Nell’attuale fase di apertura dei mercati a livello internazionale, sono sempre più numerosi i lavoratori che si spostano per motivi di lavoro. Il fenomeno migratorio nell’ambito della globalizzazione ha assunto negli ultimi anni una dimensione quantitativa consistente e una rilevanza nel settore produttivo e sociale, tale da richiedere politiche e interventi coordinati degli organismi pubblici che favoriscano il processo di integrazione e la tutela dei diritti dei lavoratori migranti. In generale vanno poi ricordati i recenti sviluppi della delocalizzazione produttiva, nell’ambito sia della grande sia della piccola impresa, che consiste in un trasferimento all’estero di singole fasi, ma a volte anche dell’intero ciclo produttivo, al fine di eludere le rigidità e gli elevati costi del lavoro caratterizzanti il nostro sistema legale e della contrattazione collettiva.
Lo svolgimento di un'attività lavorativa all'estero pone, sotto il profilo assicurativo e previdenziale, il problema di una esatta individuazione della legislazione di sicurezza sociale e fiscale applicabile, in virtù del Paese extracomunitario in cui il lavoratore migrante presta la propria attività. In particolare, gli adempimenti contributivi e previdenziali, nonché quelli amministrativi e fiscali, cui sono tenuti i datori di lavoro operanti all'estero e i lavoratori migranti, assumono diversi contenuti e modalità a seconda del Paese di lavoro, legato all'Italia da una convenzione in materia di sicurezza sociale, ed a seconda della cittadinanza, italiana o straniera, dei lavoratori occupati.
Possiamo trovarci in tre diverse situazioni in base allo Stato in cui si presta il lavoro:
PAESI EXTRACOMUNITARI CONVENZIONATI
PAESI EXTRACOMUNITARI NON CONVENZIONATI
PAESI DELL’UNIONE EUROPEA
PRINCIPI DI TUTELA DEL LAVORATORE ITALIANO ALL’ESTERO
L’art. 35, comma quarto, della Costituzione “riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero”.
La tutela del lavoratore italiano all’estero è garantita da una serie di disposizioni normative che, nel regolare il rapporto di lavoro, prevedono specifici adempimenti in campo previdenziale, assistenziale, sanitario, ed in materia di collocamento.
I principi cui per questa parte si ispira l’assicurazione obbligatoria sono i seguenti:
tutela di tutti i lavoratori italiani, sia che operino in Italia che, ovunque, all’estero,
parità di tutela anche per i lavoratori stranieri, ma solo se operano in Italia alle dipendenze di aziende Italiane.
Determinanti sono state in questo ambito le decisioni della Corte Costituzionale ed in particolare :
la decisione n. 369 del 19 dicembre 1985 con cui la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità degli artt. 1 e 4 del T.U. per contrasto con l’art. 35, comma 3 nella parte in cui, delimitando al territorio dello Stato italiano l’efficacia dell’assicurazione obbligatoria esercitata dall’INAIL, lasciano privi di copertura assicurativa contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali i lavoratori italiani operanti alle dipendenze in Stati esteri con i quali non intercorra una convenzione internazionale di protezione sociale dal contenuto uniforme ai principi dettati dalla Costituzione italiana in materia di previdenza sociale;
la decisione n. 880 del 26 luglio 1988, che ha dichiarato illegittimi l’art. 1 e l’art. 4 del medesimo DPR nella parte in cui non prevedono l’assicurazione obbligatoria a favore degli artigiani italiani che lavorano all’estero.
Prima dell’estensione del regime di tutela conseguente a dette due
sentenze la tutela all’estero veniva realizzata in base al principio
della territorialità della legislazione sociale, infatti la disciplina
italiana in tema di previdenza e di assicurazione obbligatoria contro
gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali era pacificamente
ritenuta operativa solo nell’ambito del territorio nazionale o in base
ai regolamenti comunitari o in base a specifiche convenzioni che
consentivano di estendere la tutela anche in altri Paesi.
Con il D.L. n. 317/1987, convertito nella Legge n. 398/1987, è stata dettata una specifica disciplina della tutela previdenziale nei riguardi dei lavoratori italiani operanti in Paesi extracomunitari che non abbiano stipulato con l’Italia convenzioni in materia di sicurezza sociale.
Nella stessa occasione, e per evitare di incorrere in una applicazione parziale del principio sancito dall’art. 35, comma 4, Cost., il legislatore ha dettato disposizioni dirette a tutelare anche le condizioni del rapporto di lavoro in senso stretto dei lavoratori espatriati.
Per quanto concerne la tutela del lavoratore all’estero è necessario operare una distinzione tra:
attività svolta in ambito comunitario, e
attività svolta in ambito extracomunitario
ma è anche opportuno ricordare che, in entrambi i casi, i principi fondamentali che ne regolano la disciplina sono gli stessi.
