dell'art. 1218 c.c., e quindi a titolo contrattuale.

Prima di procedere ad esaminare nel merito la vicenda oggetto del presente giudizio, si reputa necessario inquadrare la natura della responsabilità della struttura sanitaria nell'ipotesi in cui ad agire non sia la vittima stessa di una malpractice medica, bensì i parenti per i danni subiti iure proprio conseguenti alla morte del paziente.

Ebbene, l'orientamento giurisprudenziale consolidato afferma che, allorquando ad agire siano i congiunti del paziente per i danni subiti iure proprio, la responsabilità della struttura sanitaria ha natura extracontrattuale (cfr. Cass. civ., sez. 3, 08.07.2020, n. 14258: "se - ed in tali termini - deve ritenersi che una struttura ospedaliera risponda, contrattualmente, dei danni dei quali chieda il ristoro lo stesso paziente (che lamenti la mancata adeguata vigilanza sulla sua persona, ed in particolare l'omesso impedimento di atti autolesivi), non altrettanto può dirsi in ordine, invece, in relazione all'iniziativa risarcitoria assunta dai suoi stretti congiunti, per far valere, nelle stesse Ipotesi, il danno da menomazione del rapporto parentale, o da perdita dello stesso, particolarmente nel caso in cui l'iniziativa autolesionistica del malato, soprattutto quello psichiatrico, si risolva in un atto suicidario portato a compimento. E' quanto, del resto, ritenuto da questa Corte già in un'occasione, che presentava profili di analogia (sebbene non di identità) con quella presente. 

Invero, in relazione alla domanda risarcitoria proposta, in via contrattuale, dalla figlia di una donna affetta da morbo di Alzheimer, e ricoverata presso una residenza per anziani, in merito alla morte della propria genitrice, deceduta a seguito di precipitazione da una finestra della stanza di degenza, questa Corte ha escluso (come non ha mancato di ricordare proprio la sentenza impugnata) che l'azione esercitata fosse riconducibile alla previsione di cui all'art. 1218 c.c.; e ciò sul rilievo che "il rapporto contrattuale" risultava "intercorso tra la stessa casa di riposo e la ricoverata, non certo tra la prima e la figlia della seconda, di talché, "l'ambito risarcitorio" nel quale la domanda doveva "essere inquadrata" fu ritenuto "necessariamente di natura extracontrattuale" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 8 maggio 2012, n. 6914, non massimata). Inoltre, e questa volta proprio con riferimento ad una fattispecie di responsabilità medica relativa ad un evento mortale (ancorché in ambito diverso da quello di prestazioni sanitarie a favore di malato psichiatrico, né con riferimento all'omessa vigilanza dello stesso), si è precisato che "il diritto che i congiunti vantano, autonomamente sebbene in via riflessa ad essere risarciti dalla medesima struttura dei danni da loro direttamente subiti, in relazione al decesso del paziente, "si colloca nell'ambito della responsabilità extracontrattuale e pertanto è soggetto al termine di prescrizione quinquennale previsto per tale ipotesi di responsabilità dall'art. 2947 c.c." (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 20 marzo 2015, n. 5590, non massimata). Né, d'altra parte, in senso contrario alla conclusione qui proposta, secondo cui gli odierni ricorrenti non potevano invocare alcuna responsabilità contrattuale (giovandosi, così, delle regole probatorie sopra illustrate), dovendo agire, invece, in via aquiliana, si può richiamare la figura dei cd. "terzi protetti dal contratto". E ciò in quanto, per le ragioni di seguito meglio indicate, il suo campo di applicazione deve essere circoscritto - nell'ambito della responsabilità medica - al solo "sottosistema" in cui vengono in rilievo quelli che, nel modo di lingua inglese, vengono definiti come "wrongful birth damages").

Pertanto, non sussistendo alcun vincolo contrattuale tra i parenti del paziente deceduto e la struttura sanitaria che ha prestato le cure al Sig. n.d.., il risarcimento dei danni da lesione del rapporto parentale patiti dai parenti iure proprio deve seguire il regime di cui all'art. 2043 c.c., con conseguente aggravio dell'onere probatorio rispetto alla responsabilità contrattuale oltre al termine di prescrizione quinquennale.

Pacifico è, invece, che la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente abbia natura contrattuale, da contatto sociale, con un termine di prescrizione decennale che opera per le domande risarcitorie proposte dagli eredi del soggetto deceduto.

