LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L


Sentenza 8 luglio 2013,  n. 16972


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           

Dott. LA TERZA  Maura                        -  rel. Presidente   - 

Dott. FILABOZZI Antonio                           -  Consigliere  - 

Dott. MANNA     Antonio                           -  Consigliere  - 

Dott. GARRI     Fabrizia                          -  Consigliere  - 

Dott. MAROTTA   Caterina                          -  Consigliere  - 


ha pronunciato la seguente: ordinanza                                      


sul ricorso 16353/2011 proposto da:


INPS - ricorrente -


contro


G.C.  - controricorrente -


avverso la sentenza n. 1185/2010 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA del 16.12.2010, depositata il 07/04/2011;

udita  la relazione della causa svolta nella camera di consiglio  del 13/05/2013 dal Presidente Relatore Dott. MAURA LA TERZA;

udito  per  il ricorrente l'Avvocato Mauro Ricci che si riporta  agli scritti;

E'  presente il Procuratore Generale in persona del Dott.  COSTANTINO FUCCI che si riporta alla relazione scritta.

                

FATTO E DIRITTO


Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Bologna accoglieva la domanda proposta da G.C. di inesistenza dell'indebito che, secondo la tesi dell'Inps, si sarebbe formato per superamento, nell'anno 2004, del limite di reddito prescritto per godere della pensione di inabilità civile di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12, ritenendo la Corte territoriale che tra i redditi da prendere in considerazione non andasse computato quello della casa di abitazione.

Di questa sentenza l'INPS domanda la cassazione sulla base di un unico articolato motivo.

La G. resiste con controricorso.

Con l'unico motivo l'Inps, denunziando violazione del D.L. n. 663 del 1979, art. 14 septies, convertito in L. n. 33 del 1980, sostiene che il reddito della casa di abitazione si computa ai fini del limite reddituale per le prestazioni di invalidità civile.

Letta la relazione resa ex art. 380 bis c.p.c., di manifesta infondatezza del ricorso;

Letta la memoria adesiva della G.;

Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili;

Infatti il ricorso è manifestamente infondato.

La L. n. 114 del 1974, art. 8, di conversione del D.L. n. 30 del 1974, (Condizioni economiche per le provvidenze ai mutilati e invalidi civili) stabiliva che le condizioni economiche per la concessione sia della pensione di cui all'art. 12 legge 118/71, sia per l'assegno di cui all'art. 13, fossero quelle previste dall'art. 3, della stessa legge per la concessione della pensione sociale.

Indi la L. n. 114 del 1974, art. 3, di conversione del D.L. n. 30 del 1974, concernente la pensione sociale, dopo avere condizionato il diritto a pensione sociale a determinati limiti di reddito prevedeva che "dal computo del reddito suindicato sono esclusi gli assegni familiari e la casa di abitazione.

E' vero poi che il D.L. n. 663 del 1979, art. 14 septies, conv. in L. n. 33 del 1980, al comma 4, ha elevato i limiti di reddito di cui al citato D.L. n. 30 del 1974, art. 3, convertito in L. n. 114 del 1974, ma non ha per nulla modificato quella parte di quest'ultimo articolo, che escludeva il reddito della casa di abitazione ai fini del limite di legge. In altri termini, l'elevazione, per tener conto della svalutazione intervenuta nelle more, del limite reddituale non ha però travolto la specifica disposizione che escludeva appunto dal computo la casa di abitazione, facendo rinvio alla disciplina concernente la pensione sociale.

Anche nei riguardi di quest'ultima, la L. n. 153 del 1969, art. 26, esclude dal computo dei redditi il reddito dominicale della casa di abitazione.

Ed ancora la stessa L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6, prevede che per l'assegno sociale, il quale dal primo gennaio 1996 si eroga in luogo della pensione sociale, non si computano i redditi della casa abitazione.

Nello stesso senso si è già espressa la sentenza di questa Corte n. n. 5479 del 05/04/2012, in cui si è affermato che "In tema di pensione di inabilità, ai fini del requisito reddituale non va calcolato il reddito della casa di abitazione, in quanto la L. n. 118 del 1971, art. 12, rinvia per le condizioni economiche, alla L. n. 153 del 1969, art. 26, che, per la pensione sociale, esclude dal computo il reddito della casa di abitazione. Nè rileva, in senso contrario, la previsione di cui al D.M. n. 553 del 1992, art. 2, che impone, ai fini assistenziali, la denuncia dei redditi al lordo degli oneri deducibili, in quanto la casa di abitazione, non costituisce, a tal scopo, un onere deducibile, ma una voce di reddito".

Non sembra quindi condivisibile il diverso orientamento espresso dall'ordinanza di questa Corte n. 4223/2012, peraltro superato dalla successiva sentenza di questa Corte emanata il 28 giugno 2012 (Inps c. Benente).

In quest'ultima pronunzia si rileva giustamente che non si può tenere conto di disposizioni dettate ad altri fini, come quelle che impongono la denuncia dei redditi ai fini assistenziali, perchè queste nulla dicono sulla determinazione effettiva del reddito da considerare ai fini del diritto alla prestazione.

Antecedentemente aveva deciso nello stesso senso Cass. n. 2509 del 08/04/1983.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza (con distrazione).


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 50 per esborsi e 2.000 per compensi professionali, oltre Iva e CPA, da distrarsi a favore dell'avv. Raffaele Trivellini, antistatario.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2013