In particolare:
il principio della parità di trattamento, in base al quale ciascuno Stato stipulante riconosce ai lavoratori stranieri, operanti sul proprio territorio nazionale, gli stessi diritti riservati ai cittadini residenti;
il principio della territorialità della legislazione applicabile, che prevede, come regola generale, l’applicazione della legislazione di sicurezza sociale del luogo dove viene effettivamente svolto il lavoro;
il principio della esportabilità delle prestazioni ad ulteriore garanzia del lavoratore migrante, in base al quale le prestazioni non siano soggette a riduzione, sospensione o soppressione per il fatto che l’avente diritto trasferisca la propria residenza in un altro Paese;
il principio della totalizzazione dei periodi assicurativi, in base al quale è consentito il cumulo dei periodi di occupazione, assicurazione e residenza compiuto dal lavoratore in virtù delle legislazioni dei vari Paesi, nella misura necessaria ed a condizione che non si sovrappongano.
Nonostante non venga mai espressamente citato nelle disposizioni sull’assicurazione obbligatoria è pacifico in dottrina , stante il carattere pubblicistico delle norme di protezione e previdenza sociale, che ad esse si applichi il principio di territorialità per cui esse (fatte salve le dovute eccezioni) non si applicano fuori dei confini nazionali nel mentre in ambito nazionale si applicano a tutti i lavoratori che ivi prestino la propria attività che siano o meno cittadini. Eccezioni a detta regola sono configurate ad esempio dal distacco per un periodo massimo di 24 mesi entro il quale al lavoratore distaccato si applicano le norme della nazione in cui ha sede l’impresa,dai lavoratori addetti ad imprese internazionali di trasporto gestite in Italia, quale il personale viaggiante di autolinee, aviolinee,autotrasporto, gli operai mandati temporaneamente all'estero ad esempio per la messa in opera di macchinari soggetti ad esportazione, dai funzionari pubblici e così via..Anche la normativa comunitaria applica il principio di territorialità. La regola generale era contenuta nell’articolo 13 del Regolamento n. 1403/1971 che prevede che “il lavoratore occupato nel territorio di uno Stato membro è soggetto alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro o se l’impresa o il datore di lavoro da cui dipende ha la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro.”E pertanto per i lavoratori che sono assunti o trasferiti nei Paesi dell’UE , in quelli aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) o in Svizzera (12, 13) deve essere applicata la legislazione previdenziale del Paese estero in cui si svolge stabilmente l’attività lavorativa (principio della territorialità). I Regolamenti Comunitari dettano i criteri in base ai quali deve essere individuata la legge previdenziale da applicare ai lavoratori operanti negli Stati membri, nonché, e conseguentemente, l’Ente previdenziale (Istituzione competente) competente e le regole che presiedono al sistema di calcolo e di versamento dei contributi previdenziali. Ne consegue che il lavoratore anche non residente che è occupato nel territorio di uno degli Stati membri è soggetto agli obblighi ed ammesso ai benefici della legislazione di tale Stato. Il lavoratore dipendente può essere inviato all’estero in base ad uno dei seguenti istituti giuridici:
trasferimento (art. 2103 c.c.), che comporta il mutamento tendenzialmente definitivo del luogo di lavoro con stipula di un contratto estero che regola l’intero rapporto;
trasferta, che consiste nel mutamento temporaneo del luogo di lavoro con previsione certa di rientro nella sede di lavoro;
distacco, che consiste nel mutamento del luogo di lavoro con sospensione temporanea delle norme contrattuali e di legge del contratto originario di assunzione e con la stipula di un contratto estero che regola il rapporto di distacco.
Per il periodo di trasferta si applica, in caso di lavoratore italiano all’estero, sempre la normativa italiana, sia che il lavoratore venga inviato in Paesi dell’Unione Europea o in Paesi con i quali sono vigenti con l’Italia convenzioni in materia di previdenza sociale, sia che venga inviato in Paesi non convenzionati.
La normativa internazionale in materia di sicurezza sociale in sede UE attua il coordinamento delle legislazioni interne degli Stati contraenti e, pertanto, non intacca la libertà degli Stati di determinare la propria legislazione di sicurezza sociale. Il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale non mira a sostituire i sistemi nazionali con uno europeo. Tutti i paesi sono liberi di decidere chi assicurare nell'ambito della loro legislazione, quali prestazioni erogare e a quali condizioni. L'Unione europea prevede regole comuni per tutelare i diritti previdenziali dei cittadini che si spostano all'interno dell'Europa compresa l’assicurazione obbligatoria.
