sabato, 15 novembre 2025

Assegno ordinario di invalidità liquidato interamente con il sistema contributivo, riconosciuto il diritto all'integrazione al trattamento minimo

Corte costituzionale, sentenza 11 giugno - 3 luglio 2025 n. 94 - G.U. n.28 del 9.7.2025

 

Con la pubblicazione della sentenza 11 giugno - 3 luglio 2025 n. 94 la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 16 della legge 8.8.1995 n. 335 nella parte in cui esclude il diritto alla integrazione al trattamento minimo delle pensioni liquidate interamente con il sistema contributivo. 

Il caso preso in esame dal Giudice delle leggi riguarda il titolare di A.O.I. liquidato con il solo sistema contributivo il quale, riconosciuto invalido civile al 100% beneficiava anche della pensione di invalidità cumulabile con l'assegno ordinario.

Il giudizio di illegittimità è scaturito da ampie e argomentate considerazioni di diritto che hanno evidenziato come la norma fosse in netto contrasto con gli articoli 3 e 38 (secondo comma) della Costituzione.

Da tale pronunciamento scaturisce il diritto alla integrazione al minimo dei titolari di A.O.I. liquidati esclusivamente con il sistema contributivo.

Se da un lato la Consulta riconosce tale diritto per i casi sopra citati è opportuno ricordare che la legge istitutiva dell'assegno ordinario di invalidità, la 222 del 12.6.1984 all'articolo 1 comma 3 lo aveva già previsto.

Una ulteriore considerazione merita l'articolo 1 comma 16 della legge 335 che cita testualmente "alle pensioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo non si applicano le disposizioni sull'integrazione al minimo". 

La locuzione pensioni, ove riferita alla generalità dei trattamenti previdenziali scaturiti da contribuzione obbligatoria potrebbe rilevarsi di stimolo per l’analoga richiesta di integrazione al minimo dei trattamenti diversi dall’assegno ordinario di invalidità.

In ogni caso dovremo attendere la pubblicazione della specifica circolare INPS sul tema.

 

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LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:  Presidente:Giovanni AMOROSO;  Giudici :Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo  PATRONI GRIFFI, Marco D'ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella  SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI,  Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  16, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema  pensionistico obbligatorio e complementare), in combinato disposto  con l'art. 1, comma 3, della legge 12 giugno 1984, n. 222 (Revisione  della disciplina della invalidita' pensionabile), promosso dalla  Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra  l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e A. S., con  ordinanza del 16 settembre 2024, iscritta al n. 206 del registro  ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2024.  Visti l'atto di costituzione dell'Istituto nazionale della  previdenza sociale (INPS) nonche' l'atto di intervento del Presidente  del Consiglio dei ministri;  udita nell'udienza pubblica del 20 maggio 2025 la Giudice  relatrice Antonella Sciarrone Alibrandi;  uditi l'avvocata Antonella Patteri per l'INPS e l'avvocato dello  Stato Pietro Garofoli per il Presidente del Consiglio dei ministri;  deliberato nella camera di consiglio dell'11 giugno 2025.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 16 settembre 2024 (r.o. n. 206 del 2024),  la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato questioni di  legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 16, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e  complementare), «in combinato disposto» con l'art. 1, comma 3, della  legge 12 giugno 1984, n. 222 (Revisione della disciplina della  invalidita' pensionabile), in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo  comma, della Costituzione, «nella parte in cui non prevede la  corresponsione dell'integrazione al minimo dell'assegno ordinario di  invalidita', in presenza dei requisiti contributivi e reddituali  previsti, che sia calcolato interamente con il sistema cd.  contributivo». 

2.- La Corte di cassazione e' investita del ricorso proposto  dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) contro una  sentenza della Corte di appello di Firenze. 

Quest'ultima ha accolto  l'originaria domanda proposta da A. S. al fine di ottenere  l'integrazione al minimo di un assegno ordinario d'invalidita',  rigettata invece in primo grado in quanto l'assegno risultava  liquidato esclusivamente con il sistema contributivo e, come tale,  rientrava nella previsione dell'art. 1, comma 16, della legge n. 335  del 1995, che esclude l'applicabilita', a tale tipologia di pensioni,  delle disposizioni sull'integrazione al minimo.  Dall'ordinanza di rimessione si apprende che i giudici di seconde  cure hanno optato per una interpretazione costituzionalmente  orientata della appena citata disposizione: poiche' l'art. 1, comma  3, della legge n. 222 del 1984 - che prevede l'integrazione al minimo  dell'assegno ordinario d'invalidita' - non opera alcuna distinzione  tra i sistemi (retributivo, misto o contributivo) di calcolo della  prestazione pensionistica, tale disposizione non potrebbe  considerarsi ricompresa nel raggio d'applicazione del sopravvenuto  art. 1, comma 16, della legge n. 335 del 1995, che fa riferimento  solo alle pensioni liquidate con il sistema contributivo.

3.- In via preliminare, il giudice a quo opera una ricognizione  della normativa applicabile, ricordando che la disciplina relativa  all'assegno ordinario di invalidita' e' contenuta nell'art. 1 della  legge n. 222 del 1984, il cui comma 1 prevede il relativo diritto in  favore dell'assicurato «la cui capacita' di lavoro, in occupazioni  confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente a  causa di infermita' o difetto fisico o mentale a meno di un terzo».  Il successivo comma 3 dispone che la prestazione va calcolata  «secondo le norme in vigore nell'assicurazione generale obbligatoria  per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori  dipendenti, ovvero nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi» e  che, «[q]ualora l'assegno risulti inferiore al trattamento minimo  delle singole gestioni, e' integrato, nel limite massimo del  trattamento minimo, da un importo a carico del fondo sociale pari a  quello della pensione sociale di cui all'articolo 26 della legge 30  aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni e integrazioni»,  salva, ai sensi del comma 4, l'esistenza di redditi ostativi.  Rammenta poi che l'art. 1 della legge n. 335 del 1995 ha  modificato il criterio di calcolo delle prestazioni pensionistiche,  prevedendo: a) la conservazione del sistema retributivo per i  lavoratori che alla data del 31 dicembre 1995 potessero vantare  un'anzianita' contributiva di almeno diciotto anni; b) l'introduzione  di un sistema "misto" pro quota, in parte retributivo (per le  anzianita' acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995) e in parte  contributivo (per le anzianita' acquisite successivamente), per  coloro che, alla stessa data, avessero un'anzianita' contributiva  complessiva inferiore a diciotto anni; c) il calcolo integralmente  contributivo delle prestazioni da liquidare sulla base di contributi  versati esclusivamente dopo il 31 dicembre 1995.  Ricorda, infine, che il comma 16 dell'art. 1 della legge n. 335  del 1995 dispone che «[a]lle pensioni liquidate esclusivamente con il  sistema contributivo non si applicano le disposizioni  sull'integrazione al minimo».

