nella causa iscritta al N.R.G. 7831 dell'anno 2017 TRA
Da. Ba. (C.F. --omissis--), con l'avv. BONANNI FEDERICA ATTRICE E Gi. Pa. (C.F. --omissis--), con l'avv. PANICO MARIA LUISA CONVENUTO E ASSICURATRICE MILANESE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con l'avv. ANDROETTO ANNALISA e l'avv. OLIVA DAVIDE TERZA CHIAMATA dalle parti le seguenti CONCLUSIONI Le parti hanno precisato le conclusioni come da note scritte depositate ex art. 83 D.L. n. 18/2020 per l'udienza figurata dell'8 ottobre 2020.
Con atto di citazione ritualmente notificato Da. Ba. ha convenuto in giudizio il dr. Gi. Pa. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, quantificati in complessivi E 32.334,00, a seguito delle cure e terapie odontomastomatologiche prestatele a decorrere dall'ottobre 2007 fino al 2013.
- a seguito dell'accertamento tecnico preventivo instaurato con ricorso depositato il 9.10.2014, la CTU dr.ssa Ta. aveva accertato che le prestazioni poste in essere dal professionista incaricato non erano state svolte a regola d'arte e che per gli interventi di ripristino sarebbe stata necessaria una spesa di E 21.400,00;
- aveva, pertanto, instaurato un successivo procedimento ex art. 702 bis c.p.c. per ottenere, previa dichiarazione di risoluzione del contratto, la restituzione del compenso versato (pari a E 12.500,00) e il pagamento della somma di E 21.400,00 per i costi di ripristino, riservandosi di instaurare un separato giudizio per il risarcimento degli ulteriori danni;
- nel corso del predetto procedimento le parti avevano raggiunto un accordo transattivo in forza del quale il dr. Pa. riconosceva all'attrice la somma di E 21.400,00, impregiudicata la facoltà di Da. Ba. di agire con separato giudizio per ottenere il risarcimento dei danni patiti;
- all'esito delle relazioni medico legali di parte redatte dal dr. Ro. e dal dr. Li. risultava residuare in capo all'attrice un danno biologico permanente nella misura del 4% nonché un danno ' psichico' quantificato nel 5%;
Pertanto, inquadrata la responsabilità del medico curante nell'ambito della responsabilità da inadempimento contrattuale, ha dedotto che l'evento dannoso doveva essere causalmente ricondotto all'attività svolta dal dr. Pa., tenuto al risarcimento integrale del danno.
Il dr. Gi. Pa. si é costituito in giudizio eccependo che all'esito della ctu svolta in sede di ATP non era stato riscontrato alcun danno biologico permanente residuo rispetto alle cure prestate in quanto l'esecuzione degli interventi di ripristino indicati dalla consulente (interamente pagati dal professionista) avrebbe consentito alla paziente di riacquistare la piena funzionalità del cavo orale.
Ha, inoltre, evidenziato che Da. B. non aveva rispettato il piano sanitario proposto, non accettando di utilizzare la ' placca di svincolo notturna' per ridurre le conseguenze del bruxismo da cui era affetta e non consentendogli di ultimare i lavori di rifacimento delle protesi mobili; né aveva effettuato alcuno degli interventi di ripristino indicati dalla ctu, per cui eventuali conseguenze dannose avrebbero dovuto essere ascritte alla condotta della stessa.
Ha chiesto, pertanto, previa autorizzazione alla chiamata in causa della Assicuratrice Milanese s.p.a., presso la quale era assicurato per la responsabilità professionale, il rigetto della domanda e la condanna dell'attrice al pagamento delle spese di lite e di accertamento tecnico preventivo; in subordine, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda, condannare la Assicuratrice Milanese s.p.a. a tenerlo indenne dalle somme da versare in favore dell'attrice.
La Assicuratrice Milanese s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, si é costituita in giudizio associandosi alle deduzioni e alle difese del proprio assicurato in ordine alla invocata responsabilità. Nel merito, in ordine al rapporto assicurativo, ha eccepito l'inoperatività della polizza sotto il profilo temporale in quanto l'inizio della terapia era avvenuto nel 2007 e la polizza era stata stipulata nel 2011, ossia successivamente al momento in cui l'assicurato aveva avuto contezza degli effetti lesivi lamentati dall'attrice. Ha, in ogni caso, eccepito che la copertura aveva ad oggetto esclusivamente la quota di responsabilità diretta riconosciuta in capo all'assicurato e che la polizza operava solo a ' secondo rischio' , avendo il dr. Pa. altra polizza a primo rischio stipulata con Unipolsai s.p.a.
Ha, infine, invocato l'applicabilità delle franchigie e scoperti contrattuali nella misura del 10%.
Ha chiesto, in via principale, rigettare le domande proposte dall'attrice nei confronti del dr. Pa., anche in applicazione del disposto dell'art. 1227 cod. civ.; in subordine, ridurre il danno risarcibile;
con riferimento alla domanda di garanzia, accertare l'inoperatività della polizza; in subordine, disporre un'equa riduzione degli importi eventualmente dovuti a titolo di indennizzo a favore dell'assicurato e condannare la compagnia in manleva al pagamento del solo minore importo risultante di giustizia, nei limiti dell'art. 1910 cod. civ.; con condanna alla rifusione delle spese di lite.
