REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

(2 marzo 2004 numero 2213)

sul ricorso in appello proposto da A.A. e D.L.V., rappresentati e difesi dall’avv. G.S., ed elettivamente domiciliati in Roma

contro

l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni - INAIL, rappresentato e difeso dall’avv. prof. V.C., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma,

per l'annullamento

della sentenza n. 2784 dell’1.12.1998 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sez. III, resa inter partes.

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’INAIL;

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Alla pubblica udienza del 2 marzo 2004, relatore il Consigliere Giuseppe Romeo, udite le parti

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

     1.- Con la sentenza impugnata, il TAR Lombardia ha respinto il ricorso degli istanti, definendo in senso negativo le richieste con questo avanzate: riconoscimento del diritto al computo nella retribuzione utile, ai fini del trattamento di previdenza e di quiescenza, della indennità di toga e delle quote degli onorari percepite nell’anno immediatamente precedente alle loro dimissioni (e non in base alla media di quelle percepite nel triennio precedente il quadrimestre in corso al momento delle dimissioni), nonché, nel solo trattamento di previdenza, della variabilità delle quote di onorario, e, per quanto riguarda l’avv. A., ai fini del trattamento di previdenza e di quiescenza, della maggiorazione stipendiale del 5% relativa alla indennità di coordinamento.

     Il primo giudice ha richiamato le censure dei ricorrenti in ordine alle modalità seguite dall’INAIL per la liquidazione dell’indennità di buonuscita e della pensione integrativa, e ha statuito che l’esclusione della indennità di toga e di coordinamento dalla base contributiva è legittima, dal momento che (dec. C. S., sez. VI, 25.3.1998 n. 384) un emolumento non può essere considerato di per sé utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza, solo perché la sua corresponsione avviene in forma fissa e continuativa. La fissità e la continuità sono modalità di corresponsione di una somma, che non consentono di definirne il carattere stipendiale (si pensi ad una somma corrisposta a titolo di lavoro straordinario standardizzato). Occorre – prosegue il primo giudice – un criterio interpretativo di ordine formale, giacché anche il concetto di retribuzione (la quale è diversa dallo stipendio) indica un insieme di voci che formano il trattamento economico complessivo, all’interno del quale ogni elemento ha una sua particolare significazione (per esempio, lo stipendio designa il solo corrispettivo per la prestazione di lavoro). In questo senso, è necessario verificare la disciplina specifica del trattamento integrativo, di cui al regolamento dell’INAIL (art. 5), secondo la quale le competenze a carattere fisso e continuativo sono computabili ai fini dell’indennità di fine rapporto e della pensione integrativa, soltanto se esse sono riconosciute utili con deliberazione del Consiglio di Amministrazione. In conseguenza – secondo il TAR – l’indennità di toga e quella di coordinamento non possono essere compresi nella base contributiva, atteso che non hanno carattere stipendiale e la loro utilità a tale fine non è stata formalmente riconosciuta con deliberazione del Consiglio di Amministrazione.

     Sulla variabilità della quota onorari compresa nel trattamento di previdenza, e sull’invocato adeguamento dinamico alla quota onorari percepita dal pari grado in attività di servizio, il TAR ha statuito che mancano, nella specie, quei provvedimenti generali, ai quali è demandata l’introduzione del meccanismo di variabilità della pensione integrativa, a seconda delle modificazioni dello stipendio del personale in servizio. Da ultimo, il TAR ha, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale richiamato, escluso che le quote degli onorari percepite nell’anno immediatamente precedente alle dimissioni possano essere comprese nella base contributiva (relativamente agli onorari occorre fare riferimento alla media rapportata a mese delle quote del citato emolumento erogate nell’ultimo triennio precedente la data di cessazione dal servizio, in coerenza con la regola generale fissata dall’art. 2121 c.c.).

     2.- Appellano gli interessati, chiedendo la riforma della sentenza impugnata. Resiste l’INAIL, il quale sostiene l’infondatezza dell’appello.