4.- Tanto premesso, la Corte di cassazione rimettente esclude la  possibilita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata, alla  luce del «vincolo letterale del disposto normativo (riferito all'art.  1 comma 16 della legge n. 335/95)», ritenuto «insuperabile, pena la  sostanziale disapplicazione, ope iudicis, della disposizione  scrutinata».  Ritiene, quindi, di dover sollevare questioni di legittimita'  costituzionale «dell'art. 1 co. 16 l. n.222/84» (recte: dell'art. 1,  comma 16, della legge n. 335 del 1995), per contrasto con gli artt. 3  e 38, secondo comma, Cost.  

5.- In punto di rilevanza, il giudice a quo considera pacifico  tra le parti che: a) il requisito contributivo della prestazione sia  stato maturato da A. S. «per l'intero» dopo il 31 dicembre 1995; b)  sussistano, in capo all'interessato, «sia il requisito sanitario che  quello reddituale per l'integrazione al minimo [...] per il periodo  in contestazione», nonostante la percezione di «ulteriori  provvidenze» («un reddito da lavoro» e «un assegno di invalidita'  civile, ex lege n. 118 del 1971»).  Richiamando la propria giurisprudenza (di cui vengono citati  alcuni arresti), il Collegio rimettente qualifica l'assegno ordinario  di invalidita' come erogazione avente natura di trattamento  pensionistico e, come tale, lo ritiene «attratto all'orbita  applicativa dell'art.1, co.16 l. n.335/95 nel suo riferimento alle  "pensioni"».  La possibilita' per A. S. di fruire dell'integrazione al minimo,  quindi, sarebbe preclusa proprio dalla circostanza che l'interessato  percepisce l'assegno ordinario di invalidita' calcolato  esclusivamente con il sistema contributivo.

6.- Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte di  cassazione premette che l'integrazione al minimo della prestazione  previdenziale in generale, e dell'assegno ordinario di invalidita' in  particolare, svolge la funzione di garantire che il trattamento  pensionistico raggiunga quel livello base, ritenuto necessario ad  assicurare al pensionato mezzi adeguati alle «esigenze di vita»,  secondo la previsione dell'art. 38, secondo comma, Cost.  Qualunque sia il sistema adottato «per fondare l'an e il quantum  del trattamento pensionistico», dunque, resterebbe identica  «l'unitaria esigenza» di garantire i mezzi adeguati alle esigenze di  vita, assicurati dal «minimo predeterminato dal legislatore».  Sarebbe quindi irragionevole e discriminatorio - e percio' in  contrasto con l'art. 3 Cost. - distinguere tra sistema retributivo e  contributivo per il calcolo dell'assegno ordinario di invalidita',  per consentire poi l'integrazione al minimo solo nel primo caso,  tanto piu' che il sistema contributivo sarebbe «tendenzialmente meno  favorevole e piu' restrittivo rispetto a quello retributivo».  Tale scelta normativa non sarebbe giustificabile neppure in forza  dell'ampia discrezionalita' rimessa al legislatore, chiamato a  bilanciare l'esigenza di erogare le prestazioni previdenziali con  quella di mantenere in equilibrio i conti pubblici.  Inoltre, osserva il giudice a quo, per la pensione di vecchiaia  calcolata integralmente con il sistema contributivo, la legge n. 335  del 1995 ha previsto un «bilanciamento» al divieto di integrazione al  minimo, con la possibilita' (assicurata dall'art. 1, comma 20) di  acquisire - «quasi in funzione surrogatoria» - il diritto al relativo  trattamento con un montante contributivo minimo, «raccolto in soli 5  anni di assicurazione». Invece, l'eliminazione dell'integrazione al  minimo per l'assegno ordinario di invalidita' non sarebbe stata  compensata «da misure che valgano a rendere sostenibile e  giustificato il sacrificio imposto dalla legge».  Ancora, per il rimettente deve essere sempre mantenuta ferma la  differenza tra «"i mezzi necessari per vivere"» - che il primo comma  dell'art. 38 Cost. garantisce a tutti i cittadini inabili al lavoro e sprovvisti di risorse sufficienti - e «"i mezzi adeguati alle  esigenze di vita"», che il secondo comma della medesima disposizione  assicura ai lavoratori «in situazioni significative» (infortunio,  malattia, invalidita', vecchiaia, disoccupazione involontaria),  poiche' i secondi «comprendono i primi ma non s'esauriscono in essi».  Per questa ragione, aggiunge il rimettente, la necessaria tutela  delle adeguate esigenze di vita, lungi dal poter essere valutata alla  luce del complesso delle provvidenze di cui l'interessato potrebbe  fruire, imporrebbe di verificare che ogni prestazione previdenziale  sia idonea «a garantire oggettivamente lo specifico bisogno ad esso  sotteso, in se' considerato e distinto da eventuali altri».  In definitiva, l'integrazione al minimo dell'assegno ordinario  d'invalidita' - comunque sia stato calcolato - costituirebbe il modo  con cui la legge deve attuare il precetto costituzionale, a fronte di  una prestazione che potrebbe altrimenti determinare «l'attribuzione  ai lavoratori beneficiari di somme del tutto inidonee alle loro  esigenze di vita, quando non meramente simboliche» e, comunque, in  alcuni casi, come quello di specie, «inferiori al quantum delle  prestazioni assistenziali, liquidate in relazione ad eventi  analoghi».