Fino al 1° maggio 2010, data di entrata in vigore dei nuovi regolamenti comunitari, le norme di coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale dei 27 Stati membri dell’Unione europea sono state costituite dai regolamenti CEE nn. 1408 del 14 giugno 1971 e 574 del 21 marzo 1972. La materia è disciplinata da apposite convenzioni bilaterali con alcuni Stati extra-comunitari e, in ambito UE e dal 1° maggio 2010, le norme di coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale dei 27 Stati membri dell’Unione europea sono state sostituite dalle norme di coordinamento del regolamento (CE) n. 883 del 29 aprile 2004,pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 200 del 7 giugno 2004, come modificato dal regolamento (CE) n. 988 del 16 settembre 2009, e dal regolamento di applicazione (CE) n. 987 del 16 settembre 2009,pubblicati sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 284 del 30 ottobre 2009. Il Regolamento 883/2004 è stato esteso ai cittadini di stati terzi con il Regolamento 1231/10 del 24 novembre 2010 e, dal 1° aprile 2012, anche ai rapporti con la Svizzera. Gli Stati aderenti allo Spazio Economico Europeo (Norvegia, Islanda, Liechtenstein) applicano il nuovo Regolamento a partire dal 1° giugno 2012.Icitati Regolamenti hanno aggiornato e superato il Regolamento 1408/1971. I principi fondamentali della normativa comunitaria di sicurezza sociale sono, in linea di massima, gli stessi dei regolamenti CEE n. 1408/71 e n. 574/72; infatti,numerose disposizioni sono state confermate. Tale disciplina si applica anche al lavoratore frontaliero a meno che egli non opti per le prestazioni dello Stato di residenza Il lavoratore frontaliero è quel lavoratore che svolge la propria attività, subordinata o autonoma, in uno Stato differente da quello di residenza o di domicilio, attraversando tutti i giorni, o almeno una volta alla settimana, il confine nei due sensi. Il lavoratore italiano stabilmente occupato in un Paese dell’Unione Europea è assoggettato alla normativa dello Stato in cui viene svolta l’attività lavorativa. Per i lavoratori "temporaneamente distaccati" nei predetti Paesi non è dovuto alcun supplemento di premio all'INAIL, in quanto detti lavoratori, per il periodo di distacco (la cui durata è variamente stabilita negli Accordi), rientrano, come tutti gli altri lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro che dispone il distacco, nell'assicurazione ordinaria già operante in Italia, sia ai fini contributivi che ai fini risarcitivi; il distacco normalmente non supera la durata di dodici mesi, salvo proroga per un periodo di altri dodici mesi o per un periodo più lungo con il consenso dell'autorità amministrativa competente del Paese di lavoro, cui il datore di lavoro deve rivolgere apposita istanza. Superato anche tale periodo di proroga, si applica la normativa dello Stato in cui viene svolta l'attività lavorativa (principio della territorialità), e quindi il lavoratore deve essere assicurato ai sensi della legislazione di quello Stato; a tal fine il datore di lavoro deve aver cura di costituire una posizione assicurativa in detto Stato. Tali situazioni – che esonerano dal pagamento di contributi assicurativi nello Stato di occupazione – meglio note come distacco dei lavoratori, sono regolate dall'articolo 12 del regolamento n. 883/2004.
L’Inail deve comunque ricevere comunicazione dell’avvenuto distacco dei lavoratori all’estero, sia per consentire di valutare se la lavorazione che i lavoratori distaccati svolgeranno all’estero rientri nel rischio per il quale è stata istituita la posizione assicurativa, sia perché in caso di infortunio o malattia professionale verificatisi durante il distacco, l’Inail ricevuta la denuncia deve attestare alla ASL la qualità di lavoratore assicurato ai sensi del TU affinchè l’AUSL possa notificarlo all’Istituto straniero preposto alle prestazioni sanitarie ed assumerle a proprio carico. Chi lavora in una pluralità di Stati membri viene assicurato nello Stato di residenza purchè ivi egli presti la parte “sostanziale della propria attività. Ove il lavoratore abbia residenza in un Paese diverso da tutti quelli in cui lavora, al lavoratore si applica il regime previdenziale del Paese in cui ha sede l’impresa che è suo datore di lavoro. In caso di lavoro autonomo gli si applica la disciplina previdenziale del Paese in cui svolge la parte prevalente della propria opera Dunque in ambito europeo anche se il lavoratore opera in più Stati la sua tutela verrà attratta da uno solo di questi, con l’unica eccezione del lavoratore che possa essere dipendente in uno Stato e autonomo in un altro ,nel qual caso potrebbe ricevere copertura assicurativa da entrambi i Paesi.