In via generale va rilevato che i fatti storici dedotti in citazione e l'iter terapeutico cui l'attrice é stata sottoposta presso lo studio dentistico del dr. Pa., a decorrere dall'ottobre 2007 fino alla cessazione del rapporto nel 2013, non sono oggetto di contestazione tra le parti e risultano, comunque, provati dalla documentazione versata in atti, oltre che dettagliatamente elencati nella consulenza tecnica d'ufficio già espletata in sede di ATP (RG. 28819/2014). E', altresì, pacifico e documentalmente provato che, concluso il procedimento per ATP, l'attrice abbia depositato un ricorso ex art. 702 bis cod. proc. civ. per ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento e la restituzione del compenso già corrisposto, nonché il risarcimento della somma di E 21.400,00 corrispondente all'importo ritenuto necessario per l'esecuzione degli interventi di ripristino e che, in corso di causa, le parti abbiano definito la lite in via transattiva, con il riconoscimento in favore dell'attrice della somma di E 21.400,00 e la rinuncia da parte di quest'ultima alla restituzione della somma di E 12.500,00, già versata a titolo di corrispettivo; l'importo é stato, poi, effettivamente versato dal convenuto con assegno del 22.3.2016 (doc. n. 16).
Il presente giudizio é stato, difatti, instaurato principalmente per il risarcimento dei danni non patrimoniali che l'attrice assume di aver subito all'esito delle cure prestate dal convenuto, consistenti in un danno biologico permanente (anche di natura psichica) non emendabile.
é stata, poi, avanzata anche una richiesta risarcitoria per il danno patrimoniale consistente nelle spese sostenute per le relazioni medico legali svolte prima dell'instaurazione del giudizio e per l'assistenza prestata dal CTP in sede di ATP, di cui nella scrittura transattiva citata non vi é traccia.
Quanto all'inquadramento giuridico dell'invocata responsabilità del medico convenuto nell'ambito della responsabilità contrattuale, pare opportuno evidenziare che, posto che il fatto dannoso allegato si é verificato tra il 2007 e il 2013 e il presente giudizio é stato instaurato il 20.3.2017, la normativa di riferimento é quella introdotta dal D.L. n. 158/2012, convertito nella Legge n. 189/2012 (cd. decreto Balduzzi), limitatamente agli aspetti di natura processuale e a taluni aspetti di natura sostanziale (disciplina attualmente superata dalla cd. legge Gelli - Bianco).
La responsabilità del professionista operante va, pertanto, pacificamente qualificata di natura contrattuale e va inquadrata nell'ambito della disciplina dettata dagli artt. 1218 e 1176 cod. civ.
In applicazione dei principi generali sul riparto dell'onere probatorio in materia contrattuale, grava sul paziente danneggiato la prova della fonte negoziale e dell'attività professionale svolta, del fatto dannoso (insorgenza o aggravamento della patologia) e del nesso causale, nonché l'allegazione dell'inadempimento quale comportamento astrattamente e causalmente idoneo alla produzione del danno, mentre compete al debitore la dimostrazione dell'esatto adempimento o della insussistenza del nesso di causalità tra la condotta tenuta e l'evento di danno (cfr. Cass. Sez. Un. 13533/2001).
Più precisamente, superata la tradizionale dicotomia tra obbligazione di mezzi e di risultato, in applicazione dei criteri generali di cui agli artt. 1218 e 1176 cod. civ., é onere del paziente provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto della prestazione sanitaria (e quindi il nesso causale con essa), restando a carico del sanitario la prova che la citata prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile con l'uso dell'ordinaria diligenza da lui esigibile in base alle conoscenze tecnico - scientifiche del momento. (cfr. Cass. n. 28989/2019; n. 21177/ 2015; n. 17413/2012; n. 12274/2011; n. 4210/04).
Il nesso causale tra la prestazione professionale eseguita e il danno lamentato, in quanto fatto costitutivo della domanda risarcitoria, deve essere provato dalla parte attrice.
Sul punto é illuminante la pronuncia della S.C. n. 18392 del 2017 (i cui principi sono stati ribaditi con la già citata pronuncia n. 28811/2019 e ancora con la pronuncia n. 29501/2019) secondo cui nei giudizi risarcitori da responsabilità medica si delinea "un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all'evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)" (cfr. Cass. n. 18392/2017; n. 26700/2018).
Parte attrice ha adempiuto al proprio onere probatorio sia provando la fonte negoziale delle obbligazioni assunte dal medico operante, essendo pacifica l'esecuzione delle prestazioni oggetto di censura, sia allegando l'inesatto adempimento delle obbligazioni assunte, come già accertato dalla CTU dr.ssa Cl. Ta. nominata nell'ambito del procedimento per ATP R.G. n. 28819/2014, sia allegando e provando il nesso causale tra il dedotto inadempimento e il danno subito, nei limiti che seguono.
All'esito della consulenza tecnica redatta in sede di ATP era, difatti, emerso che una serie di prestazioni poste in essere dal dr. Pa. nell'ambito del ciclo di prestazioni odontoprotesiche realizzate tra il 2007 e il 2013 non erano state effettuate a regola d'arte.