     3.- Il ricorso, parzialmente fondato, è stato trattenuto in decisione all’udienza del 2 marzo 2004.

     4.- Gli appellanti, dipendenti dell’INAIL con la X qualifica funzionale – ramo legale, cessati dal servizio per dimissioni volontarie nel giugno 1992 (avv. D.L.) e nel dicembre 1992 (avv. A.),  contestano la sentenza impugnata, con la quale è stato respinto il ricorso per l’accertamento del loro diritto alla rideterminazione del trattamento di pensione integrativa e dell’indennità di buonuscita, di cui al Regolamento di quiescenza e previdenza, approvato con D. M. 30.5.1969.

     Con il primo motivo, viene dedotta l’illegittimità dell’art. 5, seconda parte, del regolamento INAIL del 30.5.1969, in relazione agli artt. 24 e 31 del regolamento medesimo, nonché in relazione alla legge n. 88 del 1989 di ristrutturazione dell’INPS e dell’INAIL: il Consiglio di Amministrazione non sarebbe competente a riconoscere “altre eventuali competenze a carattere fisso e continuativo” come “utili ai fini del trattamento di previdenza e di quiescenza”.

     Con il secondo motivo, viene invece dedotta la illegittimità del mancato computo, ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza, dell’indennità di coordinamento a favore dell’avv. A., e del mancato computo dell’indennità di toga a favore di entrambi gli appellanti.

     5.- La richiesta dei ricorrenti non può essere accolta, nonostante debba darsi atto che la seconda parte del citato art. 5 del regolamento del 30.5.1969 è stata cancellata dall’esistente giuridico con la sentenza del TAR Lazio n. 1087 del 19.10.1981, non appellata. Di ciò non pare sia convinto l’INAIL, che continua a richiamare la vigenza del predetto art. 5 nella sua integrità, e lo stesso primo giudice, il quale lo ha  richiamato per sostenere la necessità di una deliberazione del Consiglio di Amministrazione che individui in modo specifico quali competenze fisse e continuative debbano essere considerate utili ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza.

     La questione non può essere risolta – come pretendono gli appellanti – sulla base della “natura retributiva” dei due emolumenti, i quali devono essere considerati quiescibili e pensionabili, a motivo del loro carattere fisso e continuativo.

     Non è dubbio, infatti, che ambedue gli emolumenti facciano parte della retribuzione, intesa quale insieme di una pluralità di voci che indicano il trattamento economico complessivo percepito dal dipendente, come non è dubbio che la fissità e la continuità sono solo modalità di corresponsione di una determinata somma, che di per sé non sono determinanti ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza, se non vi è un esplicito dato formale, che ne riconosca la pensionabilità.

     Sotto questo profilo, la mutilazione (ad opera della citata sentenza del TAR Lazio n. 1087/1981) che ha subito il predetto art. 5, nella parte in cui si attribuiva al Consiglio di Amministrazione il potere di definire quali “eventuali altre eventuali competenze di carattere fisso e continuativo” debbano essere considerate utili per il trattamento di quiescenza e di previdenza, rende inespressivo tale art. 5 ai fini che interessano.

     Se è stato statuito che il Consiglio di Amministrazione non ha il potere di definire “l’utilità degli assegni e delle altre competenze ai fini del trattamento di previdenza e di quiescenza”, ciò vuol semplicemente dire che la questione non può essere risolta con il richiamo dell’ultima parte del menzionato art. 5; il che, è cosa diversa dalla pretesa degli appellanti di leggere lo stesso art. 5, nel senso che è sufficiente la (indiscutibile) “natura retributiva” di un emolumento, unitamente al carattere di fissità e continuità, perché lo stesso venga considerato utile ai fini del trattamento in questione. Resta, infatti, la necessità di individuare un dato formale, che qualifichi l’emolumento fisso e continuativo come pensionabile.

     Nella specie, è certo che non sussiste un riconoscimento formale in questo senso, per cui l’indagine deve essere svolta con esclusivo riferimento alle disposizioni che hanno introdotto i due emolumenti, l’indennità di coordinamento e l’indennità di toga.

