REPVBBLICA ITALIANA
LA CORTE DEI CONTI
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Visto il ricorso in materia pensionistica iscritto al n. 9802/PC del registro di Segreteria;
Vista la fissazione dell'udienza di discussione per il giorno 2 febbraio 2005;
Rilevato, nell'udienza del 2 febbraio 2005, che non sono rappresentate in giudizio le parti;
Visti gli atti di causa;
ha pronunciato
(Sentenza 60/2005)
nel giudizio instaurato con il ricorso in premessa, proposto da V.U. - avverso il decreto del Ministero dell'Interno/Dipartimento della Pubblica Sicurezza n.5222 dell'11.11.1994.
FATTO
Con l'impugnato decreto in epigrafe, il Ministero dell'Interno/Dipartimento della Pubblica Sicurezza, ha provveduto alla riliquidazione del trattamento pensionistico del signor V.U. - ex appuntato di P.S. cessato dal servizio il 3.12.1963 - in applicazione dell'art.3, comma 2, del decreto-legge n.409 del 22.12.1990, convertito con modificazioni, nella legge n.59 del 1991.
Con il ricorso in esame, parte attrice contesta le modalità della suddetta riliquidazione - avvenuta in applicazione di criteri indicati da circolari della Ragioneria Generale dello Stato/IGOP - ritenendo in sostanza che “i miglioramenti dettati dalla legge n.59/1991 vanno aggiunti ai trattamenti già in essere al 2.1.1985”, ossia senza procedere “all'assorbimento dei benefici già attribuiti con la legge n.141 del 1985”; chiedendo, in via subordinata, la sottoposizione al vaglio del Giudice costituzionale, dell'art.3, comma 2, della legge n.59 del 1991.
Con relazione illustrativa del 10.5.2004 il resistente Ministero ha precisato di essersi attenuto alle istruzioni impartite in materia dal Ministero del Tesoro/Ragioneria Generale dello Stato/IGOP con circolari n.41/1991 e n.42/1992, considerando quale base pensionabile ai fini della riliquidazione pensionistica, l'inquadramento stipendiale dell'interessato in relazione al grado rivestito ed alla relativa anzianità, secondo le previsioni di cui alla legge n. 432 del 1981.
DIRITTO
L'art. 3, comma 2, del d.l. 22 dicembre 1990, n. 409, convertito in legge 27 febbraio 1991, n. 59 - ha previsto che i trattamenti pensionistici dei dipendenti pubblici, cessati dal servizio anteriormente alle date di decorrenza giuridica dell'inquadramente nei livelli retributivi fissate dalla legge n.312 del 1980 (come nel caso del ricorrente, collocato a riposo nel 1963 ), fossero riliquidati con decorrenza economica dal 1° luglio 1990 e con l'attribuzione dei benefici economici previsti dall'art. 7 della l. 17 aprile 1985, n. 141, e dall'art. 1 della l. 23 dicembre 1986, n. 942.
Il richiamato art. 7 della l. 17 aprile 1985, n. 141 ( recante: Perequazione dei trattamenti pensionistici in atto dei pubblici dipendenti), a sua volta prevedeva - per il personale inquadrato nei livelli retributivi a norma degli artt. 4, 46, 101 e 140 della legge n. 312 del 1980, collocato a riposo dalle date di decorrenza giuridica della predetta legge ed avente titolo al riconoscimento della anzianità pregressa a norma dell'art. 152 della legge medesima - la riliquidazione del trattamento pensionistico “……con decorrenza economica dal 1° gennaio 1986, secondo le norme contenute nel decreto-legge 28 maggio 1981, n. 255, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 1981, n. 391, e nel decreto-legge 6 giugno 1981, n. 283, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 1981, n. 432.”.
Il pure richiamato art. 1 della l. 23 dicembre 1986, n. 942 ( che reca integrazioni all'art. 7 della legge n. 141/1985 ), dopo aver stabilito, al comma 1, che “Le disposizioni di cui all'art. 7 della legge 17 aprile 1985, n. 141, si estendono a tutto il personale civile e militare dello Stato, compreso quello delle aziende autonome, inquadrato nei livelli retributivi….”, dispone espressamente, al comma 4, che “I benefici previsti dal presente articolo assorbono gli aumenti conseguiti in precedenza sulla voce pensione….”.
In sostanza, attraverso la previsione di cui al comma 2 dell'art. 3 della legge n. 59/1991, si è attuato un generale provvedimento di riliquidazione pensionistica ( successivo a quello di cui all'art.7 della legge n.141 del 1985) da attuarsi in concreto attraverso singoli provvedimenti di rideterminazione stipendiale, con inquadramento degli interessati - ai sensi della legge n.312 del 1980 - nei livelli retributivi di appartenenza e con valutazione delle relative anzianità pregresse.
La relativa procedura applicativa è stata orientata dalle istruzioni impartite in materia dal Ministero del Tesoro/Ragioneria Generale dello Stato/IGOP con circolari n.41/1991 e n.42/1992, cui l'amministrazione dell'Interno si è nella specie attenuta.
Al riguardo, si osserva che proprio la suddetta ricostruzione del trattamento stipendiale - operata in applicazione della legge n.432 del 1981, ed in esecuzione delle richiamate istruzioni ministeriali - non ha mancato di considerare che l'importo pensionistico spettante al 1°.2.1981 debba essere maggiorato delle perequazioni automatiche, virtualmente calcolate, intervenute dal 1°.2.1981 al 31.12.1989; circostanza che rende di per sé evidente la ragionevolezza del ( contestato dal ricorrente ) principio del riassorbimento degli aumenti accordati in precedenza sulla voce pensione dalla legge n141 del 1985 e dalla legge n544 del 1988; siccome esattamente precisato dal richiamato art.1 comma 3 della legge n.942 del 1986, che toglie comunque definitivamente pregio alle pretese attoree.
Quanto, infine, alla generica prospettazione di illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, della legge in questione, basti ricordare che detto articolo ha superato il vaglio costituzionale con la sentenza (citata dallo stesso ricorrente) n. 226 del 1993, nel senso che il Giudice costituzionale anche in tale occasione non ha mancato di affermare che “la scelta in concreto del meccanismo di perequazione è riservata al legislatore chiamato ad operare il bilanciamento tra le varie esigenze nel quadro della politica economica generale e delle concrete disponibilità finanziarie… non senza tener conto che - secondo la giurisprudenza della Corte…nel vigente sistema pensionistico, ispirato anche al principio solidaristico, non è richiesta una rigorosa corrispondenza tra contribuzione e prestazione previdenziale, con il limite, però, della ragionevolezza…”.
Per le suesposte considerazioni la prospettata questione di costituzionalità dell'art. 3 della legge n. 59 del 1991 si palesa manifestamente infondata.
Sussistono tuttavia motivi apprezzabili per dichiarare compensate le spese di giustizia.
Per Questi Motivi
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
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RESPINGE
il ricorso in epigrafe, proposto da V.U..
Spese compensate.
Così deciso in Firenze, nell'udienza del 2 febbraio 2005.
IL GIUDICE
F.to Consigliere Enrico Torri
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 17/02/2005