In particolare, la CTU aveva accertato che: ' il trattamento endodontico di 43, incongruo in quanto non all'apice, é stato causa di una lesione. 2 I manufatti da 13 a 24, da 33 a 36 sono incongrui in quanto i monconi preparati per sostenerli non sono secondo le regole dell'arte, iperconici e di piccole dimensioni, hanno scarsa ritenzione, questo fatto ha determinato la decementazione, la successiva infiltrazione con decalcificazione/carie dei monconi e delle ricostruzioni. Secondaria a tali meccanismi e allo scarso spazio interpapillare si osserva gengivite marginale periprotesica. 3. Lo scheletrato superiore esibito fratturato e inutilizzabile non é ritenuto dagli attacchi, presenta morfologia occlusale appiattita...4. Lo scheletrato inferiore non é ritenuto dagli attacchi e presenta morfologia occlusale appiattita' , così concludendo: ' il Dott. Pa. ha somministrato alla sig.ra Ba. le seguenti terapie: - estrazione dei residui radicolari di 15-14-26-34-44-48 e dell'elemento 25; trattamenti endondici di 13-11-21-22-23-33-43 e 45; protesi mista fissa in metalloceramica da 13 a 24 e associata a rimovibile, scheletrito superiore con attacchi, protesi mista fissa in metalloceramica 33-35 e 43-45 e associata a rimovibile, scheletrito inferiore con attacchi. Le seguenti prestazioni non sono a regola d'arte, imperizia dell'operatore: - il trattamento endonico di 43; i manufatti metallo ceramici da 13 a 24, da 43 a 35; lo scheletrito superiore; lo scheletrito inferiore; - il manufatto protesico 33-35 comprime le papille gengivali, non sono valutabili i monconi su cui é inserito, può essere considerato ai limiti della regola d'arte, ma dovrà comunque essere sostituito per ottimizzare gli interventi necessari per il ripristino. Si é verificata inadempienza contrattuale, si é verificato danno ingiusto in nesso di causalità con l'operato del sanitario. Le patologia riscontrate sono gengivite e lesione periapicale in 43, in nesso di causalità con l'operato del sanitario' .
La Ctu aveva, inoltre, precisato che dopo le terapie chirurgiche, edodontiche, ricostruttive e protesiche necessarie per il ripristino della cavità orale al fine di ottenere una situazione anatomo - funzionale sovrapponibile a quella iniziale, non sarebbe ragionevolmente residuato alcun danno biologico permanente; tale valutazione risale alla data del deposito della relazione, ossia il 1° aprile 2015 (doc. n.3).
Parte attrice ha, tuttavia, dedotto nel presente giudizio un aggravamento della situazione orale, come specificato nella relazione medico legale di parte redatta dal dr. Ro., nonché un danno permanente di natura psichica (doc. n. 8 e 9).
Ciò ha reso necessario procedere a un'integrazione della consulenza già espletata con la nomina di un collegio peritale formato dalla dr.ssa Ta. (specialista in odontostomatologia) e dal dr. Ma. Mi. (specialista in medicina legale e in psichiatria).
Il collegio peritale, dopo aver proceduto ad analitico esame della documentazione medica prodotta, estratti i dati salienti dalla relazione di ctu già depositata dalla dr.ssa Ta. l'1.4.2015, eseguiti colloqui psichiatrici e visita della paziente, ha confermato le conclusioni già rese con la citata relazione, precisando però che la ' situazione anatomoclinica della perizianda é successivamente evoluta in modo peggiorativo nell'arco di circa 21 mesi dalla visita della CTU, come descritto e fotografato dal dr. Ro. nella sua relazione del 29.9.16' .
In particolare, ' l'evoluzione della situazione anatomoclinica provocata dalle prestazioni incongrue' rese dal dr. Pa., ' ha portato all'estrazione motivata degli elementi 18-13-11-21- 22-23-24-32-31-41-42-43-45' , e ' per un ripristino ottimale protesico dovranno essere stratti anche il dente 17 e i denti 33-35-38.' . Il collegio ha, quindi, riconosciuto la sussistenza di un danno biologico, quantificato nella misura del 13% circa, in nesso di causalità con l'operato del sanitario, per la perdita di 17 denti, di cui alcuni già compromessi, parzialmente emendabile con protesi Toronto su 6 impianti ALL-on-six superiore e inferiore e modificazione delle protesi attuali superiore e inferiore con aggiunta di denti e taglio dei ganci; mentre ha ritenuto la sussistenza di un danno biologico residuo permanente inemendabile all'esito delle indicate cure nella misura del 3%.
A fronte delle osservazioni del CT di parte convenuta, il collegio ha ulteriormente precisato che la perizianda non aveva eseguito le cure descritte e ritenute indicate nella relazione di ATP e che ' la situazione é andata peggiorando in quanto non é stata messa in opera una qualsivoglia terapia di protezione/salvataggio dei monconi e ripristino di una masticazione corretta' ; i ' motivi tecnici' del riscontrato peggioramento sono stati individuati nella ' esposizione dei monconi agli insulti della saliva e del trauma meccanico della masticazione in una bocca in cui era stata riconosciuta malpractice. Non é però possibile affermare...che la situazione psichica abbia portato la perizianda ' ad una molto probabile assenza di cure personali.. La CTU ha invece osservato una igiene orale buona ...non ...occasionale.' .
Il collegio peritale, convocato a chiarimenti all'udienza del 12.11.2019 sulla differente valutazione in ordine alla sussistenza di un danno permanente rispetto a quanto riscontrato in sede di ATP, ha precisato (in persona del dr. Milano): ' riteniamo che l'aggravamento della situazione clinica della paziente sia stato determinato da un lato dalla ridotta capacità immunitaria dell'organismo deducibile dalle patologie neoplastiche e dall'altro dalla mancata esecuzione degli interventi correttivi già proposti in sede di ATP che ha lasciato la dentatura scoperta e priva della protezione necessaria. Non é possibile quantificare con precisione l'apporto causale dei due fattori anzidetti rispetto all'aggravamento riscontrato, ritengo, pertanto che l'apporto causale debba ritenersi paritario. Se la paziente si fosse curata molto precocemente avrebbe ridotto il rischio, nonostante le difese immunitarie ridotte. Preciso però che tenuto conto della situazione della paziente al marzo 2016 (data in cui avrebbe ricevuto il risarcimento per effetto della transazione) la situazione clinica era già più compromessa rispetto all'epoca di definizione dell'ATP.; va però altresì considerato che nel corso del 2015 la paziente era stata ricoverata per etilismo cronico e disturbo di personalità NAS, cosa che le avrebbe comunque impedito di sottoporsi alle cure necessarie.
