Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale Regionale
Puglia, Giud. Un. Raeli, 26 gennaio 2005, n.70 – X c. Ministero della Difesa.
( Omissis ) Il ricorrente chiede la
perequazione del trattamento pensionistico sulla base dei miglioramenti
economici conferiti al personale di pari qualifica in attività di servizio,
secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 501 del
1988 .
Con ordinanza emessa nella pubblica udienza del 30
gennaio 2002, questo Giudice ha disposto l’accertamento di quale entità sia, in
termini monetari e percentuali, lo scostamento tra il trattamento pensionistico
del ricorrente ed il trattamento economico del personale in servizio di pari
qualifica, a partire dalla data di collocamento a riposo.
Il Comando in Capo del Dipartimento Militare
Marittimo dello Jonio e del Canale d’Otranto – Ufficio Pensioni ha trasmesso in
data 17 gennaio 2002 varia documentazione riguardante la posizione
pensionistica del ricorrente e in data 23 agosto 2003 , in ottemperanza della
ordinanza emessa nella pubblica udienza del 30 gennaio 2002, un prospetto
riepilogativo delle differenze - nel periodo 1.7.1977/31.1.2002 - tra
trattamento pensionistico del ricorrente e trattamento economico del personale
in servizio, oltre varia documentazione.
Dai dati trasmessi, si evince che il ricorrente ha
percepito nel periodo considerato un trattamento pensionistico pari a €.
111.900,97 a fronte di uno “ stipendio spettante teorico “ ( id es,
trattamento economico del personale in servizio di pari qualifica e anzianità )
di €. 139.581,93, con conseguente divario di £. 27.680,96 e scostamento del
24.7370 %.
All’odierna udienza le cause sono state riunite ai
sensi dell’art. 274 c.p.c., reso applicabile ex art. 26 R.D. 1038/1933 ai
giudizi pensionistici innanzi alla Corte dei conti.
Le odierne cause ripropongono, infatti, la
questione della vigenza nell’ordinamento del principio di automatico
collegamento della misura delle pensioni al trattamento retributivo del
personale in servizio
Il suddetto principio non è, in effetti, contenuto
in alcuna espressa disposizione legislativa che lo sancisca in termini
generali, ma viene di volta in volta invocato quando si ponga per una categoria
di pubblici dipendenti la necessità di uno speciale adeguamento del trattamento
di quiescenza, in relazione ad una dinamica salariale del personale in servizio
che venga a discostarsi in misura notevole dai valori economici precedentemente
attribuiti e sui quali veniva calcolato il trattamento di quiescenza.
La Corte costituzionale ( sent. n. 409 del 1995 )
ha avuto occasione di affermare che i modi attraverso i quali perseguire
l’obiettivo dell’aggiornamento delle pensioni dei pubblici dipendenti possono
essere, in via di principio, o la riliquidazione ( allineamento delle pensioni
al trattamento di attività di servizio di volta in volta disposto con apposita
legge ) o la c.d. “ perequazione automatica “ consistente in un meccanismo
normativamente predeterminato, che adegui periodicamente i trattamenti di
quiescenza agli aumenti retributivi intervenuti mediamente nell’ambito delle
categorie del lavoro dipendente.
E’ certo, comunque, che solo in casi particolari il
legislatore ha ritenuto di agganciare automaticamente la pensione allo
stipendio, dettando apposite disposizioni ( cfr. art. 2, comma 2°, L. 27
ottobre 1973 n. 629, recante nuove disposizioni per le pensioni privilegiate
ordinarie in favore dei superstiti dei caduti nell’adempimento del dovere,
appartenenti ai Corpi di Polizia ).
Va in proposito ricordato che la Sezione III
Giurisdizionale Pensioni Civili, con decisione n. 49970 del 12 maggio 1982, si
era in origine espressa nel senso che l’articolo 11 della L. 24 maggio 1951 n.
392 avesse introdotto nell’ordinamento il principio dell’adeguamento permanente
delle pensioni del personale di magistratura alle retribuzioni dei pari grado
in servizio, senza bisogno di appositi provvedimenti legislativi.