     Alla prima, istituita dall’art. 29 del D.P.R. 26.5.1976 n. 411, e maggiorata dall’art. 17, comma 5, del D.P.R. 8.5.1987 n. 267, non viene espressamente riconosciuto carattere stipendiale (l’indicazione è stata ribadita dall’art. 14, comma 16, del D.P.R. n. 43 del 13.1.1990); parimenti alla seconda, istituita dall’art. 14, comma 17,  del D.P.R. 13.1.1990 n. 43, non viene riconosciuto carattere stipendiale.

     Ora, la mancanza del carattere stipendiale elimina radicalmente la possibilità che tali emolumenti possano essere considerati utili ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza. Il primo, essenziale elemento che concorre, ai sensi dell’art. 5 del regolamento INAIL del 30.5.1969, alla definizione di “retribuzione”, utile per il trattamento di previdenza e di quiescenza, è la voce “stipendio”, alla quale si aggiunge la voce “eventuali assegni personali pensionabili”, e l’ulteriore voce “altre eventuali competenze di carattere fisso e continuativo”. Queste competenze fisse e continuative, una volta eliminato il potere del Consiglio di Amministrazione di riconoscerle “utili” ai fini che interessano, restano connotate da una valenza generica, in quanto prive del necessario requisito formale che le qualifichi quali elementi utili in grado di concorrere alla definizione della retribuzione, la quale, ai sensi dell’art. 5 del regolamento, individua espressamente gli elementi “pensionabili” che la compongono.

     In assenza, quindi, di un dato formale che valga a qualificare i due emolumenti come pensionabili, appare significativo il fatto che tali emolumenti non abbiano carattere stipendiale, pur facendo parte gli stessi della “retribuzione” (non potrebbero essere diversamente, dal momento che vengono percepiti), la cui composizione è data da tutte le voci (pensionabili e non) che formano il trattamento economico complessivo del dipendente.

     Una conferma ulteriore in questo senso è dato trarre (in modo esplicito per l’indennità di coordinamento) dall’art. 85, comma 3, del CCNL dell’11.10.1996 (invocato dagli appellanti), secondo il quale “l’indennità per incarichi di coordinamento di cui all’art. 72  è utile ai fini del trattamento di previdenza e di quiescenza”, con effetto dall’1.1.1994, data di decorrenza del contratto stesso.

     Questa previsione non giova agli istanti, collocati in pensione nel 1992, in quanto la stessa riconosce formalmente l’utilità dell’indennità di coordinamento ai fini di previdenza e assistenza a decorrere dall’1.1.1994, e, quindi, conferma che la medesima indennità, di cui all’art. 17, comma 5, del precedente Accordo di cui al D.P.R. n. 267 del 1987, non era computabile ai medesimi fini (parimenti irrilevante è il richiamo dei ricorrenti all’art. 83 del menzionato CCNL del 1996, che ha incluso l’indennità di toga “nella struttura della retribuzione”).

     6.- Con il terzo motivo, si censura il capo della sentenza impugnata, con cui si è statuito che la quota onorari, da considerare ai fini del trattamento di quiescenza, deve essere rapportata all’ammontare medio percepito nell’ultimo triennio, e non a quella percepita nell’ultimo anno di servizio, e, con il quarto motivo, si lamenta l’illegittimità formale e sostanziale della deliberazione n. 407 del 13.9.1982 (la quale dispone il calcolo della quota onorari sulla media degli onorari percepiti nell’ultimo triennio precedente il quadrimestre in corso alla data del collocamento a riposo), perché la stessa non è mai stata approvata dal Ministero.

     In effetti, bisogna dare atto agli appellanti che la menzionata deliberazione n. 407 del 1982 “non è stata rimessa per l’approvazione al Ministero del Tesoro, oltre che al Ministero del Lavoro” (si veda la decisione n. 2142 del 2001 di questa Sezione), sicché, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa dell’INAIL, la quale richiama la non perentorietà del termine di novanta giorni previsto per l’approvazione ministeriale ex art. 29 della legge n. 70 del 1975, la stessa non può considerarsi efficace.