Tenuto anche conto che nel 2016 la paziente é stata anche operata per il tumore al seno, considerando complessivamente tutto l'iter clinico subito, confermo, pur nella difficoltà di procedere a una precisa quantificazione percentuale, che l'apporto causale dovuto all'inerzia della paziente nel sottoporsi alle cure necessarie dal 2016 in avanti sia stato pari al 50%.'
La dr.ssa Ta., nelle note depositata in pari data, in sostanziale accordo con quanto dichiarato dal dr. Mi., ha precisato che la situazione orale riscontrata alla visita del 2019 era radicalmente diversa da quella evidenziata in sede di ATP in quanto erano state eseguite estrazioni di 13 denti e la valutazione del danno biologico permanente e temporaneo, così come quella del danno biologico residuo, é stata ovviamente diversa, essendo diverse le condizioni valutate. Con specifico riguardo all'eventuale apporto causale della condotta tenuta dall'attrice nella determinazione del danno biologico residuato per non essersi sottoposta tempestivamente alle cure già indicate in sede di ATP, ha specificato: ' si può ragionevolmente asserire che se la perizianda si fosse sottoposta alle cure indicate nella atp, pur con una percentuale di insuccesso aggravata dalle patologie che affliggono la perizianda..., che é presente in qualsiasi riabilitazione complessa come questa, a tutt'oggi la protesi sarebbe ancora nella cavità orale. La situazione fotografata dal Ctp dr. Ro. nel 2016 é indicativa della situazione sempre più compromessa. ...La paziente é un soggetto con patologie diverse, psichiatriche e tumorali, significative di una situazione immunologicamente compromessa, e quindi con minore resistenza alle noxae aggressive batteriche, che possono aver influito, in modo non determinabile, l'evoluzione della situazione anatomoclinica.
Si può ragionevolmente supporre che l'esposizione dei residui monconi e delle cure eseguite e non sigillate alla saliva per il mancato ripristino protesico abbia provocato un danno...Le cause del deterioramento della situazione anatomoclinica riconducibile a quanto osservato in ctu sono multifattoriali, non determinabili con certezza in percentuale' .
Non é stato, invece, riscontrato alcun danno biologico di natura psichica correlabile agli eventi per cui é causa.
In sintesi, il danno biologico permanente riconosciuto dal collegio peritale ha la propria origine causale nelle prestazioni eseguite dal dr. Pa. tra il 2007 e il 2013, risultate non conformi alle regole dell'arte nonché in una serie di altri fattori causali riconducibili alle patologie pregresse o sopravvenute dell'attrice, che hanno compromesso la sua situazione immunologica, e alla condotta inerte dalla medesima tenuta nel corso degli anni che non sottoponendosi alle terapie indicate in sede di ATP ha contribuito all'aggravamento del danno.
Occorre, pertanto, a questo punto richiamare il principio di diritto più volte affermato dalla Suprema Corte secondo cui in caso di concorso tra causalità umana e causalità naturale, si esclude che si possa dar luogo ad una riduzione proporzionale di responsabilità, e quindi, il responsabile dell'illecito risponde per l'intero poiché una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli ("In materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica sulla quale incide il comportamento imputabile dell'uomo siano sufficienti a determinare l'evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l'autore dell'azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell'evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; ove, invece, quelle condizioni non possano dare luogo, senza l'apporto umano, all'evento di danno, l'autore del comportamento imputabile é responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, poiché una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo "concausale" di un fattore naturale (quale che esso sia), non é ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio "semplificato", tale da condurre "ipso facto" ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del "quantum" risarcitorio' ).
(cfr. Cass 13864/2020; n. 20836/2018)
Nella fattispecie in esame, pertanto, mentre le patologie preesistenti e sopravvenute della paziente non possono assumere rilievo ai fini di escludere la responsabilità del medico convenuto rispetto all'evento dannoso lamentato - integrando una concausa naturale che si innesta nell'ambito di un processo causale innescato da una condotta umana imputabile al professionista convenuto - il comportamento inerte dell'attrice incide ex art. 1227 cod. civ. sulla misura del risarcimento, avendo concorso all'aggravamento del danno nella misura del 50%.
Da. Ba., difatti, pur avendo ricevuto nel marzo 2016 le somme necessarie per sottoporsi alle cure e agli interventi indicati in sede di ATP non si é mai sottoposta agli stessi, pur essendo decorsi ormai diversi anni, tenendo così una condotta che anziché limitare le conseguenze dannose derivanti dall'inadempimento del convenuto le ha addirittura aggravate.
L'apporto causale della condotta tenuta dall'attrice, seppur di difficile quantificazione, é stato indicato dai CTU nella misura del 50%; ne consegue che l'entità del risarcimento relativo ai postumi permanenti riportati dall'attrice dovrà essere ridotto nella stessa misura percentuale.
In ordine alla quantificazione del danno, il collegio peritale ha riconosciuto la sussistenza di un danno biologico permanente pari al 3% e un danno biologico temporaneo per complessivi 80 giorni di cui 20 gg. al 50% e 60 gg. al 25%.
Posta l'integrale adesione alle esposte valutazioni del collegio in ordine alla valutazione del danno, ai fini della quantificazione devono ritenersi applicabili i criteri del c.d. decreto Balduzzi (Dl. n. 158/2012, come coordinato con la Legge di conversione n. 189 dell'8.11.2012) che all'art. 3 comma 3 recita ' il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente della professione sanitaria é risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209...' , richiamando, dunque, per le lesioni di entità inferiore al 9%, le Tabelle sulle Micropermanenti. Detta disposizione é stata, poi, superata ma sostanzialmente trasfusa nell'art. 7 comma 4 della Legge n. 24/2017 (cd. Legge Gelli) che, analogamente, prevede che il danno conseguente all'attività dell'esercente la professione sanitaria sia risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private.