7.- L'INPS si e' costituito in giudizio, evidenziando, in primo  luogo, che A. S. e' titolare: a) a decorrere da novembre 2013, di  assegno ordinario di invalidita', liquidato in regime contributivo,  il cui importo (calcolato a novembre 2024) e' pari ad euro 112,69; b)  di pensione di invalidita' civile, per l'importo di euro 333,33,  cumulabile con l'assegno ordinario in quanto il percettore e' stato  dichiarato invalido civile totale; c) di posizione contributiva  presso il fondo pensioni lavoratori dipendenti, in conseguenza dello  svolgimento di lavoro subordinato che, da gennaio a settembre 2024,  ha fruttato una retribuzione complessiva (da presumersi al lordo) di  euro 7.393,00.

8.- Cio' posto, per l'INPS le questioni sarebbero innanzitutto  inammissibili.  Se anche si potesse rilevare un contrasto con i parametri  costituzionali evocati, i mezzi attraverso i quali risolvere tale  criticita' sarebbero molteplici (rivalutazione dei contributi,  individuazione di piu' favorevoli coefficienti di trasformazione,  introduzione di nuove provvidenze, eccetera) e la relativa scelta non  potrebbe che essere affidata alla discrezionalita' del legislatore,  allo scopo di selezionare la soluzione che «al contempo meglio  rispetti la coerenza del regime contributivo».

9.- Nel merito, l'INPS esclude qualsiasi contrasto con i  parametri costituzionali evocati.  La peculiare forma di integrazione al minimo di cui si discute  sarebbe compatibile con il solo sistema di calcolo retributivo,  mentre sarebbe «istituto estraneo alla ratio e ai principi che  informano il regime contributivo di liquidazione delle pensioni a  carico dell'assicurazione generale obbligatoria».  E' unicamente nel regime retributivo, infatti, che la  contribuzione versata rileva ai soli fini dell'individuazione di un  minimo di anzianita' assicurativa per l'accesso alla prestazione e  non anche della parametrazione del trattamento a quanto versato.  Esclusivamente nel regime retributivo, quindi, sarebbero consentite  anche «commisurazioni virtuali», quale l'integrazione di cui si  discute, il cui onere economico, non a caso, e' posto interamente a  carico della gestione degli interventi assistenziali e di sostegno  alle gestioni previdenziali.  Del tutto differenti sarebbero i principi sui quali si fonda,  invece, il regime contributivo di liquidazione dei trattamenti  previdenziali. In tale sistema, e' l'entita' del montante  contributivo, valorizzato in base ai coefficienti legati all'eta', a  determinare la misura stessa della pensione e cio' escluderebbe la possibilita' «di introdurre commisurazioni che si basino su importi  virtuali».  A seguito della legge n. 335 del 1995, in sostanza, «cio' che non  puo' essere assicurato dalla valorizzazione del montante  contributivo» dovrebbe essere posto a carico di sistemi di protezione  diversi da quello previdenziale, per non rendere «insostenibile» la  spesa pensionistica.  Di cio' sarebbe stato consapevole il legislatore della riforma,  che avrebbe operato sulla «leva dei benefici assistenziali per  arrivare a livelli aggiuntivi di tutela rispetto a quanto il  lavoratore puo' ottenere all'interno del regime previdenziale». In  particolare, l'INPS ricorda che l'art. 3, comma 6, ultimo periodo,  della legge n. 335 del 1995, in tema di requisiti di accesso  all'assegno sociale, prevede che non concorre a formare il reddito  del richiedente (e dunque a superare le soglie che impediscono di  fruire della provvidenza) la pensione liquidata secondo il sistema  contributivo, «in misura corrispondente ad un terzo della pensione  medesima e comunque non oltre un terzo dell'assegno sociale».

10.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto nel  giudizio, sostenendo la non fondatezza delle questioni sollevate, con  argomentazioni in parte sovrapponibili a quelle offerte dall'INPS.  L'Avvocatura generale dello Stato evidenzia che la legge n. 335  del 1995 ha operato una epocale riforma, sancendo il passaggio al  sistema contributivo, «piu' solido e sostenibile», in quanto «lega  direttamente l'importo della pensione ai contributi versati,  riducendo il rischio di disavanzi finanziari e di iniquita' tra le  diverse generazioni di lavoratori».  Occorrerebbe allora valutare la posizione dei percettori  dell'assegno ordinario d'invalidita' liquidato esclusivamente con il  sistema contributivo alla luce «del complessivo sistema di tutele  gia' previsto dall'ordinamento» anche in favore di tali soggetti, che  potrebbero beneficiare di altre provvidenze economiche - «quali le  prestazioni a favore degli invalidi civili, l'assegno sociale e le  prestazioni a sostegno del reddito» - e che, in ogni caso, potrebbero  ancora svolgere attivita' lavorativa (nei limiti delle loro residue  capacita'), secondo la disciplina stabilita dall'art. 1, comma 42,  della legge n. 335 del 1995.

11.- In prossimita' dell'udienza pubblica, il Presidente del  Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, con la quale ha  ulteriormente illustrato gli argomenti difensivi.  In particolare, l'Avvocatura ha evidenziato che, nell'eliminare  il meccanismo dell'integrazione al minimo per i trattamenti  pensionistici liquidati con il sistema contributivo, il legislatore  ha operato la precisa scelta di affidare le forme di sostegno  eventualmente necessarie a «misure economiche di natura tipicamente  assistenziale, non gravanti sul complessivo sistema pensionistico»,  quali, in particolare, l'assegno sociale.  Inoltre, ha sottolineato che, nel caso fosse riconosciuta  l'integrazione al minimo dell'assegno ordinario di invalidita', al  momento della sua trasformazione in pensione di vecchiaia opererebbe  comunque il divieto di integrazione al minimo prevista per  quest'ultima, sempre in applicazione dell'art. 1, comma 16, della  legge n. 335 del 1995.

Considerato in diritto

1.- La Corte di cassazione, sezione lavoro, dubita della  compatibilita' con gli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost., dell'art.  1, comma 16, della legge n. 335 del 1995, il quale, «in combinato  disposto» con l'art. 1, comma 3, della legge n. 222 del 1984,  nell'escludere l'integrazione al minimo per tutte le pensioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo, non ne consente  la corresponsione anche per l'assegno ordinario di invalidita' che  sia calcolato interamente con tale criterio.  