     Nonostante ciò, la richiesta non può essere accolta, perché, alla stregua di un orientamento giurisprudenziale univoco sul punto, è stato riconosciuto carattere di principio generale, applicabile nella specie, all’art. 2121, comma 2, del c.c. (anche se si riferisce, nel testo attuale, al computo della sola indennità di mancato preavviso), al cui criterio di calcolo (media dell’ultimo triennio) appare conforme la disciplina regolamentare, e segnatamente gli artt. 24 e 31 (invocati dai ricorrenti) ove si fa riferimento alla “ultima retribuzione spettante” ai fini del calcolo della pensione diretta e dell’indennità di buonuscita, “perché definisce “l’ultima retribuzione” in relazione ad un elemento che non è fisso, ma variabile” (cfr. per tutte, C.S. n. 553 del 2004).

     Secondo questo orientamento, è proprio l’incertezza dell’emolumento (quota onorari) che giustifica un criterio di calcolo che, assumendo una base sufficientemente ampia (media degli ultimi tre anni) per definire la parte “non fissa” della retribuzione utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza, offre sicure garanzie al dipendente, che, diversamente, sarebbe esposto agli squilibri dovuti all’accidentalità dei compensi percepiti a tale titolo in un solo anno.

     7.- Da ultimo, gli appellanti lamentano (quinto motivo) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, del regolamento INAIL del 30.5.1960, in relazione alla variabilità della quota onorari ai soli fini del trattamento di previdenza.

     Il motivo è fondato.

     Sulla questione vi è una copiosa giurisprudenza (da ultimo, C.S. n. 553 del 2004), la quale ha statuito che il significato del termine “provvedimenti generali”, di cui all’art. 30 del citato regolamento INAIL (il quale stabilisce che ”ove con provvedimenti di carattere generale siano apportate variazioni nelle retribuzioni pensionabili del personale in servizio, le pensioni a carico del Fondo in corso di godimento sono riliquidate assumendo come base la nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione in cui l’impiegato si trovava all’atto della cessazione del servizio”), non può essere avulso dal contesto della norma in cui esso è collocato e da tale norma si evince agevolmente come la riliquidazione del trattamento integrativo debba operare anche in relazione ad aumenti retributivi che interessano in via generale specifiche categorie di dipendenti.

     Sicché, in conformità di tale univoco orientamento giurisprudenziale, deve riconoscersi fondata la richiesta degli appellanti, nel senso che ogni variazione della quota onorari percepita dal personale in servizio impone la riliquidazione della pensione percepita dai parigrado in pensione. Ciò ovviamente, sino al 31 dicembre 1997, in quanto l’art. 59, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 ha eliminato – come esattamente osservato dagli stessi appellanti – l’adeguamento automatico dei trattamenti pensionistici alla variazione delle retribuzioni del personale in servizio, con decorrenza dal 1 gennaio 1998.

     L’appello va, pertanto, accolto limitatamente alla parte in cui viene riconosciuto il diritto degli appellanti di ottenere, ai soli fini del trattamento di previdenza, la variazione, sino al 31.12.1997, della quota onorari in relazione a quella percepita dai parigrado in servizio, con conseguente condanna dell’INAIL alla corresponsione dei relativi importi, maggiorati da rivalutazione e interessi legali da ogni scadenza al soddisfo ai sensi dell’art. 16, 6° comma, della legge n. 412 del 30 dicembre 1991. Per la restante parte, l’appello va, invece, respinto.

     Le spese e gli onorari di servizio possono essere compensati.   

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie l’appello in epigrafe nei limiti e nei sensi di cui in motivazione. Compensa le spese.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma, il 2 marzo 2004 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:

    

Mario Egidio SCHINAIA    Presidente

Giuseppe ROMEO     Consigliere Est.

Domenico CAFINI     Consigliere

Francesco CARINGELLA    Consigliere

Roberto CHIEPPA     Consigliere 

 

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