Sul punto é sufficiente richiamare il principio di diritto recentemente affermato dalla S.C. secondo cui ' Non intervenendo a modificare con efficacia retroattiva gli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile (negando od impedendo il risarcimento di conseguenze - dannose già realizzatisi), il D.L. 13 settembre 2012, n. 138, art. 3, comma 3, convertito, con modificazioni, nella L. 8 novembre 2012, n. 189 (cd. legge Balduzzi che dispone l'applicazione, nelle controversie concernenti la responsabilità - contrattuale od extracontrattuale - per esercizio della professione sanitaria, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale secondo le Tabelle elaborate in base agli artt. 138 e 139 del CAD - criteri di liquidazione del danno non patrimoniale, confermati anche dalla successiva L. 8 marzo 2017, n. 24 cd. Gelli-Bianco -), trova diretta applicazione in tutti i casi in cui il Giudice sia chiamato a fare applicazione, in pendenza del giudizio, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, con il solo limite della formazione del giudicato interno sul "quantum". Non é ostativa, infatti, la circostanza che la condotta illecita sia stata commessa, ed il danno si sia prodotto, anteriormente alla entrata in vigore della legge, o che l'azione risarcitoria sia stata promossa prima dell'entrata in vigore del predetto decreto legge; né può configurarsi una ingiustificata disparità di trattamento tra i giudizi ormai conclusi ed i giudizi pendenti, atteso che proprio e soltanto la definizione del giudizio - e la formazione del giudicato - preclude una modifica retroattiva della regola giudiziale a tutela della autonomia della funzione giudiziaria e del riparto delle attribuzioni al potere legislativo e al potere giudiziario. Neppure può ravvisarsi una lesione del legittimo affidamento in ordine alla determinazione del valore monetario del danno non patrimoniale, in quanto il potere discrezionale di liquidazione equitativa del danno, riservato al Giudice di merito, si colloca su un piano distinto e comunque al di fuori della fattispecie legale della responsabilità civile: la norma sopravvenuta non ha, infatti, modificato gli effetti giuridici che la legge preesistente ricollega alla condotta illecita, né ha inciso sulla esistenza e sulla conformazione del diritto al risarcimento del danno insorto a seguito del perfezionamento della fattispecie' (cfr. Cass. n. 28990/2019).
Pertanto, in base alle tabelle di cui all'art. 139 del Dlgs. n. 209/2005, aggiornate al DM 12 luglio 2019, il danno biologico permanente, considerata l'età della danneggiata al momento del verificarsi del fatto dannoso (31 anni) e la percentuale di invalidità del 3%, va liquidato in E 2.623,58; il danno da invalidità temporanea, considerato l'importo di E 47,90 al giorno, é pari a complessivi E 1.187,25 (E 47,90 x 20 gg x 50% + E 47,90 X 60 gg x 25%), somma già rivalutata all'attualità.
Quanto alla richiesta di riconoscimento di un'ulteriore somma a titolo di personalizzazione va preliminarmente osservato che, sulla scorta della ormai nota sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 26972/2008, il danno risarcibile in conseguenza di un fatto illecito, sia esso di natura contrattuale o extracontrattuale, si distingue in danno patrimoniale e danno non patrimoniale e il secondo va riconosciuto solo nei casi determinati dalla legge, o ' in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionalmente inviolabili, nei casi di danno prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione' .
Il cd. danno biologico, che ha trovato una definizione suscettibile di applicazione generalizzata nella normativa dettata dagli artt. 138 e 139 del Dlgs. n. 209 del 2005, quale ' lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico - relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla capacità di reddito' , non é altro che una formula sintetica descrittiva del danno alla salute e va risarcito in quanto danno non patrimoniale tutelato dall'art. 32 della Costituzione cui rinvia l'art. 2059 cod. civ.
La riconduzione della risarcibilità del danno biologico nell'ambito della previsione dell'art. 2059 cod. civ. e non più in base al collegamento tra l'art. 2043 cod. civ. e 32 Cost. si impone anche per il cd. danno morale, la cui definizione di turbamento transeunte cagionato da reato deve ritenersi del tutto superata.
La formula ' danno morale' , precisa la Corte, ' non individua un'autonoma categoria di danno ma descrive, tra i possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata; sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini dell'esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento' .
Le pronunce successive della Suprema Corte hanno, poi, precisato che ' Il danno biologico (cioé la lesione della salute), quello morale (cioé la sofferenza interiore) e quello dinamico- relazionale (altrimenti definibile "esistenziale", e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti' (cfr. Cass. n. 20292/2012) e che ' La liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva e cioé tale da coprire l'intero pregiudizio a prescindere dai "nomina iuris" dei vari tipi di danno, i quali non possono essere invocati singolarmente per un aumento della anzidetta liquidazione. Tuttavia, sebbene il danno non patrimoniale costituisca una categoria unitaria, le tradizionali sottocategorie del "danno biologico" e del "danno morale" continuano a svolgere una funzione, per quanto solo descrittiva, del contenuto pregiudizievole preso in esame dal giudice, al fine di parametrare la liquidazione del danno risarcibile.' (cfr. Cass. n. 687/2014).