Le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, ritenuto
che detta norma non avesse valore di disposizione a carattere generale intesa a
tale automatico e permanente adeguamento pensionistico, con ordinanza n. 104
del 24 giugno 1985 avevano investito la Corte costituzionale della questione di
legittimità costituzionale della normativa nel frattempo intervenuta, che non
prevedeva criteri atti a garantire trattamenti pensionistici proporzionati alla
quantità e qualità del lavoro prestato.
Con sentenza n. 501 del 21 aprile/5 maggio 1988 la
Corte costituzionale, preso atto del cospicuo divario che, per il personale di
magistratura, si era verificato tra pensioni e retribuzioni a seguito della L.
6 agosto 1984 n. 425 dopo avere affermato “ l’esigenza di un costante adeguamento
“ dei due trattamenti, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale
degli articoli 1, 3 comma 1 e 6 della L. 17 aprile 1985 n.141 nella parte in
cui avevano disposto rivalutazioni percentuali invece di assicurare
l’adeguamento attraverso una apposita riliquidazione, con decorrenza 1° gennaio
1988, delle pensioni dei soggetti esclusi dai nuovi stipendi perché collocati
in quiescenza anteriormente al 1° luglio 1983.
A seguito dei detta sentenza, alcuni magistrati,
avendo già beneficiato della riliquidazione sulla base del trattamento
spettante in applicazione della L. n.425/1984, chiesero l’ulteriore adeguamento
automatico della loro pensione, come sopra liquidata, alle successive
variazioni del trattamento di attività ottenute dai pari grado alle date del 1°
gennaio 1989 e 1° gennaio 19990, nonché il riconoscimento del diritto
all’adeguamento permanente in relazione ad ulteriori aumenti futuri, per
effetto del meccanismo di incremento costante previsto dall’articolo 2 della L.
19 febbraio 1981 n. 27.
La giurisprudenza di questa Corte ( SS.RR.14
novembre 1988 n. 76/c ; Sezione del controllo 17 novembre 1988 n. 2021; Sezione
III Giurisdizionale Pensioni Civili, nn. 62911, 62912 e 62913 del 20 marzo 1989
) si pronunciò inizialmente in senso favorevole ai ricorrenti.
Secondo tale giurisprudenza si era sostanzialmente
instaurato un meccanismo di aggancio automatico e perenne tra pensioni e
stipendi dei magistrati.
Successivamente, però, la stessa Sezione III
Giurisdizionale Pensioni Civili, con ordinanza del 21 maggio 1990, constatata
l’esistenza di un vuoto legislativo che legittimasse tale principio, denunciava
l’illegittimità costituzionale della norma di cui all’articolo 2 della L. 19
febbraio 1981.
La Corte costituzionale, non condividendo la prospettata
questione di legittimità costituzionale, con ordinanza n. 95 dell’11/16
febbraio 1991 ne dichiarava la manifesta inammissibilità, rilevando che “ una
sentenza atta ad innestare nella normativa pensionistica n meccanismo di
adeguamento periodico concepito per il personale di servizio “, comportando
varietà di scelte e molteplicità di implicazioni, sarebbe stato il risultato di
attività “ certamente estranea al sindacato di costituzionalità e viceversa
propria del legislatore”.
Il legislatore interveniva qualche mese dopo, con
la L. 8 agosto 1991 n. 265, sottoposta, come è noto al vaglio della Corte
costituzionale in più riprese e sotto diversi profili di incostituzionalità.
Con sentenza n. 42 del 28 gennaio/10 febbraio 1993
la Corte costituzionale affermava che “ il legislatore, nell’escludere dalla
riliquidazione delle pensioni l’applicabilità del meccanismo di adeguamento
aveva esercitato una discrezionalità sua propria “, volendo limitare gli
effetti dello stesso nell’ambito esclusivo del trattamento stipendiale per il
quale era stato concepito.