La disciplina di cui alla legge n. 398/1987 si applica non soltanto ai lavoratori italiani operanti all’estero in Paesi extracomunitari ma anche ai lavoratori cittadini degli altri Stati membri dell’UE e ai lavoratori extracomunitari titolari di un regolare titolo di soggiorno e di un contratto di lavoro in Italia inviati dal proprio datore di lavoro in un Paese non convenzionato . L’ambito territoriale di applicazione della legge n. 398/1987 è diverso da quello degli Stati membri della UE. Come è noto, fanno parte della Unione europea i seguenti Stati: Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia (comprese le isole Aland), Francia e Dipartimenti d’oltremare (Guyana francese, Isola di Martinica e isola di Guadalupa, ricomprese nell’arcipelago delle Piccole Antille, Isole di Reunion, Isole di Saint Martin e di Saint Barthèlemi, facenti parte del Dipartimento della Guadalupa), Germania, Regno Unito (Gran Bretagna e Irlanda del Nord compresa Gibilterra), Grecia, Irlanda, Spagna, Lussemburgo, Olanda, Portogallo (comprese le isole Azzorre e di Madera), Spagna (comprese le isole Canaria, Ceuta e Melilla), Svezia, Repubblica Ceca, Repubblica di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria. Al riguardo si ribadisce che dal 1° maggio 2010 le norme di coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale degli Stati membri dell’Unione europea costituite dai regolamenti CEE nn. 1408 del 14 giugno 1971 e 574 del 21 marzo 1972 sono sostituite dalle norme di coordinamento del regolamento (CE) n. 883 del 29 aprile 2004, come modificato dal regolamento (CE) n. 988 del 16 settembre 2009, e dal regolamento di applicazione (CE) n. 987 del 16 settembre 2009. Sono esclusi inoltre dall’ambito di applicazione della legge n. 398/1987 anche i Paesi aderenti all’Accordo SEE - Liechtenstein, Norvegia, Islanda – cui si applica la normativa comunitaria. Si evidenzia al riguardo che i nuovi regolamenti comunitari (regolamenti CEE nn. 883/2004 e 987/2009) non si applicano nei rapporti con i predetti Stati e che per essi continuano a trovare applicazione le disposizioni contenute nei regolamenti CEE nn. 1408/71 e 574/72. La normativa comunitaria si applica, infine, anche nei rapporti con la Svizzera e anche per essi continuano a trovare applicazione le disposizioni contenute nei regolamenti CEE nn. 1408/71 e 574/72. Per quanto attiene alla Convenzione europea di sicurezza sociale, essa rimane di fatto tuttora applicabile solo nei rapporti con la Turchia. Il regime delle retribuzioni convenzionali previsto dalla legge n. 398/1987 si applica in via residuale anche per le assicurazioni non contemplate dalle convenzioni in materia di sicurezza sociale vigenti. Tali retribuzioni valgono per i lavoratori operanti nei Paesi extracomunitari diversi da quelli con i quali sono in vigore accordi di sicurezza sociale, anche parziali.
Ai fini assicurativi Inail, sono, pertanto, esclusi dall’ambito di applicazione del regime delle retribuzioni convenzionali in argomento gli:
1. Stati membri dell’Unione Europea :
Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia,Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia (dal primo maggio 2004 gli accordi bilaterali tra la Repubblica italiana e la Repubblica slovena sono sospesi e sostituiti dalla normativa comunitaria di sicurezza sociale) , Ungheria, Bulgaria, Romania.
2. Stati ai quali si applica la normativa comunitaria:
Liechtenstein, Norvegia, Islanda (Stati aderenti all’accordo SEE (Spazio Economico Europeo)
Svizzera.
3. Stati con i quali sono state stipulate convenzioni di sicurezza sociale
Argentina
Australia (Stato del Victoria)
Brasile
Canada ( provincia dell’Ontario; provincia del Quebec)
Capoverde
Croazia
Isole del Canale ( Jersey, Guersney, Aldernay, Herm, Jetou)
ex Jugoslavia (repubbliche di Bosnia Erzegovina, Macedonia e Repubblica federale di Jugoslavia costituita da Serbia, Montenegro e Kosovo)
Principato di Monaco
San Marino
Santa Sede
Tunisia
Turchia
Uruguay
Venezuela.
Si allegano le circolari che hanno disposto in materia di assicurazione obbligatoria in Inail.