In sostanza, sebbene la liquidazione del danno debba essere unitaria al fine di evitare ingiustificate e illegittime duplicazioni risarcitorie, ciò non esclude che vadano considerate come parametri per la quantificazione tutte le conseguenze negative del pregiudizio subito, affinché il ristoro sia integrale ed effettivo, inclusa l'eventuale sofferenza soggettiva subita dal danneggiato, ove adeguatamente allegata e provata, anche in via presuntiva.
L'astratta configurabilità di un danno ulteriore, rispetto a quello da intendersi incluso nella sopra citata definizione di danno biologico, anche nel caso di lesioni micropermanenti, é stata affermata dalla S.C che, con la pronuncia n. 17209/2015 ha riconosciuto che, in linea di principio, neanche con riguardo alle lesioni di lieve entità si può escludere il cd. danno morale dal novero delle lesioni meritevoli di tutela risarcitoria, purché si tenga conto della lesione in concreto subita dal danneggiato e si proceda a un accertamento separato e ulteriore del danno lamentato (cfr. Cass. n. 29191/2008, ivi richiamata). Grava, ovviamente, sul danneggiato allegare e dimostrare tutte le circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza/turbamento, anche attraverso lo strumento delle presunzioni, con esclusione di ogni meccanismo di automaticità di riconoscimento del danno.
Più di recente, la S.C. ha ribadito che ' costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico - inteso, secondo la stessa definizione legislativa (artt. 138 e 139 c.a.p.), come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali - e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali "categorie" o "voci" di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (art. 32 Cost.), mentre una differente e autonoma valutazione andrà compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell'art. 138 c.a.p., lett. e)...(Cass., 31/01/2019, n. 2788, Cass., 11/11/2019, n. 28989); e che ' la liquidazione finalisticamente unitaria di tale danno (non diversamente da quella prevista per il pregiudizio patrimoniale, nella sua duplice e distinta accezione di danno emergente e di lucro cessante) avrà pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito tanto sotto l'aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell'alterazione o modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (Cass., 20/04/2016, n. 7766, Cass., 17/01/2018, n. 901, Cass., 27/03/2018, n. 7513); naturalmente, al pari delle personalizzazioni del danno biologico rispetto allo "standard" del punto d'invalidità, giustificabili in relazione a irripetibili singolarità dell'esperienza di vita individuale (Cass., n. 2788 del 2019, cit.), il danno da sofferenza morale dovrà essere allegato e provato specificatamente anche a mezzo di presunzioni ma senza che queste, eludendo gli oneri assertivi e probatori, si trasducano in automatismi che finiscano per determinare (anche) un'erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella legale' (cfr. Cass. n. 7753/2020).
Con specifico riguardo alle lesioni micropermanenti la S.C. ha di recente ribadito che ' all'interno del micro-sistema delle micro-permanenti, resta ferma (...) la distinzione concettuale tra sofferenza interiore e incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 9 giugno 2015, n. 11851, Rv. 635701- 01),... "in presenza d'un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico- legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)", di talché, ove "sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 27 marzo 2018, n. 7513, Rv. 648303-01). Orbene, siffatta "separata valutazione e liquidazione", nel caso del (sottosistema) delineato dall'art. 139, comma 3, cod. assicurazioni é affidato ad un aumento fino al 20% - disposto con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato - di quanto liquidato a titolo di danno biologico.' (cfr. Cass. 10816/2019)
Tanto premesso, nella fattispecie in esame non sussistono i presupposti per il riconoscimento di un aumento dell'importo già liquidato a titolo di cd. personalizzazione in quanto in atto di citazione l'attrice ha posto a fondamento della domanda di riconoscimento di tale ulteriore componente del danno non patrimoniale ' un peggioramento delle sue condizioni di cita anche da un punto di vista psichico' , depositando a riguardo una relazione medico legale redatta dal dr. Li..
Il ctu nominato, tuttavia, rispetto all'allegato ' disagio psichico' ha rilevato la totale assenza (ad eccezione della citata relazione) di elementi documentali e clinici per inquadrare tale riferito disagio psichico in una patologia psichica strutturata, precisando che gli unici elementi di qualche significato clinico, oltre a una sfumata deflessione del tono dell'umore, sono l'ansia, la disforia e l'irritabilità, elementi abitualmente presenti nei soggetti con Disturbo di Personalità, ma che nell'arco di tempo che va dall'inizio delle cure odontoiatriche alla data della relazione del dr. Li. si sono verificati eventi decisamente più significativi come il tentativo anticonservativo dimostrativo del 2012 e i due ricoveri, entrambi per etilismo cronico, che non possono essere correlati ai fatti per cui é causa. Il ctu ha, dunque, ritenuto che non vi siano elementi che depongano per una patologia psichiatrica correlabile agli eventi per cui é causa.
Ne consegue che il ' peggioramento delle condizioni di vita anche da un punto di vista psichico' - unica circostanza allegata da parte attrice in atto di citazione per il riconoscimento di un maggior danno a titolo di personalizzazione - non é correlabile sotto il profilo causale con le prestazioni rese dal convenuto.
Il danno non patrimoniale deve essere, pertanto, liquidato nella somma complessiva di E 2.499,04, di cui E 1.311,79 per il danno di natura permanente (già applicata la decurtazione del 50% per il concorso di colpa dell'attrice nella determinazione del danno) e di E 1.187,25 per il danno di natura temporanea (rispetto al quale, ovviamente, non é ravvisabile alcun concorso colposo dell'attrice).
Detta somma, come si evince dalle premesse su esposte, é omnicomprensiva del danno non patrimoniale subito dall'attrice e comprende sia gli aspetti anatomo - funzionali che quelli relativi alla vita di relazione e alle attività quotidianamente svolte dal soggetto, nonché la sofferenza legata al trauma riportato.