2.- Per il giudice a quo, l'integrazione al minimo dell'assegno  ordinario di invalidita' svolge la funzione tipica delle prestazioni  previdenziali, consistente nel garantire al percettore mezzi adeguati  alle «esigenze di vita», secondo la previsione dell'art. 38, secondo  comma, Cost.  Rispetto a tale presidio costituzionale, quindi, non avrebbe  alcuna incidenza il sistema di computo adottato in base alla  disciplina tempo per tempo vigente, risultando irragionevole e  discriminatorio - e percio' in contrasto anche con l'art. 3 Cost. -  distinguere tra i criteri retributivo e contributivo, per consentire  l'integrazione al minimo solo dell'assegno ordinario d'invalidita'  liquidato in base al primo.  Neppure potrebbe soccorrere, in questa prospettiva, l'eventuale  fruibilita' di altre prestazioni di natura assistenziale (ad esempio,  come nel caso di specie, l'assegno per l'invalidita' civile), per la  chiara distinzione tra i «mezzi necessari per vivere» e i «mezzi  adeguati alle [...] esigenze di vita», che l'art. 38 Cost. riserva,  rispettivamente, a tutti i cittadini inabili al lavoro e sprovvisti  di risorse sufficienti, ai sensi del primo comma, e ai lavoratori  colpiti dagli eventi indicati nel secondo comma.  Piu' in generale, il rimettente osserva che l'esclusione  dell'integrazione al minimo sarebbe stata compensata, per tutti gli  altri trattamenti pensionistici, dalla possibilita' (riconosciuta  dall'art. 1, comma 20, della legge n. 335 del 1995) di acquisire il  relativo diritto con un montante contributivo ridotto rispetto al  passato, in quanto «raccolto in soli 5 anni di assicurazione». Per  l'assegno ordinario d'invalidita', invece, non sarebbe stata prevista  alcuna misura idonea «a rendere sostenibile e giustificato il  sacrificio imposto dalla legge».  

3.- Cosi' ricostruite le censure, la decisione delle questioni  sollevate richiede un breve inquadramento degli istituti coinvolti.  

3.1.- La giurisprudenza di legittimita' e' ferma nel qualificare  l'assegno ordinario d'invalidita' come trattamento pensionistico (tra  le piu' recenti, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 22  agosto 2024, n. 23040 e n. 23041; ordinanza 17 agosto 2023, n.  24751), legato al sopraggiungere di uno stato di compromissione  fisica o mentale.  Nondimeno, devono sin da ora essere rimarcate le indubbie  peculiarita' dell'assegno in esame (di cui si dira' ampiamente infra,  punto 11), che hanno indotto questa Corte, sin da risalenti pronunce  (sentenza n. 644 del 1988), a riconoscergli natura «parzialmente  assistenziale» (e dunque «almeno mista»), in affiancamento alla  funzione previdenziale che il giudice a quo - con argomenti non  estranei pure alla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 218  del 1995 e n. 436 del 1988) - ritiene svolta ai sensi del secondo  comma dell'art. 38 Cost.  3.2.- L'assegno ordinario di invalidita' e' disciplinato dalla  legge n. 222 del 1984 e spetta al lavoratore che, a causa di  infermita' o difetto fisico o mentale, vede diminuita a meno di un  terzo la sua capacita' di prestare un'attivita' lavorativa confacente  alle proprie attitudini (art. 1, comma 1).  L'assegno spetta senza limiti d'eta', ma, al compimento di quella  stabilita per il diritto a pensione di vecchiaia, si trasforma, «in  presenza dei requisiti di assicurazione e di contribuzione», in  pensione di vecchiaia (art. 1, comma 10).  Ai fini del perfezionamento del diritto, il successivo art. 4,  attraverso una serie di richiami normativi, richiede che il  lavoratore abbia versato contributi per almeno cinque anni, di cui  tre nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda amministrativa.  Ricorrendo entrambi i requisiti - medico-legale e assicurativo -  l'assegno e' calcolato secondo le norme in vigore nell'assicurazione  generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti  dei lavoratori dipendenti, ovvero nelle gestioni speciali dei  lavoratori autonomi; qualora esso risulti inferiore al trattamento  minimo delle singole gestioni, l'assegno e' integrato, «nel limite  massimo del trattamento minimo, da un importo a carico del fondo  sociale pari a quello della pensione sociale». Cosi' ancora si  esprime l'art. 1, comma 3, della medesima legge, con riferimenti oggi  da intendersi operati, rispettivamente, alla gestione degli  interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali  (in seguito: GIAS) e all'assegno sociale che l'art. 3, comma 6, della  legge n. 335 del 1995 ha introdotto, in luogo della pensione sociale,  con effetto dal 1° gennaio 1996.  

4.- Ne consegue che il sistema di computo dell'assegno ordinario  di invalidita' puo' essere diverso, a seconda della disciplina alla  quale e' assoggettato il lavoratore per effetto delle riforme del  sistema pensionistico succedutesi nel tempo.  Tra queste, importanza centrale riveste quella operata dalla  legge n. 335 del 1995, la quale, come questa Corte ha ricordato di  recente con la sentenza n. 112 del 2024, ha comportato il graduale  passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo di computo  del trattamento pensionistico, introducendo distinzioni tra i  lavoratori sulla base dell'anzianita' assicurativa dai medesimi  maturata al 31 dicembre 1995.  In particolare, oggi risultano interamente soggetti al regime  contributivo i lavoratori che - come nel caso oggetto dell'odierno  scrutinio - si siano iscritti a una gestione previdenziale solo  successivamente alla data da ultimo indicata.  

4.1.- Nell'ambito del sistema retributivo, divenuto ormai  residuale, la base di calcolo e' costituita dalla media delle  retribuzioni percepite in un periodo di riferimento predeterminato  dalla legge (cosiddetta retribuzione pensionabile), generalmente  collocato in una fase - piu' o meno ampia, a seconda della disciplina  di riferimento - anteriore alla data del pensionamento.  Il sistema contributivo, invece, e' ispirato a una logica di  corrispettivita' tra contribuzione versata e prestazione  pensionistica: quest'ultima viene determinata in base alla  contribuzione corrisposta nel corso dell'intera vita lavorativa (il  cosiddetto montante contributivo individuale), che viene rivalutata  periodicamente e rapportata alla speranza di vita media residua  (stimata con criteri statistico-attuariali via via aggiornati nel  tempo), mediante l'applicazione di un coefficiente di trasformazione  che tiene conto dell'eta' del singolo pensionando.  L'applicazione dell'uno o dell'altro criterio di computo e'  suscettibile di restituire risultati diversi, di norma ben piu'  favorevoli nell'ambito del regime retributivo, ormai in via di  definitivo superamento.  