Fatta questa premessa, si deve ricordare che in ogni caso, secondo i principi generali di cui all'art. 2697 c.c., il paziente o i suoi congiunti devono dimostrare il nesso di causalità tra l'evento lesivo della salute e la condotta del medico, dovendosi dimostrare che il peggioramento delle condizioni di salute è connesso causalmente al comportamento del sanitario. Solo successivamente all'accertamento del nesso eziologico tra l'evento dannoso e la prestazione sanitaria, andrà valutato il profilo soggettivo della sussistenza di un inadempimento imputabile o di una condotta colposa o dolosa in capo al personale sanitario.

In primo luogo, quanto al nesso di causalità tra il decesso del Sig. n.d. e la dedotta condotta negligente e imperita dei sanitari della ASL n. (OMISSIS) convenuta, deve valutarsi, alla luce delle leggi scientifiche della specifica disciplina e alla stregua del criterio causale del "più probabile che non", se la dipartita del de cuius si sarebbe ugualmente verificata anche nell'ipotesi in cui i sanitari avessero osservato condotte atte a prevenire ed evitare l'evento mortale causato dalla grave crisi dispnoica e dal conseguente arresto cardiocircolatorio.

Ed invero, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, che questo Giudice ritiene di condividere, il nesso causale fra il comportamento del medico e il pregiudizio subito dal paziente è configurabile qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l'opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili probabilità di evitare il danno verificatosi (cfr., in tal senso, Cass. 17 gennaio 2008, n. 867; Cass. 23 settembre 2004, n. 19133). Risulta, dunque, necessario accertare che il comportamento diligente e perito del sanitario avrebbe avuto la probabilità di prevenire o elidere le conseguenze dannose concretamente verificatesi. Probabilità, ovviamente, non meramente statistica, ma di natura logico - razionale. Deve ritenersi sussistente un valido nesso causale tra la condotta colposa del sanitario e l'evento lesivo, in conclusione, allorché, se fosse stata tenuta la condotta diligente, prudente e perita, l'evento dannoso non si sarebbe verificato: giudizio da compiere non sulla base di calcoli statistici o probabilistici, ma unicamente sulla base di un giudizio di ragionevole verosimiglianza, che va compiuto alla stregua degli elementi di conferma (tra cui soprattutto l'esclusione di altri possibili e alternativi processi causali) disponibili in relazione al caso concreto.

Al riguardo, peraltro, non può che essere condiviso il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui: "La causalità materiale nella disciplina delle obbligazioni non è così soltanto causa di esonero da responsabilità per il debitore (art. 1218 c.c.), e perciò materia dell'onere probatorio di quest'ultimo, ma è nelle obbligazioni di diligenza professionale anche elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio ove risulti allegato il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie. Il creditore di prestazione professionale che alleghi un evento di danno alla salute, non solo deve provare quest'ultimo e le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (c.d. causalità giuridica), ma deve provare anche, avvalendosi eventualmente pure di presunzioni, il nesso di causalità fra quell'evento e la condotta del professionista nella sua materialità, impregiudicata la natura di inadempienza di quella condotta, inadempienza che al creditore spetta solo di allegare. 1.1.3. Una volta che il creditore abbia provato, anche mediante presunzioni, il nesso eziologico fra la condotta del debitore, nella sua materialità, e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie, sorgono gli oneri probatori del debitore, il quale deve provare o l'adempimento o che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile. Emerge così un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle. Il nesso di causalità materiale che il creditore della prestazione professionale deve provare è quello fra intervento del sanitario e danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie; il nesso eziologico che invece spetta al debitore di provare, dopo che il creditore abbia assolto il suo onere probatorio, è quello fra causa esterna, imprevedibile ed inevitabile alla stregua dell'ordinaria diligenza di cui all'art. 1176, comma 1, ed impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale (art. 1218). Se la prova della causa di esonero è stata raggiunta vuol dire che l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di una nuova patologia è sì eziologicamente riconducibile all'intervento sanitario, ma il rispetto delle leges artis è nella specie mancato per causa non imputabile al medico. Ne discende che, se resta ignota anche mediante l'utilizzo di presunzioni la causa dell'evento di danno, le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale, se invece resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione di diligenza professionale, ovvero resta indimostrata l'imprevedibilità ed inevitabilità di tale causa, le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore" (Cass. civ., Sez. 3, 11 novembre 2019, n. 28991).

Sul punto, si deve affermare che dalle risultanze processuali non risulta accertato il nesso di causalità tra la condotta dei sanitari operanti all'interno del reparto Psichiatria del Presidio Ospedaliero (OMISSIS) ASL n. (OMISSIS) e il decesso del Sig. n.d., di anni quaranta al momento del decesso, paziente psichiatrico con situazione di alcolismo e tabagismo nonché affetto da plurime patologie.

A tale conclusione può pervenirsi tramite la lettura della consulenza tecnica espletata nel presente giudizio.