L’applicazione del principio di territorialità comportava che per i lavoratori italiani che si spostavano in Paesi esteri non fosse più possibile la tutela italiana ma quella estera ove esistente. Il primo strumento di tutela è stato quello delle convenzioni bilaterali. La normativa internazionale di sicurezza sociale ha come finalità primaria quella di tutelare i lavoratori consentendo loro di mantenere o conseguire i diritti alle varie prestazioni previdenziali in caso di attività lavorativa all'estero. L'Italia con alcuni Paesi non appartenenti all' Unione Europea, e verso i quali più forte è stata l'emigrazione, ha stipulato delle apposite Convenzioni internazionali proprio per garantire ai lavoratori migranti la stessa tutela prevista dalle singole legislazioni nazionali per i soggetti che hanno sempre lavorato nello stesso Stato. Tali Convenzioni sono atti giuridici di diritto internazionale che obbligano gli Stati firmatari a garantire, nei rispettivi territori, un regime di sicurezza sociale, nei confronti dei cittadini migranti dell'altro Stato al fine di assicurare la libera circolazione e la parità di trattamento. Le Convenzioni hanno validità solo per gli Stati firmatari e, per essere operanti nell'ordinamento interno dello Stato, devono essere ratificati da una legge ordinaria e riguardano in genere prestazioni:
• di invalidità
• di vecchiaia
• ai superstiti
• in caso di morte
• in caso di disoccupazione
• in caso di infortuni sul lavoro e malattie professionali
• in caso di malattia
• in caso di maternità
• per i familiari
La tutela previdenziale ed assicurativa dei lavoratori operanti in Paesi che hanno stipulato con l’Italia convenzioni bilaterali in materia di sicurezza sociale è regolata, appunto, da tali convenzioni. Pertanto ai lavoratori italiani, così come a tutti i lavoratori dipendenti da aziende situate nell’Unione Europea, distaccati presso aziende in Paesi extracomunitari, si applicano le convenzioni bilaterali intervenute tra lo Stato distaccante e lo Stato ove il lavoratore è distaccato.
Le convenzioni di cui trattasi prevedono i criteri idonei a stabilire, a seconda delle singole fattispecie, quale sia la legge previdenziale applicabile (e, di conseguenza, a stabilire se debbano essere versati i contributi in Italia, in caso di applicabilità della legge italiana, ovvero presso l’ente straniero, in caso di applicabilità della legge straniera).
Il criterio generale più frequentemente adottato dalle singole convenzioni è quello secondo il quale il cittadino di uno dei due Stati contraenti che si trova a prestare attività nell’altro Stato contraente è soggetto alla legge previdenziale di quest’ultimo per i principi di reciprocità di trattamento e di territorialità..
Tale criterio generale viene spesso derogato per situazioni particolari di lavoro (es. lavoratori che, per le loro mansioni, sono soliti spostarsi da un Paese all’altro) e per il caso di spostamenti di breve durata da uno Stato all’altro. In quest’ultimo caso, ove si tratti di persone residenti in uno degli Stati contraenti e dipendenti da un’impresa che ha sede in tale Stato, le quali siano inviate a prestare attività nell’altro Stato per un periodo diversamente stabilito dalle singole convenzioni (cd. “periodo di distacco”), è previsto che l’applicazione della legislazione dello Stato di provenienza prosegua anche durante la permanenza del lavoratore nello Stato presso il quale è stato distaccato.
Nel caso di distacco in un Paese extracomunitario gli eventuali accordi
bilaterali stipulati prevedono in genere l’applicabilità della
legislazione italiana in materia di sicurezza sociale. Ogni convenzione
ha proprie specificità circa le assicurazioni sociali previste e la
regolamentazione del distacco. Al termine del distacco il lavoratore è
soggetto al regime assicurativo del Paese nel quale continua a
lavorare. In assenza di convenzioni internazionali o se queste non
prevedono il distacco, si applica la legislazione italiana sul lavoro
nei Paesi extracomunitari In caso di distacco all’estero tutti gli
obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario .
Tali convenzioni non riguardano tutte le forme di tutela previdenziale. In merito l’INPS con propria circolare n. 90/1992 ha rappresentato che per le forme di tutela non previste dalla Convenzione dovrebbe trovare applicazione la normativa italiana. I contributi relativi alle prestazioni che nella convenzione .L’applicazione della legge italiana in caso di convenzioni parziali segue le regole di seguito indicate :
• per le assicurazioni comprese nella convenzione si applica la disciplina italiana comune onde i contributi vanno versati sulla retribuzione effettiva e non su quella convenzionale di cui all'art. 4 del D.L. n. 317/1987 e non spettano le agevolazioni contributive previste dal detto D.L
• per le assicurazioni non comprese nella convenzione si applica il D.L. n. 317 del 1987 sia con riferimento alla retribuzione ("convenzionale") da assoggettare a contribuzione previdenziale che con riferimento alle agevolazioni contributive da esso previste.
• I contributi relativi alle prestazioni che nella convenzione vengono previste a carico del Paese dove il lavoratore è stato distaccato, devono essere versati in questo Paese.
La tesi dell’INPS è quella ad oggi condivisa anche dall’INAIL però va riconosciuto che non è universalmente condivisa.
Si tratta di quei dipendenti (italiani o appartenenti a Paesi dell’UE) appositamente assunti in Italia o all’Estero, ovvero trasferiti, per operare in Paesi extra comunitari con i quali non sono in vigore convenzioni.
In assenza di Convenzioni Internazionali di sicurezza sociale, nel caso in cui il lavoratore italiano venga inviato all'estero, la sua tutela è realizzata attraverso la normativa nazionale contenuta nella Legge n. 398 del 3 ottobre 1987 che ha convertito con modifiche il Decreto legge 31 luglio 1987, n. 317.