Nel ribadire che esula dai limiti del controllo di
legittimità l’operazione additiva consistente in una mera trasposizione
dell’istituto nel settore pensionistico ( dichiarando, quindi, inammissibile la
sollevata questione di legittimità costituzionale ) la Corte osservava tuttavia
che “ la radicale opzione nel senso di cristallizzare la riliquidazione alle
misure stipendiali dal 1° luglio 1983, senza alcun conto, neppure parziale,
degli adeguamenti, né prima né dopo “ non può non prospettarsi come fattore
di nuove e ulteriori divaricazioni tra pensioni e stipendi, rappresentando
l’ipotesi che nel medio periodo l’andamento delle retribuzioni finirà per
discostarsi dalle pensioni “ ben al di là di quel ragionevole rapporto di
corrispondenza, sia pure tendenziale ed imperfetto “ a suo tempo richiesto
dalla stessa Corte ai sensi degli articoli 3 e 36 della Costituzione, con la
ovvia conseguenza che le considerazioni svolte nella sentenza n, 501 del 1988 a
proposito dell’omesso calcolo delle anzianità pregresse ben potrebbero alla
mancata previsione di un qualsivoglia meccanismo di raccordo tra variazioni
retributive indotte dagli aumenti del pubblico impiego e computo delle
pensioni, così determinando l’esigenza di un riesame della questione di
costituzionalità ( 2un riesame della questione di costituzionalità si
sarebbe reso necessario ove nel futuro la divaricazione fra stipendi e pensioni
si discostasse da un ragionevole rapporto di corrispondenza “ ).
Successivamente, con sentenza n. 409 del 20/27
luglio 1995, la Corte costituzionale dichiarava ancora una volta non fondate o
manifestamente infondate alcune questioni sollevate dalla sezione
Giurisdizionale Sicilia e dalla Sezione Giurisdizionale Lazio, e pur riaffermando
il principio costituzionale di proporzionalità ed adeguatezza della pensione,
da garantire non soltanto con riferimento al momento del collocamento a riposo
ma anche in prosieguo, in relazione alle variazioni del potere di acquisto
della moneta, rilevava che all’attualità ( e, quindi, nel 1995 ) tutto ciò
appare assicurato dai meccanismi perequativi e rivalutativi esistenti,
ribadendo che spetta al legislatore ragionevolmente soddisfare nel tempo detta
esigenza ed escludendo che questo comporti inderogabilmente un costante e
periodico allineamento delle pensioni al corrispondente trattamento di attività
di servizio.
Inoltre, con ordinanza n.531 del 6/18 dicembre
2002, la Corte costituzionale interveniva nuovamente sul tema, investita dalla
Sezione Giurisdizionale Regionale Puglia, riaffermando i suddetti principi e,
in particolare, che spetta al legislatore determinare le modalità di attuazione
del principio sancito dall’articolo 38 della Costituzione - con riguardo al “
bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali
coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi
necessari per far fronte agli impegni di spesa…con il limite comunque di
assicurare “ la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona “ (
sentenza n. 457 del 1998 )” e aggiungendo qualcosa di più: e cioè, che “
l’esigenza di adeguamento delle pensioni alle variazioni del costo della vita è
assicurata attraverso il meccanismo della perequazione automatica del
trattamento pensionistico ( attualmente disciplinato dal d.lgs. 30 dicembre
1992 n. 503 “…. )”.
Tale meccanismo di adeguamento al costo della vita
è stato considerato dalla Corte costituzionale, con sentenza n.30 del 13/23
gennaio 2004, emessa su rimessione della Sezione Seconda Giurisdizionale
Centrale, idoneo ad assicurare il rispetto dell’articolo 36 della Costituzione,
e la sua validità è stata ribadita con la recente ordinanza n. 383 dell’1/14
dicembre 2004, nella quale è stata respinta la questione di legittimità costituzionale
– sollevata dalla sezione Giurisdizionale Regionale Calabria - della mancata
previsione, ad opera della L. 141 del 1985, della riliquidazione del
trattamento pensionistico dei pubblici dipendenti collocati a riposo, a far
data dal 1° gennaio 1988.