5.- Cio' premesso, va in primo luogo scrutinata l'eccezione  d'inammissibilita' sollevata dall'INPS, secondo cui, quand'anche  fosse rilevato un contrasto con i parametri evocati dal giudice a  quo, la scelta tra le «molteplici modalita'» idonee ad assicurare  «una tutela aggiuntiva al lavoratore invalido» esulerebbe dai poteri  di questa Corte, venendo in rilievo un'opzione destinata a incidere  su un complesso normativo «caratterizzato da estrema tecnicita'»,  oltre che condizionato delle risorse disponibili.  L'eccezione deve essere respinta.  Il rimettente auspica un intervento che consenta di applicare la  regola che ancora e' prevista nell'ordinamento dall'art. 1, comma 3,  della legge n. 222 del 1984 proprio per l'assegno ordinario  d'invalidita', sebbene ora limitatamente a quello calcolato con il sistema retributivo.  Il petitum, puntuale e univoco, consente dunque di fare  applicazione del principio, ormai costantemente enunciato dalla  giurisprudenza costituzionale (tra le ultime, sentenze n. 31 del  2025, n. 138 e n. 128 del 2024), secondo cui, una volta accertato un  vulnus a un principio o a un diritto riconosciuti dalla Costituzione,  non puo' essere di ostacolo all'esame nel merito l'assenza di  un'unica soluzione a "rime obbligate", ancorche' si versi in materie  riservate alla discrezionalita' del legislatore.  E' sufficiente, infatti, «la presenza nell'ordinamento di una o  piu' soluzioni "costituzionalmente adeguate"» (ex multis, sentenza n.  95 del 2022) e tale e' certamente quella indicata dal rimettente.  

6.- Ancora in via preliminare, va precisamente definito il thema  decidendum.  Dalla lettura combinata di motivazione e dispositivo  dell'ordinanza di rimessione si desume con certezza che - nulla  disponendo l'art. 1, comma 3, della legge n. 222 del 1984  sull'esclusione dell'integrazione al minimo in relazione a  particolari modalita' di computo del trattamento - oggetto delle  questioni e' unicamente l'art. 1, comma 16, della legge n. 335 del  1995, nella parte in cui include l'assegno ordinario d'invalidita'  nel divieto di applicazione delle disposizioni sull'integrazione al  minimo ai trattamenti pensionistici liquidati esclusivamente con il  sistema contributivo.  

7.- La Corte di cassazione ha puntualmente assolto anche  all'onere di preventiva esplorazione di una interpretazione  costituzionalmente orientata, giungendo alla conclusione che essa non  e' praticabile, in considerazione dell'inequivoco tenore letterale  della disposizione censurata, applicabile a tutti i trattamenti  pensionistici, nel cui novero il diritto vivente, condiviso dal  giudice a quo, ricomprende anche l'assegno in parola.  Per costante giurisprudenza costituzionale, ai fini  dell'ammissibilita' della questione incidentale, e' sufficiente che  il rimettente motivi - come qui ha fatto - sulle ragioni di  impraticabilita' dell'interpretazione adeguatrice (tra le ultime,  sentenza n. 23 del 2025).  

8.- Tanto premesso, le censure formulate dal rimettente  sollecitano questa Corte ad operare uno scrutinio sia "per linee  interne" alla disciplina dell'assegno in esame, sia attraverso un  confronto di quest'ultima con le regole che governano la liquidazione  degli altri trattamenti pensionistici.  

8.1.- Nel primo senso si muovono gli argomenti per i quali,  qualunque sia il sistema di calcolo adottato, resterebbe identica la  necessita' di garantire i mezzi adeguati alle esigenze di vita,  quando l'assegno ordinario d'invalidita' risulti «inferiore a un  minimo predeterminato dal legislatore»: sarebbe irragionevole e  discriminatorio, afferma il giudice a quo, consentire l'integrazione  al minimo solo nel caso di calcolo dell'assegno con il sistema  retributivo, tanto piu' che il criterio contributivo «e'  tendenzialmente meno favorevole e piu' restrittivo».  In questa prospettiva, e citando giurisprudenza costituzionale,  la Corte rimettente pone l'accento, piu' che sui principi di  eguaglianza e ragionevolezza, soprattutto sull'affermato radicamento  dell'integrazione al minimo nella previsione del secondo comma  dell'art. 38 Cost.  E' bene, tuttavia, fare un'ulteriore precisazione.  Le sentenze richiamate dal giudice a quo sono riferite  all'integrazione al minimo dei trattamenti pensionistici in generale.  Esse sono state rese nell'ambito di un sistema pensionistico  governato dal criterio di liquidazione retributivo (sentenze n. 240  del 1994, n. 31 del 1986 e n. 263 del 1976) e in un'epoca (sentenze  n. 18 del 1998, n. 127 e n. 119 del 1997; ordinanza n. 173 del 2003)
in cui ancora non era stato necessario misurarsi direttamente con gli  effetti della riforma pensionistica operata dalla legge n. 335 del  1995, portatrice, come osservato dall'Avvocatura generale dello  Stato, di un «cambiamento fondamentale [...] del sistema  previdenziale italiano».  Come si vedra' (infra, punto 13), di tale mutamento di paradigma  costituisce espressione, tra le altre, anche la scelta di escludere  l'integrazione al minimo per (tutti) i trattamenti da liquidarsi  interamente con il sistema contributivo.  

8.2.- Diversa e' la prospettiva che guida la contestazione con la  quale il giudice a quo rimprovera al legislatore della riforma del  1995 di non aver introdotto misure per rendere «sostenibile e  giustificato il sacrificio imposto» dalla disposizione censurata, a  differenza di quanto previsto per altri trattamenti previdenziali  come le pensioni di vecchiaia.  Da questa angolazione, nell'ambito della disciplina che risulta  dal riordino del sistema pensionistico, la Corte rimettente chiede di  operare un confronto, al lume dei principi presidiati dall'art. 3  Cost., tra le regole che oggi governano, da un lato, l'assegno  ordinario d'invalidita', e, dall'altro, gli altri trattamenti  pensionistici coinvolti nella generale previsione dell'art. 1, comma  16, della legge n. 335 del 1995.  

