Il pagamento dell'indebito
L'indebito oggettivo
Pagamento dell'indebito è l'esecuzione di una prestazione non
dovuta. L'indebito si distingue in oggettivo e soggettivo. Si ha
indebito oggettivo quando l'adempiente esegue una prestazione in base ad
un titolo inesistente o inefficace (2033 c.c.). Si ha indebito
soggettivo quando l'adempiente esegue un debito altrui nell'erronea
credenza di essere il debitore (2036 c.c.).
Chi riceve un pagamento non
dovuto è tenuto alla restituzione. Requisito essenziale per
la configurabilità di una fattispecie d'indebito oggettivo è la mancanza
di una causa giustificativa dello spostamento patrimoniale. Laddove
l'art. 2033 c.c. faccia riferimento al pagamento non dovuto, rientra sia
l'inesistenza del titolo del pagamento, sia il suo successivo venir
meno con effetti retroattivi, per esempio, risoluzione, rescissione,
avveramento della condizione risolutiva o annullamento. Elementi della
fattispecie dell'indebito oggettivo s'identificano nel pagamento non
dovuto e cioè 1) pagamento e 2) la mancanza del titolo.
A differenza
dell'indebito soggettivo non è invece richiesto l'errore
dell'adempiente. A fronte dell'intervenuta prestazione indebita, sorge
per l'accipiens l'obbligo di restituire quanto ricevuto, oltre i frutti e
gli interessi con corrispondente diritto per il solvens di agire in
giudizio per l'eventuale ripetizione di quanto versato. La relativa
azione di ripetizione ha natura personale ed è esperibile solo dal
soggetto cui è imputabile il pagamento, essa si prescrive in dieci anni
ai sensi dell'art. 2946 c.c.. Quale presupposto del diritto alla
ripetizione il pagamento dev'essere provato da chi fa valere
tale diritto, cioè il solvens dovrà dimostrare in giudizio che il
pagamento effettuato non era dovuto per inesistenza originaria o
sopravvenuta del titolo giustificativo.
Prestazioni non dovute concerne
in generale tutte le ipotesi di mancanza del titolo, ossia di mancanza
del rapporto o del negozio in esecuzione del quale la prestazione è
fatta. Il titolo può mancare in origine o può venir meno successivamente
alla prestazione.
Abbiamo così i seguenti casi:
a) inesistenza della
fonte del debito, la prestazione non si riferisce ad alcun
titolo;
b)avvenuta estinzione del rapporto obbligatorio e cioè il
debitore paga un debito già pagato;
c) non legittimazione del
destinatario della prestazione, c.d. indebito soggettivo ex
latere accipientis ( il debitore paga un debito ad una terza persona
credendolo autorizzato a riscuoterlo), precisamente il debito esiste ma
il debitore adempie la prestazione nei confronti di chi non è creditore
(creditore apparente). Il legittimato apparente è tenuto a restituire la
prestazione al vero creditore secondo le regole della ripetizione
dell'indebito (1189 c.c.);
d) nullità, annullamento e risoluzione del
titolo negoziale. Titolare del diritto di ripetizione è l'adempiente,
colui al quale è imputato il pagamento.
Con riferimento all'onere della
prova che grava sull'attore nel giudizio d'indebito oggettivo,
è intervenuta la Suprema Corte con sent. N. 19902/2015, che ha
affermato... "nel giudizio d'indebito oggettivo l'attore può invocare
sia l'invalidità, sia l'inesistenza di un titolo giustificativo
del pagamento. Nel primo caso, ha l'onere di provare che il titolo del
pagamento sia invalido; nel secondo caso ha solo l'onere di allegare
l'inesistenza di qualsiasi titolo giustificativo
del pagamento. L'indebito soggettivo ex latere solventis ricorre quando
il credito esiste, ma l'adempimento proviene da un soggetto ad esso non
tenuto, in tal caso, chi ha pagato il debito altrui ha diritto
alla ripetizione dell'indebito quando:
- abbia pagato in base ad un
errore scusabile;
- sempre che il creditore non si sia privato in buona
fede del titolo o delle garanzie del credito. Il creditore è, tenuto a
restituire i frutti e gli interessi dal giorno del pagamento se era in
mala fede o dal giorno della domanda se in buona fede.
***
Cassazione civile sez. III - 06/10/2015, n. 19902
......