Tale normativa, emanata a seguito di una pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 369/85) sulla base dell'art.35 comma 4 della Costituzione, prevede l'obbligo contributivo in Italia per i datori di lavoro italiani e stranieri che inviino lavoratori in Paesi non convenzionati.
Sono tenuti all’obbligo assicurativo
• datori di lavoro residenti, domiciliati e aventi la propria sede, anche secondaria, nel territorio nazionale;
• società costituite all’estero con partecipazione italiana di controllo ai sensi dell’art. 2359, primo comma, del codice civile;
• società costituite all’estero, in cui persone fisiche e giuridiche di nazionalità italiana partecipano direttamente, o a mezzo di società da esse controllate, in misura complessivamente superiore ad un quinto del capitale sociale;
• datori di lavoro stranieri.
Unitamente ad altre forme di tutela previdenziale, l’art. 1 della Legge n. 398/1987, in conseguenza della menzionata sentenza di incostituzionalità, ha previsto una specifica disciplina per tali lavoratori operanti all’Estero, a decorrere dal 9 gennaio 1986, consistente in un premio, da corrispondere all’INAIL, che dal 1° gennaio 2001 è determinato sulla base delle quattro tariffe vigenti in Italia per tutti gli altri lavoratori, e di una base imponibile costituita da specifiche retribuzioni convenzionali.
Dunque ad essi garantisce una serie di tutele.
In particolare, l’art. 3, comma 3 della Legge n. 398/87 prevede che, nel caso in cui per la malattia o l’infortunio o la malattia professionale venga corrisposta al lavoratore una prestazione da parte dell’ente straniero presso il quale è obbligatoriamente iscritto in forza della legge locale, l’Istituto previdenziale italiano erogatore di analoga prestazione economica riduce quest’ultima in maniera corrispondente.
Qualora nello Stato estero sia obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali ed il datore di lavoro dimostri di aver ottemperato ai relativi obblighi, i predetti valori possono essere ridotti, in misura corrispondente, con Decreto del Ministro del Lavoro.
È previsto, inoltre, che la tabella delle malattie professionali vigente in Italia può essere aggiornata con apposito Decreto del Ministro del Lavoro in relazione alle tecnopatie proprie delle aree geografiche dove i lavoratori svolgono la propria attività (art. 3, comma 1, lett. a), Legge n. 398/1987).
Infine, ai sensi dell’art. 3, comma 4, Legge n. 398/1987, i datori di lavoro devono anticipare le prestazioni economiche di malattia e maternità (che sono poi conguagliate in conformità della legislazione nazionale dal datore di lavoro con i contributi dovuti), nonché le prestazioni economiche di indennità temporanea e assoluta dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali che sono rimborsate trimestralmente dall’INAIL.
Anche per il settore agricolo, non essendo stata ancora prevista una specifica disciplina, la tutela assicurativa dei lavoratori di cui trattasi, operanti all’Estero, dipendenti da aziende agricole, deve essere attuata secondo la normativa del T.U.
In merito, però, l’INAIL, in ciò confortato anche dal Ministero del Lavoro, ritiene che, stante la generica formulazione della normativa stabilita dalla Legge n. 398/1987, la tutela ivi prevista riguardi anche i lavoratori agricoli operanti all’Estero in Paesi extracomunitari alle dipendenze di imprese agricole.
Nonostante la menzionata sentenza di incostituzionalità, non è stata ancora prevista per tali lavoratori una specifica disciplina. In mancanza, pertanto, di precise disposizioni legislative, a questa categoria di lavoratori si intende estesa la tutela assicurativa contro gli infortuni.
Il datore di lavoro deve comunicare all’INAIL la trasferta, solo nel caso in cui il lavoratore sia esposto a rischi non connessi con le lavorazioni per le quali è già assicurato dall’Istituto.
Per i lavoratori “temporaneamente distaccati” nei predetti Paesi non è dovuto alcun supplemento di premio all’INAIL, in quanto detti lavoratori, per il periodo di distacco (la cui durata è variamente stabilita negli Accordi), rientrano, come tutti gli altri lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro che dispone il distacco, nell’assicurazione ordinaria già operante in Italia, sia ai fini contributivi che ai fini risarcitivi. Il distacco normalmente non supera la durata di dodici mesi, salvo proroga per un periodo di altri dodici mesi o per un periodo più lungo con il consenso dell’autorità amministrativa competente del Paese di lavoro, cui il datore di lavoro deve rivolgere apposita istanza.
Superato anche tale periodo di proroga, si applica la normativa dello Stato in cui viene svolta l’attività lavorativa (principio della territorialità), e quindi il lavoratore deve essere assicurato ai sensi della legislazione di quello Stato; a tal fine il datore di lavoro deve aver cura di costituire una posizione assicurativa in detto Stato.