Sulla base di quanto sopra, la giurisprudenza
costante della Corte dei conti è nel senso della inesistenza, nell’ordinamento
giuridico italiano, di un principio di adeguamento automatico delle pensioni
alle retribuzioni ( cfr., ad es., Sez. Reg. Lombardia 20 novembre 2002 n. 1906
) .
Ciò premesso, deve precisarsi che la costruzione
giurisprudenziale della inesistenza di un principio costituzionale che
garantisca il costante adeguamento delle pensioni al successivo trattamento
economico dell’attività di servizio risente dell’influenza esercitata in
subjecta materia dalle decisioni emesse dalla Corte costituzionale, che
appartengono alla tipologia delle decisoni di rigetto.
Tale tipo di decisioni non pone particolari
problemi, a differenza delle decisioni interpretative di rigetto,
contraddistinte dall’inserimento nel dispositivo delle parole “ nei sensi in
motivazione “, formula con la quale si intende esprimere il carattere
condizionale della sentenza e la portata di “ doppia pronuncia “ che essa
assume.
In relazione a queste ultime, infatti, si è acceso
recentemente il conflitto fra la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale
in ordine al problema della loro efficacia.
Hanno affermato, infatti, le Sezioni Unite penali,
con la sentenza del 17 maggio 2004 n. 23016, il seguente principio di diritto: “
Le decisoni interpretative di rigetto della Corte costituzionale non hanno
efficacia erga omnes, a differenza di quelle dichiarative dell’illegittimità
costituzionale di norme, e pertanto determinano solo un vincolo negativo per il
giudice del procedimento in cui è stata sollevata la relativa questione “.
L’occasione è stata offerta dalla interpretazione –
contrastata da molti giudici di merito e dalla stessa Cassazione - secondo cui
l’articolo 303, comma 2°, del c.p.p. non è in contrasto con il dettato
costituzionale. Si tratta della norma secondo cui, in caso di regresso del
processo, per l’imputato detenuto ricominciano a decorrere i termini della fase
della custodia cautelare. Norma che la Consulta ha ritenuto costituzionale con
la sentenza n. 292 del 1998, che è interpretativa di rigetto, come le
successive ordinanze, con le quali è stata dichiarata la infondatezza ( n.
429/1999 ) o la inammissibilità ( n. 243/2003, n. 335/2003, n.59/2004 ) delle
medesime questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici di
merito.
Osservano le Sezioni Unite penali, nella sentenza
n. 23016/2004 cit., che “ L’autonomia e l’indipendenza del giudice
nell’interpretazione della legge sono presidiate, a loro, volta dalla garanzia
apprestata dalla specifica previsione dell’articolo 101, comma 2, Costituzione,
dalla quale direttamente deriva la rigida tutela di un tale potere da possibili
interferenze e condizionamenti esterni…” e che “…l’autonomia
riconosciuta dalla Costituzione ad ogni giudice non riguarda soltanto le
operazioni ermeneutiche aventi ad oggetto leggi ordinarie ed atti con forza di
legge, ma si estende al contenuto e alla portata delle disposizioni
costituzionali, che si inseriscono nell’ordinamento come norme-principio,
conformando i lineamenti del sistema e ponendosi quali imprescindibili
parametri di riferimento nell’interpretazione delle disposizioni che lo
costituiscono “.
Condividendo l’orientamento della Corte di
Cassazione, rivendica questo Giudice a sé il compito di interpretare in modo
autonomo ed indipendente le norme costituzionali in materia pensionistica (
artt. 36 e 38 ) - a maggior ragione , come nel caso in esame , in presenza di
una interpretazione della Corte costituzionale espressa attraverso decisioni (
mere ) di rigetto, che non vincolano il giudice - giungendo ad affermare la
vigenza nel nostro ordinamento di un principio di collegamento delle pensioni
alla dinamica delle retribuzioni del settore pubblico sulla base della
applicazione diretta degli artt. 36 e 38 della Costituzione.