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel 2003 B.C. convenne
dinanzi al Tribunale di Padova M.M., allegando di essere erede di L.G., e
che quest'ultima aveva pagato sine titulo a M.M. la somma di L.
300.000.000, per mezzo d'un assegno bancario.
Chiedeva pertanto
la condanna del convenuto alla restituzione di tale pagamento indebito,
limitatamente alla propria quota ereditaria (pari al 50%).
2.
M.M. si costituì e negò che il pagamento ricevuto da L.G. fosse sine
titulo. Spiegò che quella somma era dovuta, a titolo di prezzo per la
vendita di arredi, da L. G. alla propria madre, e venne pagata con un
assegno che, per volontà della creditrice, venne tratto dalla debitrice
L. G. all'ordine di M.M..
2. Il Tribunale di Padova con sentenza 6.4.2007 n. 881 rigettò la domanda.
La sentenza venne appellata da B.C..
La Corte d'appello di Venezia con sentenza 30.12.2010 n. 2559 accolse il gravame.
A fondamento della propria decisione la Corte d'appello articolò il seguente ragionamento:
-) l'attore ha allegato che il pagamento a M.M. fu nella sostanza una donazione, nulla per mancanza di forma;
-)
essendo pacifico che mancasse un atto scritto, spettava al
convenuto dimostrare una valida causa solvendi, diversa dalla donazione;
-) il convenuto non aveva assolto quest'onere, sicchè la domanda di indebito andava accolta.
3. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da M.M. sulla base di due motivi.
Ha resistito B.C. con controricorso e proposto ricorso incidentale, illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso.
1.1.
Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell'art.
360 c.p.c., n. 5.
Lamenta che la Corte d'appello avrebbe posto a
base della propria decisione un assunto erroneo: e cioè che l'attore,
nel chiedere la restituzione delle somme pagate da L.G. a M. M., abbia
allegato di ignorare la causa del pagamento.
Su questa erronea
considerazione in fatto, prosegue il ricorrente, la Corte d'appello
avrebbe fondato l'affermazione in ture secondo cui l'attore nel
giudizio di indebito, quando ignora la causa del pagamento, ha il solo
onere di allegare un ipotetico titolo giustificativo e dimostrarne
l'inidoneità (ad esempio, allegare una donazione e provarne la mancanza
di forma scritta).
1.2. Il motivo è infondato, perchè non coglie la reale ratio decidendi.
La
Corte d'appello infatti ha fondato la propria decisione sull'assunto
che gli attori avessero invocato in giudizio "la nullità di un eventuale
atto di liberalità" compiuto dalla propria dante causa nei confronti di
M.M. (pag. 7, 2 capoverso, della sentenza impugnata).
La
proposizione "ignorandone verosimilmente la causa reale" (scilicet,
del pagamento) è una mera incidentale, priva di qualsiasi peso nella
logica della decisione.
Non sussiste, dunque, alcun vizio di
motivazione perchè non vi è stata alcuna falsa percezione dei fatti e
delle deduzioni in diritto prospettate dall'attore.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1.
Col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la
sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai
sensi all'art. 360 c.p.c., n. 3, (si assumono violati gli artt. 2033 e
2697 c.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360
c.p.c., n. 5.
Nella illustrazione del motivo il ricorrente sviluppa la seguente tesi.
Secondo
il precedente di legittimità invocato dalla Corte d'appello
(Cass. 1170/99), se colui che chiede la ripetizione dell'indebito ignora
la causa della dazione, può limitarsi ad indicarne una: se prova che quella
causa non ricorre, spetta al convenuto dimostrare quale fosse la vera
causa del pagamento.
Nel caso di specie, tuttavia, mancava in
primo luogo il presupposto per l'operatività di quella regola: e cioè
che l'attore ignorasse la causa del pagamento. L'erede del solvens
infatti aveva allegato che il pagamento avvenne a titolo di mutuo o di
donazione (sostenendo che fossero invalidi tutti e due i suddetti
contratti).
Inoltre - prosegue il ricorrente - il principio
affermato da Cass. 1170/99 era isolato e non condivisibile, perchè
secondo l'orientamento prevalente di questa Corte chi promuove una
azione di indebito ha l'onere di provare l'assenza di una iuxta causa
obligationis a sostegno dell'avvenuto pagamento.
Di conseguenza -
conclude M.M. - chi chiede la ripetizione dell'indebito deve provare:
(a) l'esistenza d'un titolo giuridico astrattamente idoneo a
giustificare il pagamento; (b) la sua invalidità.