In primo luogo, sulla causa del decesso del de cuius, il CTU ha affermato che "Il decesso del signor n. è avvenuto con elevata probabilità, prossima alla certezza, per overdose da morfina. La dose di morfina assunta era sufficiente da sola a causare la morte, soprattutto in un paziente non abituato ad assumere regolarmente oppioidi che, quindi, non aveva sviluppato tolleranza ad essi. Le dosi di metadone, che da sole non erano sufficienti a provocare un effetto letale, potrebbero aver contribuito all'evento fatale insieme alla morfina, visto che i due farmaci hanno lo stesso bersaglio farmacologico e le loro azioni si addizionano. Le concentrazioni del nordiazepam, metabolita del Valium somministrato dal personale medico, erano invece ben lontane dal poter aver contributo al decesso, e tantomeno gli altri farmaci antipsicotici, la cui somministrazione è cessata la mattina del 17.10.2006" (cfr. pag. 26 relazione peritale).

Con riferimento ai controlli, verifiche e terapie effettuati dai sanitari operanti all'interno del reparto di Psichiatria, quindi sulla gestione assistenziale del paziente, il CTU ha rilevato che "al momento del primo contatto con la parte convenuta il signor n. si trovava in uno stato di marcata agitazione psicomotoria. All'esame psichiatrico egli risultava poco accessibile al colloquio, diffidente, ostile, poco collaborante, disforico. L'eloquio era povero, il contenuto del pensiero alterato, con tendenza alla ruminazione, l'aderenza alle cure molto limitata e la consapevolezza di malattia scarsa; non erano presenti deficit dell'orientamento e della memoria, né disturbi sensopercettivi. L'esame obiettivo generale e neurologico rientrava nella norma; - Il paziente è stato sottoposto a visita medica generale, esame neurologico, esame psichiatrico, ECG, esami del sangue e delle urine: l'ECG è risultato nei limiti della norma, al pari della maggior parte degli esami ematochimici di routine, ad eccezione dei trigliceridi (1024 mg/dl), del colesterolo totale (336 mg/dl), e delle GGT (122 U1/l), che presentavano valori aumentati. Il dosaggio urinario di cannabinoidi, cocaina, morfina ed anfetamine, eseguito alle ore 05:00 del (OMISSIS) e ripetuto in data 13.10.06 ha dato esito negativo. Il paziente, dunque, è stato trattato come un alcolista e sedato, mediante la seguente associazione di psicofarmaci: Haldol 2 mg/ml (20 gtt x 3 die), Prozin 100 mg cpr (1/2-+ 1/2+ 1 cpr), 500 c.c. di soluzione fisiologica con 2 fl di Valium (1x2/die) ed Entumin gtt (20 + 20 +30 gtt/die), farmaco inserito in data 13.10 per persistente stato di agitazione psicomotoria. Dimesso il 17.10.06 con diagnosi di "Dipendenza da alcol continua. Disturbo di personalità borderline", dopo aver assunto i farmaci previsti alle ore 8 il signor n., alle ore 13.09 dello stesso giorno è stato trasportato al PS e nuovamente ricoverato in psichiatria. Il paziente al suo rientro si è mostrato particolarmente aggressivo ed è stato trattato con alle ore 20 è con 1 fiala Valium in 500 c.c. di soluzione fisiologica ed alle ore 23 con una fiala di Largactil intramuscolo: egli, tuttavia non ha assunto gli altri psicofarmaci che gli venivano somministrati prima della dimissione. La mattina del 18.10.06 il signor n. ha rifiutato la terapia ed alle ore 12.20 è deceduto improvvisamente per crisi dispnoica grave seguita dopo pochi secondi dall'arresto totale del respiro e dell'attività cardiaca" (pag. 24-25 della relazione peritale).

Sulle dipendenze di cui soffriva il paziente il CTU ha osservato che "Il signor n. era un alcolista cronico e un discreto fumatore di sigarette: poiché entrambe le condizioni determinano un'induzione del sistema microsomiale epatico, è molto probabile che nel caso in esame si sia verificato un aumento del metabolismo delle benzodiazepine e del metadone, che ne ha facilitato l'escrezione, accorciato l'emivita, quindi in definitiva ridotto l'efficacia terapeutica (E. Tanaka - Toxicological interactions involving psychiatric drugs and akohol: an update - Journal of Clinical Pharmacy and Therapeutics 28, 2003, 81-95)".

