Assegno di mantenimento e mora debendi


Tutto ha inizio con l’opposizione, da parte dell’ex marito dinanzi al giudice di pace di Venezia, al precetto di pagamento della somma di euro 2.410,00 notificatogli dall’ex coniuge, per ritardato versamento di assegni di mantenimento. In essa l’ex marito lamentava l’eccessivo ammontare della somma pretesa (comprendente anche l’assegno del “marzo 2004 non ancora maturato, oltre che di interessi anatocistici e voci di spesa processuale non liquidate né documentate”. Per contumacia della convenuta il Giudice di Pace di Venezia accoglie l’opposizione ma, successivamente, il Tribunale di Venezia lo rigetta e condanna l’ex coniuge al pagamento delle spese. Da lì il ricorso in Cassazione. Gli Ermellini della 1^ Sez Civile, sentenza 25871/2011, hanno  precisato che  “l’assegno di mantenimento in favore del coniuge integra un credito pecuniario, come tale produttivo, a norma dell’art.1282 cod. civile, di interessi corrispettivi ope legis, salvo diversa previsione del titolo, dalla data in cui diventi liquido ed esigibile (Cass., sez.1, 14 febbraio 2007, n.3336; Cass., sez.1, 9 agosto 1985, n.4411), si osserva che, una volta determinato, esso è soggetto alle regole ordinarie in tema di mora debendi; inclusa, quindi, la produzione di interessi legali sugli interessi scaduti dal giorno della domanda giudiziale, e cioè, nella specie, dalla notificazione del precetto di pagamento, atto di natura giuridica e contenuto equivalenti ad un’ordinaria domanda di condanna. Circa la liquidazione degli interessi per onorari e diritti, rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 10% la Suprema Corte precisa che “il rimborso a carico della parte soccombente delle spese generali in percentuale del 100/% degli importi liquidati a titolo di onorari e diritti spetta all’avvocato, a norma dell’articolo 15 del previgente decreto del ministro di Grazia e giustizia 5 ottobre 1994 n.585, applicabile ratione temporis alla fattispecie, anche a prescindere dalla menzione e dalla determinazione che il giudice ne effettui in sentenza, di mera efficacia dichiarativa di un diritto al rimborso derivante direttamente dalla norma - al pari degli ulteriori accessori rimborso dell’Iva, contributo C.A.P.) - pur in difetto di espressa menzione nel dispositivo […….]  La liquidazione giudiziale di un’obbligazione di valore, da effettuarsi in valori monetari correnti, determina infatti la conversione del debito di valore in debito di valuta, con il riconoscimento, da tale data, degli interessi corrispettivi” . L’uomo è stato condannato “alla rifusione di 2/3 delle spese già liquidate nel grado d’appello, nonché di 2/3 delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate; compensata la residua frazione”. L’assegno di “mantenimento” ha un'accezione più ampia circa la voce “alimenti”, essendo legato alla conservazione di tutto quanto risulti indispensabile al pregresso tenore di vita goduto in regime coniugale ed equivalente alla posizione economico-sociale dei coniugi. Il mantenimento spetta al coniuge che non ha avuto responsabilità nella separazione, a patto che il coniuge onerato non disponga  dei mezzi necessari a mantenere l'antecedente standard di vita ed in proporzione alle sostanze dell'obbligato. L'orientamento restrittivo, comunque, non sembra pregiudicare la possibilità per il giudice di individuare le singole voci cui il contributo è destinato, purchè esse rientrino nella ratio del mantenimento: la Suprema Corte, con varie sentenze(Cass. 28 aprile 2006 n. 9876, 12 giugno 2006 n. 13592, 19 giugno 2003 n. 98067127, intervenendo in tema di separazione personale dei coniugi, ha ritenuto che il giudice abbia facoltà di determinare l'assegno periodico di mantenimento in una somma di denaro unica o in più voci di spesa, le quali nel loro insieme e correlate tra loro risultino idonee a soddisfare le esigenze del coniuge istante, con la conseguenza che il coniuge obbligato, può essere tenuto a corrispondere oltre a un assegno determinato in una somma di denaro, anche altre spese, quali quelle relative al canone di locazione per la casa coniugale e ai relativi oneri condominiali, purchè queste spese abbiano costituito oggetto di specifico accertamento nel loro ammontare e vengano attribuite nel rispetto dei criteri sanciti dal primo e secondo comma dell'art. 156, c.c.. Limite invalicabile rimane in ogni caso quello della determinatezza o determinabilità dell'obbligazione ex art. 1346, c.c.


