Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa
Note all'art. 604 bis c.p.
L'art. 604 bis, c.p., introdotto dal d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 sanziona un catalogo esteso di fatti criminosi (in via sussidiaria rispetto ad altri eventuali più gravi reati) e precisamente: a) con la reclusione fino ad 1 anno e 6 mesi o con la multa fino a 6.000 euro, i delitti di propaganda d'idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico; ovvero istiga a commettere o commette atti discriminatori per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; b) con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, i delitti di istigazione e provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; al 2° co. sono previste le condotte associative di matrice razzista. Sono ivi punite con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, la partecipazione o l'assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che si prefiggono l'incitamento alla discriminazione violenta o non, per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; con la reclusione da 1 a 6 anni la promozione o direzione di tali enti. Tale catalogo criminale contempla, oltre a delitti di opinione, condotte discriminatorie, ma non ancora violente; condotte violente commesse per motivi discriminatori; condotte di associazionismo con finalità di incitamento alla discriminazione o alla violenza razzista. Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6,7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale. L'aggravante di negazionismo di cui all'art. 604 bis, 3° co., c.p. può applicarsi esclusivamente ai delitti di: propaganda di razzismo; istigazione alla discriminazione violenta o non violenta; partecipazione, assistenza, promozione o direzione delle associazioni che incitano alla discriminazione e alla violenza razziste. Ove ricorra tale aggravante, la pena della reclusione è fissata dalla novella del 2016 (così come è tuttora) da un minimo di 2 ad un massimo di 6 anni, indipendentemente dal fatto che il reato base sia la propaganda razzista, l'istigazione alla discriminazione ovvero l'istigazione alla violenza razzista (benché quest'ultimo delitto sia punito nella forma base con pena più alta rispetto agli altri). L'incriminazione del negazionismo determina, per la verità, una tensione difficilmente conciliabile con il diritto di libera manifestazione del pensiero, sancito dall'art. 21 Cost. e dall'art. 10 Cedu, come pure con il principio di legalità, nel suo corollario della sufficiente determinatezza di fattispecie (art. 25, 2° co., Cost.). La Corte europea è giunta ad affermare che impedire la propaganda o la mera diffusione di ideologie "negazioniste" o razziste violi l'art. 10 CEDU, che riconosce e tutela la libertà di espressione. Non mancano pronunce che si discostano, ritenendo sostanzialmente prevalente il divieto di discriminazione rispetto alla piena esplicazione della libertà di manifestazione del pensiero.
Cfr. Sentenza Féret contro il Belgio del 16 luglio 2009 (ricorso n. 15615/07). Art. 10 CEDU (libertà di espressione); istigazione alla discriminazione e al razzismo da parte di un rappresentante del popolo Il ricorrente era il presidente del partito belga Front National-Nationaal Front e in quanto tale responsabile degli scritti, dei volantini e del sito web del partito. Rappresentava inoltre il parti-to nella camera dei deputati. Dal 1999 al 2001 la campagna elettorale del partito aveva pro-vocato molte denunce per istigazione al razzismo e alla xenofobia. In seguito la commissione della camera dei deputati ha soppresso l'immunità parlamentare del ricorrente. Il Tribunale d'appello lo ha condannato a 250 ore di lavoro di pubblica utilità per gli innumerevoli volantini e disegni distribuiti durante la campagna elettorale e lo ha escluso da qualsiasi incarico poli-tico per 10 anni.
Secondo la Cassazione pen. n. 8108/2017, non è reato il saluto romano se ha intento commemorativo e non violento, in quanto in tal caso deve essere considerato come una libera manifestazione del pensiero e non un attentato concreto alla tenuta dell'ordinamento democratico. Gli ermellini hanno, così, assolto in via definitiva due manifestanti di Casapound che durante una manifestazione organizzata a Milano nel 2014, rispondendo alla "chiamata del presente", avevano alzato il braccio destro facendo il saluto fascista. La legge Scelba, si legge in sentenza, non punisce tutte le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, ma solo quelle che possono determinare il pericolo di ricostituzione delle organizzazioni fasciste, nonché i gesti e le espressioni idonei a provocare adesioni e consensi. Nella fattispecie è stata dirimente la natura puramente commemorativa della manifestazione del corteo, che venne organizzato in onore di tre militanti morti, senza che vi fosse in concreto alcun intento restaurativo del regime fascista, contrariamente a quanto avviene, ad esempio, nel caso di manifestazioni di pensiero consistenti in frasi del tipo "all'armi siamo fascisti", considerate come una professione di fede e un incitamento alla violenza, così di chi compie il saluto romano armato di manganello durante un comizio elettorale.
Anche il reato di incitamento alla violenza e ad atti di provocazione previsto dall'art. 3 co.1, lett. b) è un reato di pericolo che si perfeziona indipendentemente dalla circostanza che l'istigazione sia accolta dai destinatari, essendo necessario valutare la concreta ed intrinseca capacità della condotta, ossia quello della discriminazione razziale, etnica o religiosa. Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui viene posta in essere la condotta tipica.
Circostanza aggravante prevista dall'art. 604 ter c.p. Per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà. Le circostanze attenuanti diverse da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti con l'aggravante di cui al primo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzione di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante. Questa norma prevede un'aggravante applicabile a tutti i reati puniti con pena diversa dall'ergastolo qualora siano commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, enti, movimenti o gruppo che hanno tra i loro scopi le predette finalità.
Conclusioni. A parere di chi scrive, l'introduzione di norme penali contro il fenomeno del negazionismo non si esauriscono sul piano strettamente giuridico, ma devono avere una rilevanza su di un piano politico-sociale. La ricostruzione storica, o raccontare la storia e affidare la sua conservazione al diritto penale impone in modo acritico giudizi astratti, metaforici di un'identità sociale, è la stessa collettività che deve coglierne l'essenza della forma storica. Mettere il negazionista "ai ceppi" come si fa ripulendo il terreno per renderlo coltivabile, tranquillizza solo le coscienze e alleggerisce solo la morale. Bisogna sempre avere una visione del passato e proteggerne la memoria attraverso l'impegno culturale e civile, sempre privo di intenti offensivi. Delegare alla pena la protezione della storia è una soluzione poco soddisfacente per chi è stato offeso o per le vittime, che sembrano essere ulteriormente offese, danneggiate nella loro reputazione, per il fatto che solo ricorrendo al potere possono proteggere il ricordo del proprio dolore. Se ci sono dei colpevoli è giusto che siano puniti, ma non bisogna azzerare la libertà intellettuale, il confronto, che deve comunque esistere in una società civile, bisogna abituare la collettività al confronto, tra idee diverse, manifestare la propria opinione sempre senza offendere l'altro, in caso contrario si appiattisce l'intelligenza, la formazione dell'individuo, bisogna farlo abituare ad essere responsabile, ad assumersi i rischi, a rispettare i diritti fondamentali che devono esistere in una società civile. Non responsabilizzare la collettività significa non farli ragionare, non ricercare la verità di una idea o di una notizia, ne discende che avremo degli individui non maturi che parlano senza cognizioni di causa, per sentito dire, non assumendosi mai i rischi e le proprie responsabilità. Non è questo il modo per conservare la memoria storica, passando attraverso dei processi propositivi, educativi e non repressivi.
Avv. Vincenzo Mennea
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(Vincenzo Mennea)
LaPrevidenza.it, 17/05/2021