Nel caso di
specie B.C. non aveva fornito tale dimostrazione, e dunque erroneamente
la Corte d'appello aveva accolto la sua domanda.
2.2. Nella parte
in cui lamenta il vizio di motivazione il motivo è
inammissibile, perchè l'intera censura prospetta un tipico error in
iudicando.
2.3. Nella parte in cui prospetta una violazione degli artt. 2033 e 2697 c.c., il motivo è infondato.
L'azione
di indebito è accordata al solvens sia quando abbia effettuato
un pagamento sulla base di un titolo invalido ab initio o divenuto
invalido in seguito; sia quando abbia effettuato un pagamento senza
alcun titolo, come nel caso di indebito oggettivo.
Chi chiede la
ripetizione dell'indebito dunque, a fondamento della propria domanda può
prospettare sia l'invalidità, sia l'inesistenza d'una iuxta
causa obligationis.
Se nella prospettazione attorea si assuma che
il pagamento dell'indebito sia avvenuto in assenza totale di qualsiasi
titolo giustificativo, l'attore non avrà alcun onere di allegare e
provare che un titolo di pagamento formalmente esista, ma sia invalido. In
questo caso il solo onere dell'attore è allegare l'inesistenza
d'un giusto titolo dell'obbligazione. Sarà poi il convenuto, in ossequio
al principio c.d. di vicinanza della prova, a dover dimostrare che il
pagamento era sorretto da una giusta causa.
L'unico limite che
l'attore incontra nella prospettazione dei fatti posti a fondamento
della domanda di indebito è il restare silente sull'esistenza
o sull'inesistenza del titolo del pagamento.
Se, infatti,
l'attore nel giudizio di indebito dichiarasse addirittura di ignorare se
il pagamento di cui chiede la restituzione sia sorretto da un titolo,
la citazione andrebbe dichiarata nulla ex art. 164 c.p.c., a causa della
mancata esposizione della causa petendi.
2.4. Nel caso di
specie, secondo la stessa prospettazione dei ricorrente (cfr.
il ricorso, p. 9), B.C. aveva dedotto con l'atto di citazione che il
pagamento da L.G. a M.M. era avvenuto o a titolo di mutuo, o a titolo di
donazione: nel primo caso andava dunque restituito per obbligo
contrattuale, nel secondo caso per nullità della donazione stipulata in
forma orale.
Tale prospettazione in fatto imponeva al convenuto:
-)
o di provare l'avvenuto adempimento del contratto di mutuo, secondo la
regola di riparto dell'onere probatorio dettata dall'art. 1218 c.c.;
-) o di provare che la donazione era stata stipulata per atto pubblico;
-) ovvero di provare che la somma di 300 milioni di lire gli era stata pagata per altro e valido titolo giustificativo.
Non avendo M.M. fornito nessuna di tali prove, correttamente la Corte d'appello ha accolto la domanda attorea.
2.5. La conclusione appena esposta è stata più volte affermata da questa Corte.
Ha già stabilito Sez. 3, Sentenza n. 1734 del 25/01/2011, Rv.
616329,
che una volta proposta una domanda di ripetizione di indebito,
l'attore ha l'onere di provare l'inesistenza di una giusta causa delle
attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convenuto, ma solo con
riferimento ai rapporti specifici tra essi intercorsi e dedotti in giudizio,
costituendo una prova diabolica esigere dall'attore la dimostrazione
dell'inesistenza di ogni e qualsivoglia causa di dazione tra solvens e
accipiens (nello stesso senso Sez. 3, Sentenza n. 15667 del 15/07/2011,
Rv. 619229).
E già in precedenza, nello stesso ordine di idee,
Sez. L, Sentenza n. 6138 del 20/03/2006, Rv. 588046, aveva stabilito
che, nei giudizio di indebito, è colui il quale ne nega l'esistenza a
dovere provare la sussistenza dei presupposti che rendono giustificato
il pagamento di cui si chiede la restituzione.
2.6. V'è solo da
aggiungere che il precedente di questa Corte costituito da Sez. 3,
Sentenza n. 1170 del 11/02/1999, Rv. 523147, invocato dalla Corte
d'appello, non è affatto in contrasto con gli altri precedenti appena
indicati.
Tale sentenza, infatti, ha solo precisato che l'onere
della prova gravante sull'attore nel giudizio di indebito va assolto in
relazione al thema decidendum, cioè al tipo di vizio che renderebbe il
pagamento sine causa.