L’INAIL (nota INAIL del 4/08/2008) deve comunque ricevere comunicazione
dell’avvenuto distacco/trasferta dei lavoratori all’estero:
sia per consentire di valutare se la lavorazione che i lavoratori distaccati svolgeranno all’estero rientri nel rischio per il quale è stata istituita la posizione assicurativa,
sia perché in caso di infortunio o malattia professionale verificatisi durante il distacco, l’INAIL, ricevuta la denuncia, deve attestare alla ASL la qualità di lavoratore assicurato ai sensi del TU affinché l’ASL possa notificarlo all’Istituto straniero preposto alle prestazioni sanitarie ed assumerle a proprio carico.
Guardiamo ora gli obblighi del datore di lavoro sotto il profilo della prevenzione e quindi delle regole che operano in materia di sicurezza del lavoro partendo dal concetto di transnazionalità che viene spesso negli studi in materia richiamato.
In tutti i casi di lavoro all’estero il rapporto di lavoro si caratterizza per la sua transnazionalità . In base ad essa uno dei soggetti coinvolti nel rapporto può appartenere ad un Paese diverso da quello della controparte ovvero vi possono essere parti del rapporto di lavoro cui si aggiungono figure terze, beneficiarie delle prestazioni rese da lavoratori distaccati nell’ambito di una prestazione di servizi ovvero sul piano meramente oggettivo la transnazionalità può connettersi prioritariamente, al luogo di esecuzione della prestazione. Che il quadro si presenti estremamente complesso lo dimostra la possibilità di lavori svolti solo parzialmente all’estero, oppure di lavori svolti in modo itinerante, addirittura in più Paesi diversi. La transnazionalità può essere originaria od acquisita. Nel primo caso si pensi, ad esempio, alla c.d. assunzione per l’estero, dove le parti stabiliscono, già nella fase costitutiva, che l’esecuzione della prestazione lavorativa dovrà avvenire stabilmente in un luogo posto al di fuori dei confini nazionali. Nel secondo caso si tratta di rapporti che nascono come nazionali ma che acquisiscono in occasione di trasferta o distacco la connotazione transnazionale.
La condizione di transnazionalità , si è detto,può essere presente sin dall’inizio del rapporto di lavoro in quanto le parti stabiliscono,già in fase di stipula contrattuale, che l’esecuzione della prestazione lavorativa dovrà avvenire stabilmente in un Paese estero. Guardando specificamente ai profili di sicurezza sul lavoro, la materia è disciplinata dalla legge n. 218/1995 di riforma del diritto internazionale privato italiano, che ha proceduto ad assumere espressamente la Convenzione di Roma del 1980 - resa esecutiva con la legge n. 975/1984 ed ora oggetto di rinvio recettizio ad opera dell’art. 57 della citata legge n. 218/1995 - come provvedimento base sul tema. Ad oggi il Regolamento CE n.593/2008 ha sostituito tale convenzione dal 17 dicembre 2009. L’attuale disciplina,per ciò che concerne gli aspetti relativi alla sicurezza, appare improntata ad una logica di valorizzazione della volontà delle parti. Tale regolamento (cosiddetto “Roma I”),direttamente applicabile in tutti i Paesi UE, prevede infatti che:1) la scelta della legge applicabile è effettuata dalle parti(art. 3), comunque nel rispetto delle “disposizioni inderogabili”in materia di igiene, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro previste nel Paese la cui legge sarebbe applicabile in assenza di scelta (art. 8, c.1); 2) in mancanza di scelta (art. 8, c. 2-4) si applica, nell’ordine la legge del Paese: a) nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore svolge abitualmente il suo lavoro; b) nel quale si trova la sede in cui il lavoratore è stato assunto (sede del datore di lavoro);c) con cui il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto. Se la prestazione lavorativa si svolge in un Paese dell’UE la scelta delle parti della legge regolatrice del contratto risulterà scarsamente influente sulle misure prevenzionistiche applicate, quanto meno con riferimento ai livelli essenziali di tutela di salute e sicurezza, e assolutamente non pregiudizievole di norme di applicazione necessaria. Nel caso in cui il lavoratore italiano debba operare in un Paese extracomunitario e le parti scelgano di applicare la legge di quest’ultimo, devono essere comunque rispettate le norme considerate imperative e di applicazione necessaria in Italia, qualora il lavoro non si svolga abitualmente nel suddetto Paese estero ovvero quando il contratto di lavoro presenti un collegamento più stretto con l’Italia . In questo caso i generali principi di diritto internazionale privato in ordine alla facoltà di scelta della legge applicabile devono essere integrati dalle disposizioni contenute nella legge n. 398/1987 che subordina l’assunzione di lavoratori italiani in Paesi extracomunitari a una autorizzazione da parte del Ministero del Lavoro, il cui rilascio presuppone la sussistenza di condizioni minime di tutela, compreso l’impegno del datore di lavoro ad “apprestare idonee misure in materia di sicurezza ed igiene del lavoro” (art. 2,c. 4, lett. f) .Viene imposto per tal via indipendentemente dalla legge applicabile - la previsione di un obbligo contrattuale dai contenuti equivalenti a quelli dell’art. 2087 c.c..Dunque le parti scelgono la normativa da applicare, comunque nel rispetto di standard minimi di tutela della salute dei lavoratori.