Criteri di valutazione circa la quantificazione dell'assegno di mantenimento

Nella giurisprudenza della Corte di legittimità si trova costantemente affermato il principio secondo il quale condizione essenziale per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione è che questi sia privo di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, nonché che sussista una disparità economica tra i coniugi (Cass. Civ. 12.12.2003 n. 19042; Cass. Civ. 18.09.2003 n. 13747; Cass. Civ. 08.08.2003 n. 11965; Cass. Civ. 19.03.2003 n. 4039)


Pertanto il giudice dovrà previamente valutare tale tenore di vita, e soltanto all'esito di questa operazione, potrà esaminare se i mezzi economici a disposizione del coniuge che lo abbia richiesto siano tali da consentirgliene la conservazione indipendentemente dall'assegno. In caso contrario, dovrà procedersi alla valutazione comparativa dei mezzi economici di ciascun coniuge al momento della separazione, al fine di stabilire se tra essi vi sia una disparità economica che giustifichi l'imposizione dell'assegno, nonché la misura dello stesso (da ultimo Cass. 12 luglio 2007 n. 15611, 28 febbraio 2007, n. 4764; 23 febbraio 2006, n. 4021).


Il giudice, ritenuto il diritto all'assegno di mantenimento, al fine di valutare la congruità dello stesso deve:


1. prendere in considerazione il contesto sociale nel quale i coniugi hanno vissuto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e quantità dei bisogni emergenti del coniuge istante;


2. accertare le disponibilità economiche del coniuge a carico del quale va posto l'assegno, dando adeguata motivazione del proprio apprezzamento (cfr. Cass. 30 luglio 1997, n. 7127).


Elementi valutativi al fine della determinazione dell'assegno


1) proporzione alle sostanze dell'obbligato: deve considerarsi non solo la situazione economica al momento della proposizione della domanda giudiziale, ma anche il complesso della situazione economica, in relazione alla sua capacità economica nelle varie epoche anteriori alla decorrenza dell'assegno, con specifico riguardo alla sua attività lavorativa(Cass. 22 agosto 2006 n. 18241)  secondo la quale è sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi). La determinazione del reddito può aversi per via deduttiva, attraverso l'esame della dichiarazione dei redditi, sia attraverso l'accertamento compiuto dagli ufficiali fiscali, sia attraverso la considerazione che il coniuge pur non risultando avere beni propri o una propria fonte di guadagno, è tuttavia in grado di condurre una vita agiata. Deve anche tenersi conto di ciò che l'obbligato riceve dai genitori durante il matrimonio e che si protraggono in regime di separazione con carattere di regolarità e continuità;


2)  condizioni economiche del beneficiario: il bisogno del coniuge può essere sia totale che parziale, cioè dato dalla differenza tra il reddito di lavoro o patrimoniale del coniuge che deve essere mantenuto e quello di colui che è tenuto al mantenimento ((Cass. 28 aprile 2006 n. 9876, 12 giugno 2006 n. 13592, 19 giugno 2003 n. 9806). Con riferimento alle condizioni dell'istante, vengono espressamente inclusi tra gli elementi che rappresentano un'utilità economicamente valutabile: 1) l'ottenuto godimento della casa coniugale (Cass. 30.1.1992, n. 961); 2) la disponibilità del prezzo dell'alienazione di un immobile (Cass. 2.7.1994, n. 6774); 3) i redditi di qualsiasi natura ed i cespiti in godimento diretto (Cass. 13.1.1987, n. 170). Quando il coniuge separato costituisca un nuovo rapporto di convivenza caratterizzata dalla stabilità, è corretto attribuire rilievo, ai fini della quantificazione del suo diritto al mantenimento da parte dell'altro coniuge, alle prestazioni di assistenza che gli vengano corrisposte da parte del convivente more uxorio, quando esse escludano o riducano lo stato di bisogno, a condizione che abbiano carattere di stabilità ed affidabilità (Cass. 12 luglio 2007 n. 15611, 28 febbraio 2007 );


3)  altre circostanze ex art. 156, II co., cod. civ.: la norma contempla quelle situazioni in cui, pur in presenza di una possibilità di lavoro per il coniuge beneficiario, questi, cui non è addebitabile la separazione, non può essere costretto a ridimensionare e a trasformare un sistema di vita, soprattutto quando, vista l'età in genere matura, non gli è possibile dare inizio o riprendere una attività lavorativa. La Prima sezione civile della Cassazione di Bari - sentenza 24858 anno 2008 ha riconosciuto , nell’assegno divozile, i sacrifici affrontati dal coniuge più debole per consentire, in regime matrimoniale, l’accrescimento professionale dell’altro coniuge. Identica la ratio della sentenza della Cassazione 12 aprile 2001, n. 5492, laddove spiega che l'assegno di mantenimento deve essere concesso al coniuge per assicurargli il pregresso tenore di vita senza costringerlo a tal fine ad alienare il proprio patrimonio immobiliare. La Cassazione ha anche spiegato che se prima della separazione i coniugi avevano concordato o anche solo tacitamente accettato che uno dei due non lavorasse, l'accordo può conservare efficacia anche durante la separazione, tendendo la disciplina della separazione ad assicurare il più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza (Cass. 18.8.1994, n. 7437). Si è, infatti, affermato che l'attitudine al lavoro del coniuge separato acquista rilievo non in senso astratto, quale generica possibilità di reperire e svolgere una qualunque attività lavorativa, ma soltanto se si traduca in una effettiva possibilità di svolgere un lavoro retribuito, valutati tutti gli elementi oggettivi e soggettivi (cfr. Cass. 17.10.1989).


Dr.ssa Mariagabriella Corbi