9.- Rispetto ai due profili di censura appena illustrati - il  primo incentrato soprattutto sulla violazione dell'art. 38 Cost. e il  secondo, invece, esclusivamente sulla violazione dell'art. 3 Cost. -,  questa Corte ritiene che le peculiarita' della disciplina  dell'assegno ordinario d'invalidita' e del meccanismo, pure speciale,  della sua integrazione al minimo rendano opportuno anzitutto un esame  condotto al fine di verificare, al metro dell'art. 3 Cost., se il  trattamento in questione sia o meno suscettibile di essere accomunato  alle altre pensioni, nella sottoposizione alla regola generale  somministrata dalla disposizione censurata.  

10.- La questione e' fondata.  

11.- La tendenziale corrispettivita' tra provvista finanziaria  (il cosiddetto montante) e misura del trattamento previdenziale  liquidato e' una caratteristica essenziale del sistema contributivo.  Secondo la principale tesi difensiva dell'INPS e dell'Avvocatura  generale dello Stato, essa impedirebbe la sopravvivenza di un  istituto che, come l'integrazione al minimo, risulta derogatorio del  «principio di proporzionalita' della pensione ai contributi versati a  vantaggio del principio di solidarieta'» (come riconosciuto dalla  sentenza n. 119 del 1997).  Tale argomento, tuttavia, perde consistenza proprio con  riferimento alla tutela pensionistica per l'invalidita', collegata a  uno stato di bisogno del tutto peculiare, in cui la persona che la  richiede ha perso in larga parte la capacita' lavorativa.  Non a caso, in un contesto governato dalle regole retributive di  liquidazione di tutti i trattamenti pensionistici, la legge n. 222  del 1984 aveva gia' previsto, per il conseguimento del diritto  all'assegno ordinario d'invalidita', un regime agevolato: sin  dall'origine, infatti, e' stato ritenuto sufficiente un periodo di  contribuzione di soli cinque anni e si e' imposto esclusivamente  l'accertamento di una sorta di "contiguita' assicurativa" rispetto  all'evento protetto (tre anni di contribuzione nel quinquennio  anteriore alla presentazione della domanda).  Il particolare favor per il trattamento di cui si discute e'  stato poi confermato anche in occasione del generale passaggio dal  sistema retributivo a quello contributivo.  L'art. 1, comma 14, della legge n. 335 del 1995, infatti, prevede  che l'assegno ordinario d'invalidita', ove calcolato - per intero o  pro quota - con il sistema contributivo, e' determinato «assumendo il  coefficiente di trasformazione relativo all'eta' di 57 anni nel caso in cui l'eta' dell'assicurato all'atto dell'attribuzione dell'assegno  sia ad essa inferiore». In sostanza, si equipara ex lege l'eta' del  percettore dell'assegno a quella che, all'epoca, costituiva la soglia  anagrafica da raggiungere per conseguire la pensione di vecchiaia  interamente liquidata con il sistema contributivo, secondo quanto  prevedevano i commi 19 e 20 del citato art. 1.  Si tratta delle medesime disposizioni con le quali il legislatore  della riforma previdenziale del 1995 ha ridotto a soli cinque anni il  requisito di anzianita' contributiva ai fini del conseguimento di  tutte le pensioni di vecchiaia, in tal modo equiparando il  presupposto contributivo minimo a quello gia' previsto per l'assegno  ordinario di invalidita'. Tuttavia, per quest'ultimo ha rinunciato ad  applicare la rigida corrispondenza attuariale tra montante  contributivo individuale e speranza di vita, che vale per il sistema  pensionistico in generale. 

E cio' ha fatto, evidentemente, proprio  per mantenere vivo quel regime differenziato, da sempre giustificato  dalla peculiarita' dello stato di bisogno sotteso alla relativa  tutela "mista" (assistenziale e previdenziale) accordata, in quanto  considerato meritevole di una maggiore valorizzazione del principio  di solidarieta'.  11.1.- A questo proposito, e' peraltro opportuno evidenziare che,  per effetto delle modifiche - altrettanto profonde - apportate al  sistema pensionistico dall'art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011,  n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il  consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,  nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, la generale eta' pensionabile  e' stata, ad oggi, elevata fino a sessantasette anni. Cio'  ridimensiona il carattere favorevole della previsione di cui all'art.  1, comma 14, della legge n. 335 del 1995, il quale non e' stato a sua  volta aggiornato alla nuova soglia.  Le differenze tra assegno ordinario d'invalidita' e restanti  trattamenti pensionistici, sotto altro profilo, sono diventate invece  piu' marcate. In particolare, mentre la riforma di cui al d.l. n. 201  del 2011, come convertito, ha elevato, in generale, a venti anni il  minimo di contribuzione necessario ad accedere alla pensione di  vecchiaia - rendendo del tutto residuale l'ipotesi della  valorizzazione della contribuzione solo quinquennale, perche' ormai  riservata, oggi, agli ultrasettantunenni (art. 24, comma 7) -, per  l'assegno ordinario d'invalidita' non e' stato intaccato il requisito  contributivo "ridotto" di cui all'art. 4 della legge n. 222 del 1984,  ancora una volta in ossequio alla peculiarita' dello stato di bisogno  da fronteggiare. 