Ciò vuoi dire che se l'attore assume che il
pagamento di cui chiede la restituzione venne eseguito in base ad un
titolo nullo, egli deve provare tale nullità.
Quando, invece,
l'attore assuma che il pagamento di cui chiede la restituzione venne
eseguito sine titulo, egli non dovrà far altro che allegare tale
inesistenza del titolo, e sarà onere del convenuto provare, al
contrario, l'esistenza d'una iuxta causa obligationis.
Non è,
dunque, corretta la lettura che il ricorrente da del precedente in
esame (Cass. 1170/99, cit.), ovvero che secondo tale decisione l'attore
nel giudizio di indebito possa dichiarare di "ignorare" il titolo
giustificativo del pagamento.
Il verbo "ignorare" infatti, nella
motivazione di quella sentenza, venne usato per indicare l'ipotesi in
cui l'attore formuli due domande alternative o subordinate, ignorando
quale sia quella fondata: infatti in quel giudizio, proprio come
nel presente, l'attore aveva prospettato in via principale una donazione
nulla per difetto di forma, ed in subordine un pagamento sine causa.
Dunque
Cass. 1170/99 non ha affatto affermato quel che il ricorrente
intende farle dire, e cioè che si possa introdurre un giudizio di
ripetizione di indebito nella veste di attore, senza dichiarare ore rotundo se
li pagamento sia avvenuto sine titulo, ovvero in esecuzione d'un titolo
invalido o venuto meno.
2.7. Il ricorso va dunque rigettato in applicazione del seguente principio di diritto:
Nel
giudizio di indebito oggettivo l'attore può invocare sia l'invalidità,
sia l'inesistenza d'un titolo giustificativo del pagamento. Nel primo
caso, ha l'onere di provare che il titolo del pagamento sia invalido;
nel secondo caso ha il solo onere di allegare (ma non di provare,
essendo impossibile) l'inesistenza di qualsiasi titolo giustificativo
del pagamento, e sarà onere del convenuto dimostrare che il pagamento
era sorretto da una giusta causa.
Nell'uno come nell'altro caso,
tuttavia, deve escludersi che l'attore possa limitarsi a dichiarare di
ignorare se il pagamento abbia o non abbia un titolo
giustificativo, giacchè in tale ipotesi l'atto di citazione sarebbe
nullo per mancanza della causa petendi.
3. Il ricorso incidentale.
3.1.
Con l'unico motivo del ricorso incidentale B.C. lamenta il vizio
della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha
compensato integralmente le spese del doppio grado di giudizio.
3.2. Il motivo è inammissibile.
E'
infatti pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che nel sistema
di regolamento delle spese processuali previgente alla sostituzione
dell'art. 92 c.p.c., comma 2, ad opera della L. 28 dicembre 2005, n.
263, art. 2, (applicabile ai procedimenti iniziati dopo il 1^ marzo
2006, mentre il presente giudizio è iniziato nel 2003), che la scelta di
compensare le spese è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi
di violazione di legge, quale si verificherebbe nell'ipotesi in cui,
contrariamente al divieto stabilito dall'art. 91 c.p.c., le stesse
venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La
valutazione dell'opportunità della compensazione totale o parziale
rientra, invece, nei poteri discrezionali del giudice di merito sia
nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella (ricorrente nella
fattispecie) della sussistenza di giusti motivi, e il giudice
può compensare le spese processuali per giusti motivi senza obbligo di
specificarli, atteso che l'esistenza di ragioni che giustifichino la
compensazione va posta in relazione e deve essere integrata con la
motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali, stante
l'inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia
sulle spese medesime, non trovando perciò applicazione in tema di
compensazione per giusti motivi il principio sancito dall'art. 111
Cost., comma 6, (così, ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 24495 del
17/11/2006, Rv. 595203).
4. Le spese.
La soccombenza reciproca costituisce giusto motivo per la compensazione per metà delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l'art. 380 c.p.c.:
-) rigetta il ricorso;
-)
condanna M.M. alla rifusione in favore di B. C. delle metà delle spese
del presente grado di giudizio, che si liquidano (al netto della
suddetta riduzione) nella somma di Euro 4.500, di cui 800 per spese
vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo
2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 4 giugno 2015.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2015
***
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(Vincenzo Mennea)
LaPrevidenza.it, 21/09/2020