Come è noto, nella Costituzione italiana non esiste
una previsione espressa della applicazione diretta dei diritti costituzionali
nei rapporti intersoggettivi, corrispondente al § 3 dell’art. 1 della legge fondamentale
( Grundgesetz ) della Repubblica federale tedesca del 1949 , anche se
questa efficacia diretta orizzontale - la c.d. drittwirkung – è
stata ormai riconosciuta dalla Corte costituzionale ( ad es., nelle sentt.
122/1970 e 88/1979 in tema di diritto alla salute, considerato suscettibile di
fondare direttamente la pretesa del lavoratore di ottenere il risarcimento del
danno determinato dalle condizioni di lavoro nell’impresa; nelle sent. 156/1971
e 177/1984, in tema di diritto del lavoratore ad una retribuzione minima, ex
art. 36 cost. ), nonché dalla Corte dei Cassazione ( in tema di contratti:
n.10511/1999; in tema di risarcimento del danno da lesione di interesse
legittimo: n. 4083/1996 e n.500/1999; in tema di risarcimento del danno alla
persona: n.7713/2000 , n.8828/2003 e 233/2003; in tema di sequestro penale: n.
3572/1995; in tema di diritto alla salute: n. 3870/1994) e dalla dottrina.
Nel quadro della giurisprudenza costituzionale, non
solo non è dato rinvenire alcuna affermazione in contrasto con la c.d. drittwirkung
dei giudici, ma plurime sono addirittura le pronunzie a quella applicazione
diffusa dei precetti costituzionali danno invece impulso.
La posizione della Corte nei riguardi dell’istituto
in esame si esprime in particolare : a) dando l’istituto stesso per presupposto
e facendovi richiamo come dato complementare di disciplina di determinate
materie ( n.333/1991 ); b) esortando anzi i giudici a farne applicazione ( n.
34/1973 ); c) rimarcandone addirittura la necessità in determinati contesti
normativi ( n.184/1986 ); d) rimovendo, infine, ostacoli, frapposti dal
legislatore ordinario, alla sua operatività ( n. 313/1990 )
Un principio equivalente a quello della c.d. drittwirkung
è peraltro ricavabile per implicito dall’incipit dell’articolo 2 della
Costituzione italiana, per cui “ la Repubblica garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo “ ( cfr., Cass. 20 aprile 1994 n.3775 ).
Staccandosi dal piano puramente concettuale, ci si
accorge che l’utilizzo della applicazione diretta ( cfr., di recente, Corte
cost. n. 512/2002 ) presuppone una concezione della Costituzione vista non
soltanto in posizione di difesa nei riguardi di interventi positivi del
legislatore ma come atto normativo idoneo a soddisfare in modo diretto, senza
la necessaria intermediazione legislativa, la domanda di giustizia che proviene
dalla società.
La Corte costituzionale, data la natura di
retribuzione differita che deve riconoscersi al trattamento pensionistico, ha
costantemente affermato il principio della proporzionalità della pensione alla
quantità e qualità del lavoro prestato, nonché della sua adeguatezza alle
esigenze di vita del lavoratore della sua famiglia, nel pieno rispetto
dell’art. 36 Cost. ( sentenze n. 243 del 1992; n. 96 del 1991; n. 501 del 1988;
n. 173 del 1986; n. 26 del 1980 e n. 124 del 1968 ) e tuttavia ha altrettanto
costantemente affermato che non esiste un principio costituzionale che possa
garantire l’adeguamento costante delle pensioni agli stipendi, spettando alla
discrezionalità del legislatore determinare le modalità di attuazione del
principio sancito dall’art. 38 Cost. sulla base di un “ ragionevole
bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali
coinvolti (…) compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità
delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per farvi fronte ai relativi
impegni di spesa “ ( sentenza n. 119 del 1991 ) - nello stesso senso, cfr.
ordinanza n. 531 del 2002 e sentenze n. 457 del 1998 e n. 226 del 1993 - ma con
il limite, comunque, di assicurare “ la garanzia delle esigenze minime di
protezione della persona “ ( sentenza n. 457 del 1998 ).