Poiché la liquidazione del danno non patrimoniale é stata effettuata sulla base delle tabelle attualmente vigenti (cfr. Cass. n. 7272/2012; n. 11152/2015), il totale riconosciuto a titolo di danno non patrimoniale non deve essere ulteriormente incrementato della rivalutazione, ma del solo lucro cessante per compensare la mancata disponibilità della somma alla data del sinistro, liquidato in via equitativa attraverso l'attribuzione degli interessi legali calcolati (secondo i principi espressi dalla nota sentenza n. 1712 del 17.2.1995 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione), sul capitale devalutato alla data del sinistro e rivalutato in base agli indici Istat anno per anno dalla data dell'evento dannoso (8.10.2017, epoca di inizio del ciclo di terapie) alla data della presente sentenza, per l'importo finale di 2.898,22, cui vanno aggiunti gli interessi legali dalla data della sentenza al saldo.
Vanno, altresì, rimborsate all'attrice le spese sostenute per la relazione medico legale redatta dal dr. Ro. e prodromica all'instaurazione del giudizio di ATP nr. 28819/2014 e per l'assistenza quale CTP ivi prestata, per un totale di E 2.660,00 (doc. n. 10, 11, 13). Si osserva a riguardo che le spese del procedimento per ATP non sono state oggetto di transazione e si sono rese necessarie per l'accertamento della responsabilità professionale del convenuto. Sono, invece, escluse le spese per la relazione redatta dal dr. Li. (doc. n. 12) non essendo stato riconosciuto alcun danno di natura psichica.
In definitiva, il dr. Gi. Pa. va condannato al pagamento in favore di Da. Ba. della somma di 2.898,22, oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale e della somma di E 2.660,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi dal pagamento delle singole fatture al saldo.
Quanto alla domanda di manleva proposta dal dr. Pa. nei confronti della Assicuratrice Milanese s.p.a. va, preliminarmente, respinta l'eccezione di inoperatività della polizza ai sensi dell'art. 17 delle ' Norme che regolano la garanzia responsabilità civile' (doc. n. 3).
La compagnia assicurativa sostiene a riguardo che poiché la polizza é stata stipulata il 30.9.2011 ma l'inizio della terapia prestata all'attrice é avvenuto nel 2007 e già prima della stipula della polizza il professionista assicurato aveva avuto contezza degli effetti lesivi lamentati dalla paziente, la copertura non opererebbe, anche in base al disposto dell'art. 1892 cod. civ.
Va premesso che l'art. 17 recita: ' L'assicurazione vale per le richieste di risarcimento pervenute alla Società dall'assicurato per la prima volta durante il periodo di validità del contratto, qualunque sia l'epoca in cui sia stato commesso il fatto che ha dato origine alla richiesta di risarcimento. Tuttavia, per i fatti e/o comportamenti anteriori alla stipula della polizza, l'Assicurato non abbia ricevuto alla data della stipula richiesta risarcitoria alcuna e se l'Assicurato non abbia avuto percezione, notizia o conoscenza dell'esistenza dei presupposti di detta responsabilità' .
Nella fattispecie in esame, per quanto emerge dalla documentazione in atti e dalla ricostruzione dei fatti risultante dagli atti difensivi delle parti, le prime richieste risarcitorie avanzate da Da. Ba. nei confronti del dr. Pa. risalgono al 2014 (19.9.2014, come desumibile dall'atto di citazione di chiamata di terzo sub doc. n. 1) e il procedimento per ATP é stato instaurato con successivo ricorso del 28.8.2014, né dalla stessa narrazione di parte ricorrente di cui al ricorso emerge che vi siano state contestazioni in merito alla correttezza dell'operato del professionista prima del 2011.
In particolare, sebbene la Ba. abbia lamentato che nel corso delle cure si verificarono delle problematiche che richiesero successive sedute e interventi non risulta che, almeno fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel 2013, siano state mosse contestazioni tali da far ritenere al professionista l'intenzione della paziente di promuovere richieste risarcitorie o che siano stati evidenziati in corso di rapporto i presupposti per la sussistenza di una responsabilità professionale del sanitario incaricato.
La persistenza del rapporto tra la paziente e il medico dal 2007 fino al 2013 fa, al contrario, presumere la permanenza del rapporto di fiducia medico - paziente, interrottosi poi nel 2013 e, dunque, dopo oltre due anni dalla stipula della polizza.
Non vi sono, pertanto, elementi per ritenere che già nel 2011 il dr. Pa., che non aveva ancora avuto alcuna richiesta risarcitoria né alcuna contestazione sulla correttezza del proprio operato, potesse avere anche solo la ' percezione' di una sua responsabilità professionale rispetto alle cure prestate in favore dell'attrice.
Parte convenuta non ha, dunque, assolto al proprio onere probatorio non avendo dimostrato la sussistenza delle condizioni di inoperatività della polizza.
Le deduzioni relative alla inoperatività della polizza per il caso di assenza di consenso informato e per la restituzione dei compensi percepiti non sono esaminate in quanto totalmente inconferenti rispetto all'oggetto del presente giudizio atteso che l'attrice non ha lamentato alcun danno per violazione del diritto al consenso informato mentre ogni rapporto relativo ai compensi versati é stato già definito con la transazione stipulata nel 2016 a definizione del giudizio instaurato ex art. 702 bis c.p.c.
Quanto, infine, all'operatività della polizza a secondo rischio si osserva quanto segue.