In merito alla tolleranza del paziente alla morfina il CTU ha sostento che "se il signor n. avesse abusato regolarmente di oppioidi (circostanza che non emerge dagli atti), sicuramente avrebbe sviluppato tolleranza e per cui sarebbe stato in grado di assumere dosi elevate di morfina senza andare incontro agli effetti tossici; dal momento, tuttavia che sono sufficienti 2-3 giorni di astinenza per perdere tale tolleranza, come dimostrato dagli studi sopra descritti, l'aver interrotto bruscamente la loro assunzione nel periodo in cui era ricoverato in ospedale, lo avrebbe esposto, forse ancora di più, alla tossicità della morfina e le dosi riscontrate nel suo sangue sarebbero state ancora più nocive e capaci di causarne la morte. La tolleranza, infatti, non dipende da un presunto aumento dei livelli enzimatici epatici indotto dagli oppiacei, come erroneamente affermato da precedenti consulenti, ma dalla riduzione della sensibilità e del numero dei recettori della morfina, rapidamente reversibile nel tempo" (pag. 23 relazione peritale).

In conclusione, circa la condotta dei sanitari operanti all'interno della struttura sanitaria e circa il nesso eziologico tra tale condotta e il decesso del Sig. n.d., si può concludere in sintonia con la relazione peritale nel senso che: "i trattamenti eseguiti nel corso dei due ricoveri in psichiatria, considerate le condizioni psichiche del paziente, erano indicati alle specifiche caratteristiche del caso concreto e sono stati effettuati secondo la miglior pratica medica con la dovuta prudenza, diligenza e perizia per cui non si ritiene che sussistano profili di responsabilità professionale addebitabili ai sanitari".

L'unico profilo che residua è relativo alle modalità di reperimento della dose di morfina da parte del paziente; sul punto il CTU ha notato che "Dai dati disponibili non è possibile dedurre come il signor n. sia entrato in possesso della morfina, del metadone e del lorazepam, non incluso nel piano terapeutico, potendosi ipotizzare sia che egli si sia procurato tali sostanze all'esterno, nel breve lasso di tempo intercorrente tra il primo ed il secondo ricovero presso la psichiatria, sia che se ne sia impossessato all'interno della struttura ospedaliera, circostanza presumibilmente indagata in sede penale". E al riguardo il CTU così conclude: "Solo qualora il signor n. si fosse impossessato della morfina all'interno della struttura ospedaliera (circostanza presumibilmente indagata in sede penale), potrebbe essere addebitato un comportamento negligente ed imprudente in capo a coloro che avevano l'obbligo di adottare misure atte ad impedire la sottrazione delle sostanze stupefacenti" (pag. 23 della relazione peritale).

Tale circostanza, ad ogni modo, non è stata provata in alcun modo. Trattandosi di un fatto essenziale ai fini della prova del nesso di causalità (cfr. Cassaz. Civ., sez. 3, sentenza 07/03/2019 n. 6593, che ha ribadito il principio di diritto per cui è onere dell'attore, paziente danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento") nonché dovendosi considerare che non poteva chiedersi alla struttura sanitaria convenuta di provare un fatto negativo (e cioè la circostanza che il paziente non abbia rinvenuto le dosi di morfina all'interno dell'ospedale), il relativo onere probatorio ricadeva senza dubbio in capo agli attori, che non lo hanno assolto.

Dunque, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, in conformità alle attendibili e ragionevoli conclusioni del CTU, deve escludersi la sussistenza di un nesso causale tra la condotta del personale sanitario operante presso la ASL N. (OMISSIS) e il decesso del Sig. n.d..

Tale conclusione implica il rigetto delle domande risarcitorie concernenti sia i danni iure proprio sia i danni iure hereditatis.

In conclusione, le domande risarcitorie proposte dagli attori non sono meritevoli di accoglimento per il mancato raggiungimento della prova del nesso di causalità. Tale rigetto assorbe sia l'esame dell'eccezione di difetto di titolarità e di legittimazione attiva in capo agli attori sia l'esame delle domande proposte nei confronti della xxx, terza chiamata in causa.

Sussistono gravi ed eccezionali ragioni (Corte Costituzionale, sentenza n. 77/2018), da ravvisarsi nella peculiarità della dolorosa vicenda, per compensare integralmente tra le parti le spese di lite mentre le spese di C.T.U., liquidate come da separato provvedimento, vanno poste definitivamente in solido a carico delle parti attrici.

Sono poste a carico delle parti attrici le spese della C.T.U..

P.Q.M.

Il Tribunale Ordinario di L'Aquila, definitivamente pronunciando sulla causa civile iscritta al R.G. n. 1511/2015 e vertente tra le parti indicate in epigrafe, così provvede:

- rigetta le domande proposte da M.S., N.D. e NO.DA. nei confronti di ASL N. (OMISSIS);

- pone definitivamente a carico delle parti attrici le spese di C.T.U. liquidate come da separato provvedimento;

- compensa integralmente tra le parti le spese di lite.

Così deciso in L'Aquila, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021
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LaPrevidenza.it, 12/07/2021

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