12.- Da altra angolatura, va rilevato che la ratio della generale  soppressione dell'integrazione al minimo per tutti i trattamenti  pensionistici - come confermato dall'INPS e dall'Avvocatura - e' da  mettere in relazione con la necessita' di contenimento della spesa  previdenziale, che del resto e' dichiaratamente (art. 1, commi 1, 3 e  5, della legge n. 335 del 1995) alla base del complessivo intervento  riformatore, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza  costituzionale (ordinanza n. 400 del 1999).  Ancora una volta, pero', si tratta di un argomento che non puo'  essere validamente speso con riferimento all'integrazione al minimo  dell'assegno ordinario d'invalidita', la cui disciplina e' a sua  volta affatto diversa da quella dettata per l'integrazione degli  altri trattamenti pensionistici.  L'art. 1, comma 3, della legge n. 222 del 1984, in particolare,  prevede che, qualora l'assegno risulti inferiore al trattamento  minimo INPS - e sempreche' non siano superati i limiti di reddito  previsti dal successivo comma 4 -, esso e' integrato «nel limite  massimo del trattamento minimo, da un importo a carico del fondo  sociale pari a quello della pensione sociale»: nei fatti, l'importo  "a calcolo", maggiorato della somma oggi corrispondente alla misura dell'assegno sociale, potrebbe anche restituire un risultato  inferiore al trattamento minimo INPS.  Inoltre, come riconosciuto nelle stesse difese dell'ente  previdenziale, non e' prevista l'integrazione parziale della  prestazione ne' la cosiddetta "cristallizzazione", ossia il  mantenimento dell'assegno nella misura precedentemente goduta qualora  vengano superati i limiti di reddito (come invece e' previsto per le  altre pensioni integrate al trattamento minimo, dall'art. 6, comma 7,  del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, recante «Misure urgenti  in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della  spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica  amministrazione e proroga di taluni termini», convertito, con  modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638).  In stretta connessione con questa speciale regolamentazione, la  legge n. 222 del 1984 aveva gia' allocato l'intero onere economico  della peculiare integrazione al minimo di cui si tratta al di fuori  dalla gestione che eroga l'assegno ordinario d'invalidita', ponendolo  a carico del fondo sociale (art. 1, comma 3).  La scelta all'epoca operata e' stata poi confermata dalla legge 9  marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della  previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione  contro gli infortuni sul lavoro), il cui art. 37 ha posto l'onere  finanziario delle integrazioni al minimo dei soli assegni ordinari di  invalidita' interamente a carico della neoistituita - in sostituzione  appunto del fondo sociale - GIAS (comma 3, lettera b).  Ne deriva che il passaggio dal sistema retributivo a quello  contributivo di computo delle prestazioni e' del tutto indifferente  rispetto al finanziamento dell'integrazione al minimo dell'assegno  ordinario d'invalidita', che gia' era prima, ed e' rimasta poi,  l'unica interamente sostenuta dalla fiscalita' generale. 

13.- Privo di efficacia persuasiva, sempre rispetto all'assegno  ordinario d'invalidita', risulta anche un ulteriore argomento  difensivo speso dalla parte pubblica e dall'interveniente.  L'INPS e l'Avvocatura sostengono che, all'esito del rovesciamento  di impostazione operato dalla riforma del 1995, l'esistenza di altre  provvidenze assistenziali, di cui i titolari di pensioni interamente  contributive potrebbero usufruire (tra cui, in primo luogo, l'assegno  sociale), escluderebbe qualsiasi vulnus ai principi evocati.  Tuttavia, ulteriore peculiarita' dell'assegno ordinario  d'invalidita' e' rappresentata dal fatto che di tale trattamento il  lavoratore puo' aver bisogno anche prima del raggiungimento dell'eta'  prevista per poter godere dell'assegno sociale, che attualmente viene  erogato solo ai cittadini ultrasessantasettenni.  Prima di tale momento, potrebbe verificarsi il caso di un  lavoratore diventato invalido che: a) percepisca un assegno ordinario  d'invalidita' di importo modesto (perche' frutto dell'anzianita'  minima quinquennale, nel contesto di un computo esclusivamente  contributivo); b) sia privo dei requisiti per ricevere anche  l'assegno d'invalidita' civile (salve limitate eccezioni,  generalmente non cumulabile con il primo, ai sensi dell'art. 1, comma  10, della legge n. 222 del 1984); c) non abbia una composizione  familiare oppure una situazione reddituale o personale che gli  consenta di usufruire di ulteriori sostegni, come l'assegno unico e  universale (che, per effetto del decreto legislativo 29 dicembre  2021, n. 230, recante «Istituzione dell'assegno unico e universale  per i figli a carico, in attuazione della delega conferita al Governo  ai sensi della legge 1° aprile 2021, n. 46», ha preso il posto delle  precedenti provvidenze a favore della famiglia e della natalita')  oppure l'assegno di inclusione (disciplinato dal decreto-legge 4  maggio 2023, n. 48, recante «Misure urgenti per l'inclusione sociale  e l'accesso al mondo del lavoro», convertito, con modificazioni,  nella legge 3 luglio 2023, n. 85); e d) non abbia la possibilita' di trovare altre «occupazioni confacenti alle sue attitudini» (come  recita l'art. 1, comma 1, della legge n. 222 del 1984), nonostante le  misure di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto  al lavoro dei disabili).  Alla luce di quanto appena esposto, appare evidente che il  soggetto in eta' attiva bisognoso della tutela di cui si discute, in  ragione della significativa riduzione della sua capacita' lavorativa  conseguente all'invalidita', puo' essere esposto al rischio di  rimanere, anche per lungo tempo, privo di qualsiasi ulteriore  supporto economico.  Si tratta di una prospettiva dissonante nello scenario disegnato  dal legislatore, che, come contraltare della scelta operata con la  disposizione censurata, ha affidato proprio al sistema assistenziale  la tutela aggiuntiva eventualmente necessaria.  Nella logica del sistema contributivo, l'art. 1, comma 16, della  legge n. 335 del 1995 costituisce anche il risvolto di un giudizio di  disvalore espresso dall'ordinamento nei confronti della fuoriuscita  anticipata dal mercato del lavoro del soggetto che, pur ancora in  possesso di capacita' lavorativa, non abbia tuttavia accumulato una  provvista finanziaria idonea a garantirgli, in vecchiaia, un importo  del trattamento pensionistico adeguato alla funzione previdenziale  che quest'ultimo deve svolgere.  Si tratta, pero', di una ragione che non appare affatto coerente  con il trattamento per l'invalidita' qui in esame, destinato a  sopperire a situazioni in cui il lavoratore perde una rilevante  percentuale della sua capacita' lavorativa e, quindi, la possibilita'  di accumulare un montante contributivo adeguato.  Pure sotto tale profilo, dunque, la scelta di assimilare  l'assegno ordinario d'invalidita' agli altri trattamenti  pensionistici liquidati con il solo sistema contributivo,  assoggettando anche il primo alla previsione di inapplicabilita'  delle disposizioni sull'integrazione al minimo, viola l'art. 3 Cost.  