L'art. 17 prevede che ' limitatamente ai danni che traggono origine da azioni od omissioni posti in essere poste in essere prima della stipulazione del contratto per i quali sia operante la garanzia postuma in una polizza R.C. professionale stipulata precedentemente con altra compagnia, la presente assicurazione avrà efficacia a secondo rischio rispetto alle somme garantite dall'altra polizza, mentre risponderà a primo rischio per le garanzie non prestate dall'altra polizza' .
L'art. 2 delle ' Norme che regolano l'assicurazione in generale' prevede: ' In caso di esistenza di altre polizze per il medesimo rischio ...la presente assicurazione opererà esclusivamente a secondo rischio rispetto alle medesime per l'importo di danno eccedente il massimale dalle stesse previsto' :
Sulla base delle citate clausole si desume che la copertura assicurativa opera ' a secondo rischio' e cioè solo oltre il massimale previsto da altra polizza stipulata dall'assicurato per il medesimo rischio ove detta polizza sia operante e le azioni od omissioni fonte dell'evento dannoso siano state poste in essere prima della stipulazione del contratto.
Nella fattispecie in esame, non essendo stata prodotta la polizza stipulata dal dr. Pa. con la Unipolsai s.p.a. prima di quella in oggetto non vi sono elementi per affermare che la stessa fosse operante per i fatti di causa in esame. Non é possibile, difatti, accertare le condizioni di operatività della polizza stipulata dal dr. Pa. con la Unipolsai s.p.a. e operante fino al 2011 e, in particolare, i limiti di operatività temporale per le richieste risarcitorie avanzate successivamente alla scadenza della stessa per fatti verificatisi in costanza di rapporto, ove, peraltro, sia stata stipulata una polizza successiva con altra compagnia. Non vi sono neanche elementi per stabilire se il rischio assicurato fosse il medesimo e se, pertanto, si verta effettivamente in un'ipotesi di polizza a secondo rischio.
In ogni caso, deve essere ulteriormente evidenziato come le prestazioni professionali poste in essere dal dr. Pa. si siano protratte nel lungo arco temporale che va dal 2007 al 2013 (come risulta dal diario clinico) per cui alcune condotte colpose che hanno determinato il danno lamentato dall'attrice ben possono essere state realizzate in epoca successiva alla scadenza della prima polizza e nel periodo di vigenza temporale della polizza stipulata con la Assicuratrice Milanese s.p.a..
In sostanza, dunque, da un lato non vi é prova che per quelle azioni od omissioni poste in essere dal dr. Pa. nel periodo di vigenza della polizza stipulata con la Unipolsai s.p.a. quest'ultima prevedesse la ' garanzia postuma' , come richiesto dall'art. 17 della polizza azionata, né che i danni subiti dall'attrice siano dipesi unicamente da prestazioni rese prima del 2011, ossia sotto la vigenza della precedente polizza.
Non sono stati, dunque, provati a cura della terza chiamata i presupposti di inoperatività della polizza per essere i fatti imputati all'assicurato coperti da altra polizza a primo rischio.
Ne consegue che la Assicuratrice Milanese s.p.a. va condannata a manlevare e tenere indenne il dr. Gi. Pa. di quanto quest'ultimo sia tenuto a corrispondere di Da. Ba. in forza della presente pronuncia, limitatamente all'importo di E 2.608,40 per il danno non patrimoniale e di E 2.393,40 per il danno patrimoniale (detratto il 10% di scoperto previsto dall'art. 16), nonché alle spese di lite e di ctu, in forza del disposto dell'art. 1917 cod. civ.
Le spese di lite tra Da. Ba. e Gi. Pa. seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo sul valore del decisum (Cass. n. 19014/2007) e in base ai parametri medi di cui al D. M. 10 marzo 2014 n. 55 per le fasi di studio, introduttiva e decisoria e sulla base dei parametri minimi per la fase istruttoria (esauritasi con l'espletamento di un'integrazione della ctu); sono, pertanto, liquidate a favore dell'Erario vista l'ammissione di Da. Ba. al gratuito patrocinio.
Le spese di CTU sono definitivamente poste a carico di parte convenuta.
Le spese di lite tra Gi. Pa. e Assicuratrice Milanese s.p.a. seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo sul valore del decisum (Cass. n. 19014/2007), in base ai medesimi criteri già indicati.
P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Da. Ba. contro Gi. Pa., con la chiamata in causa della Assicuratrice Milanese s.p.a., ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:
1) Accoglie parzialmente la domanda e per l'effetto condanna Gi. Pa. al pagamento in favore di Da. Ba. della somma di E 2.898,22, oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo, nonché della somma di E 2.660,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal pagamento delle singole fatture al saldo.
Condanna Gi. Pa. al pagamento in favore dell'Erario delle spese processuali che liquida in complessivi E 4.355,00, oltre rimborso sulle spese generali nella misura del 15%, nonché Iva e Cpa e successive occorrende.
3) Pone le spese di ctu definitivamente a carico di Gi. Pa..
4) Accoglie la domanda formulata da Gi. Pa. nei confronti della Assicuratrice Milanese s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, e per l'effetto condanna quest'ultima a tenere indenne e manlevare Gi. Pa. di quanto quest'ultimo sia tenuto a corrispondere a Da. Ba. in forza del precedente punto 1), con il limite di E 2.608,40 rispetto alla somma di E 2.898,22 e con il limite di E 2.393,40 rispetto alla somma di E 2.660,00, nonché in forza dei precedenti punti 2) e 3).
5) Condanna Assicuratrice Milanese s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di Gi. Pa. delle spese di lite che liquida in complessivi E 4.355,00, oltre spese esenti, rimborso sulle spese generali nella misura del 15%, nonché Iva e Cpa e successive occorrende.
Torino, 19 marzo 2021
Depositata in cancelleria il 23/03/2021