La stessa Corte costituzionale ha, comunque,
affermato che l’eventuale verificarsi di un irragionevole scostamento tra i due
trattamenti può costituire un indice della non idoneità del meccanismo scelto
dal legislatore ad assicurare la sufficienza della pensione in relazione alle
esigenze del lavoratore e della sua famiglia ( sentenze n. 409 del 1995 e n.
226 del 1993 ) .
Orbene, secondo dati ufficiali che sono comparsi
sulla stampa nazionale ( cfr. “ La Repubblica “ dell’8 marzo 2004 ), un
quarto dei pensionati italiani si è drasticamente impoverito a causa
principalmente della abolizione del meccanismo della indicizzazione piena
all’inflazione e dello sganciamento delle pensioni dalla dinamica salariale, a
partire dal 1992.
Un esempio numerico, che per comodità di
comprensione è tracciato in vecchie lire, indica che una pensione che nel 1987
ammontava a 13 milioni di lire lorde annue, nel 2004 è arrivata a 25 milioni e
900 mila lire. Se la pensione si fosse rivalutata completamente, tenendo conto
dell’aumento totale della inflazione nel corso dei 18 anni in questione,
avrebbe raggiunto i 26 milioni e 200 mila lire. Durante i 18 anni in questione,
dunque, la perdita è stata di 3 milioni e 152 mila lire.
Che il problema esista si sono rese conto le forze
politiche rappresentate in Parlamento, in quanto risulta presentata il 18
novembre 1998 la proposta di legge n. 5418 ( “ Disposizioni in materia previdenziale
“)
Nella presente situazione delle pensioni del
settore pubblico, pertanto, sembra non si possa individuare più l’esercizio di
una discrezionalità legislativa nell’attuare – sia pur variamente –
l’adeguamento costante tra i due tronconi del trattamento retributivo ( quello
di attività e quello pensionistico ) ma che si debba parlare di una completa
negazione di quel principio di “ solidarietà “ tra lavoratori e pensionati, cui
si deve affiancare una solidarietà più ampia dell’intera collettività, come
argomenta la sentenza costituzionale n. 226/1993; si tratta di principi che -
aggiunge la sentenza –se non richiedono una rigorosa corrispondenza tra
contribuzioni e prestazioni previdenziali esigono però un limite di
ragionevolezza nel legiferare che sembra nella specie del tutto obliterato, non
essendoci più alcuna commisurazione delle pensioni agli stipendi.
Né può essere dimenticato che se è vero – come la
Corte costituzionale ha più volte rilevato – che il legislatore deve farsi
carico della non illimitatezza delle risorse finanziarie, è anche vero che
dalla natura retributiva del trattamento di quiescenza sembrano derivare
conseguenze non trascurabili ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione.
In applicazione, quindi, degli articoli 36 e 38
della Costituzione ritiene questo Giudice, per le considerazioni sopra
espresse, che debba essere affermato il diritto del ricorrente alla
riliquidazione del trattamento pensionistico da parte dell’I.N.P.D.A.P., con
aggancio ai miglioramenti economici concessi al personale di pari qualifica ed
anzianità in attività di servizio, con decorrenza dal collocamento a riposo,
Ciò premesso, va riconosciuto il diritto del Sig. X
alla corresponsione della complessiva somma di € 27.680,96 pari alla
differenza tra quanto percepito come trattamento pensionistico nel periodo
1977/2002 e quanto gli sarebbe spettato ove in servizio nello stesso periodo.
Sulle somme in tal senso dovute spettano gli
interessi legali e la rivalutazione monetaria, con decorrenza dalla scadenza
legale di ciascun rateo.
A partire dal 2003 il trattamento pensionistico
dovrà essere rideterminato dall’Amministrazione, secondo quanto sopra indicato,
in modo che il ricorrente usufruisca dei miglioramenti economici concessi al
personale in servizio di pari qualifica ed anzianità.
Sussistono giusti motivi per disporre la
compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie i ricorsi, previa riunione, nei sensi in
motivazione, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nella misura di
legge.
Spese compensate.
IL GIUDICE ( Dott. Vittorio Raeli )
Depositata il 26 gennaio 2005.