14.- Ne' puo' dirsi che l'accoglimento della questione crei la  disarmonia di sistema prospettata dalla difesa dell'INPS e  dall'Avvocatura, in relazione alla trasformazione automatica -  prevista dal primo periodo del comma 10 dell'art. 1 della legge n.  222 del 1984 - dell'assegno ordinario d'invalidita' in pensione di  vecchiaia, per la quale continuerebbe a essere esclusa l'integrazione  al minimo. La stessa disposizione appena citata, infatti, nell'ultimo  periodo, ha cura di precisare che l'importo della pensione di  vecchiaia «non potra', comunque, essere inferiore a quello  dell'assegno di invalidita' in godimento al compimento dell'eta'  pensionabile». Ancora una volta, la peculiarita' dello stato di  bisogno che fonda l'assegno in parola esclude qualsiasi  discriminazione rispetto al lavoratore che non sia afflitto da  analoga invalidita' e rende giustificata la scelta discrezionale  operata dal legislatore.  Quanto al periodo successivo al compimento dell'eta'  pensionabile, invece, tutti i pensionati restano soggetti alla  medesima disciplina dettata dall'art. 3, comma 6, ultimo periodo,  della legge n. 335 del 1995, secondo cui, agli effetti del  riconoscimento dell'assegno sociale, non concorre a formare reddito  la pensione (qualunque tipo di pensione) liquidata secondo il sistema  contribuivo, «in misura corrispondente ad un terzo della pensione  medesima e comunque non oltre un terzo dell'assegno sociale».  

14.1.- Neppure varrebbe a determinare un'ingiustificata  disparita' di trattamento - in tesi ancora una volta conseguente  all'accoglimento della questione - la possibilita' per il percettore  dell'assegno in parola di continuare a svolgere attivita' lavorativa,  ovviamente nei limiti delle sue ormai ridotte capacita'.  La legge n. 222 del 1984 si limitava a prevedere, per queste  ipotesi, l'applicabilita' dell'ordinaria disciplina del cumulo tra pensione e retribuzione (art. 1, comma 11, che richiama appunto  l'art. 20 della legge 30 aprile 1969, n. 153, recante «Revisione  degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza  sociale», che di tale cumulo si occupa). L'art. 1, comma 42, della  legge n. 335 del 1995, senza incidere su tale assetto, ha poi  previsto, in caso di svolgimento di attivita' lavorativa, una  riduzione del rateo dell'assegno, correlato all'importo di  quest'ultimo e all'ammontare complessivo dei redditi da lavoro  (dipendente, autonomo o di impresa).  Le eventuali somme riconosciute a titolo di integrazione al  minimo, quindi, sarebbero comunque coinvolte nella riduzione  percentuale del trattamento.  

15.- L'INPS ha depositato in udienza un prospetto dal quale  risulta che una decisione di accoglimento provvista, come  d'ordinario, di effetti ex tunc sarebbe suscettibile di determinare,  per l'anno in corso, un ingente e improvviso aggravio a carico della  finanza pubblica, in gran parte connesso al recupero degli arretrati  che potrebbero essere reclamati dai percettori degli assegni ordinari  d'invalidita' liquidati esclusivamente con il sistema contributivo.  Premesso che l'onere finanziario riguardera' solo assegni diretti  (essendo esclusa, come detto, la reversibilita' della prestazione),  la maggior spesa a carico dello Stato, che la presente decisione  comporta, non si pone in contrasto - come in sostanza prospetta  l'INPS - con l'art. 81 Cost., perche' sara' compito del legislatore  «provvedere tempestivamente alla copertura degli oneri derivanti  dalla pronuncia, nel rispetto del vincolo costituzionale  dell'equilibrio di bilancio in senso dinamico», come gia' chiarito  nella sentenza n. 152 del 2020.  Questa Corte, tuttavia, reputa necessario seguire il solco  tracciato dalla pronuncia da ultimo citata e cosi', «nella  prospettiva, appunto, del "contemperamento dei valori costituzionali"  - che viene qui in rilievo non gia' nel contesto dello scrutinio di  costituzionalita' della norma denunciata ed al fine dell'esito dello  stesso, bensi' nella fase successiva relativa alla delimitazione  diacronica degli effetti della decisione - [...] ritiene, in questo  caso, di graduare gli effetti temporali del decisum, facendoli  decorrere (solo) dal giorno successivo a quello di pubblicazione  della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale».  Anche in questo frangente, del resto, come nella vicenda  scrutinata dal citato precedente, il riconoscimento solo pro futuro  dell'integrazione al minimo dell'assegno ordinario d'invalidita' non  contrasta con la logica del giudizio incidentale, poiche'  l'accoglimento ex nunc «risponde comunque all'interesse della parte  che ha attivato il processo principale ed e' dunque rilevante al fine  della decisione che dovra' adottare il giudice rimettente».  

16.- Va anche in questa occasione ribadito che resta ovviamente  ferma la possibilita' per il legislatore di rimodulare, ed  eventualmente di coordinare in un quadro di sistema, la disciplina  vigente, purche' sia idonea a garantire, ai titolari di assegno  ordinario d'invalidita' liquidato interamente con il sistema  contributivo, l'effettivita' dei diritti loro riconosciuti dalla  Costituzione. 

17.- In conclusione va dichiarata, a decorrere dal giorno  successivo alla pubblicazione di questa sentenza nella Gazzetta  Ufficiale della Repubblica, l'illegittimita' costituzionale dell'art.  1, comma 16, della legge n. 335 del 1995, nella parte in cui non  esclude, dal divieto di applicazione delle disposizioni  sull'integrazione al minimo, l'assegno ordinario d'invalidita'  liquidato interamente con il sistema contributivo. 

18.- Restano assorbiti altri profili o questioni.

per questi motivi 

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di  questa sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 16, della legge 8  agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e  complementare), nella parte in cui non esclude, dal divieto di  applicazione delle disposizioni sull'integrazione al minimo,  l'assegno ordinario d'invalidita' liquidato interamente con il  sistema contributivo.  Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,  Palazzo della Consulta, l'11 giugno 2025.

F.to:  Giovanni AMOROSO, Presidente  Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Redattrice  Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2025

Il Direttore della Cancelleria  F.to: Roberto MILANA


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