In questi casi, la transnazionalità non è genetica, ma funzionale, ponendosi in una fase ulteriore, dal punto di vista logico ancor prima che temporale, rispetto al momento della conclusione del contratto. Si tratta, in particolare, delle ipotesi di trasferta, di trasferimento o di distacco del lavoratore all’estero. In tal caso il carattere transnazionale della prestazione lavorativa subentra successivamente all’instaurarsi del rapporto di lavoro e il lavoro si svolge all’estero per periodi più o meno lunghi e talvolta ripetuti, in base alle esigenze aziendali. Preliminarmente si precisa che la nozione di trasferimento all’estero accolta dal legislatore si distacca da quella tradizionalmente elaborata con riguardo all’ipotesi del trasferimento che avvenga all’interno del territorio nazionale. Quest’ultima, infatti, secondo l’univoco insegnamento della dottrina e della giurisprudenza, presuppone la definitività del mutamento del luogo di lavoro, così distinguendosi dalla trasferta che è, invece, caratterizzata dalla naturale provvisorietà di tale mutamento (Cass. 3749/1988; Cass. 8004/1998). Per contro l’art. 2 della Legge n. 398/87 – facendo riferimento (come anche l’art. 1 della stessa legge) alla fattispecie di un trasferimento che sia disposto per l’esecuzione di singole “opere o commesse” - riconosce che esso, quando sia operato all’estero, può avvenire anche per esigenze intrinsecamente temporanee (in quanto destinate a venir meno con l’ultimazione dell’opera o della commessa).Se ne deduce che le tradizionali nozioni di trasferta e di trasferimento non possono essere automaticamente utilizzate quando si tratti di dover qualificare fattispecie di invio all’estero, per le quali deve necessariamente tenersi conto della nozione speciale desumibile dalla Legge n. 398/87. Della specialità di tale nozione si ha ulteriore conferma ove si consideri che la disciplina dettata dall’art. 2 di tale legge presuppone, come essenziale requisito del trasferimento all’estero, l’esistenza del consenso da parte del lavoratore mentre, come è noto, l’art. 2103, secondo comma, codice civile sancisce espressamente la nullità di “ogni patto contrario” alle norme che limitano lo jus variandi anche topografico, del datore di lavoro.
Sul piano generale può sostenersi che il lavoratore dipendente può essere inviato all’estero con una delle seguenti forme di rapporto:
A -TRASFERTA
La trasferta consiste nel mutamento temporaneo del luogo di esecuzione della prestazione, con previsione certa di rientro nella sede di lavoro di provenienza. In qualunque Paese (UE o extra-UE) il lavoratore sia inviato, restano in genere vigenti normativa e contrattazione collettiva operanti nel Paese in cui egli abitualmente opera . Anche nel caso di lavoratori che operano abitualmente in più Paesi (trasfertisti), la scelta delle parti non può comunque privare i lavoratori stessi della protezione loro assicurata dalle leggi del Paese sede dell’assunzione (in particolare dell’Italia, e lo stesso dovrebbe valere per i transfrontalieri).In tutti questi casi il datore di lavoro italiano dovrà provvedere ad implementare il DVR e l’obbligo di sorveglianza sanitaria rimarrà a suo carico. Nei Paesi extracomunitari con standard minimi di tutela inferiori a quelli italiani, il datore di lavoro italiano deve comunque garantire l’attuazione di misure preventive e protettive adeguate, ivi compresa la sorveglianza sanitaria dei lavoratori.
B - TRASFERIMENTO
Il trasferimento (art. 2103 C.C.) consiste nel mutamento tendenzialmente definitivo del luogo di lavoro, con stipula di un contratto estero che regola l’intero rapporto. Inoltre esso implica spesso per il lavoratore un cambiamento di residenza/domicilio non transitorio e comunque di durata tale da richiedere la riorganizzazione della vita familiare e sociale. In mancanza di scelta delle parti, il rapporto è regolato dalla legge del Paese in cui il lavoratore è trasferito e opera stabilmente, con risvolti analoghi a quelli già discussi a proposito del lavoro a trans nazionalità originaria . Inoltre, nel caso di trasferimento del lavoratore in Paesi extracomunitari, in sede di autorizzazione ministeriale vige comunque l’obbligo, per il datore di lavoro che ha deciso il trasferimento, di garantire idonee misure di tutela e prevenzione .
C - DISTACCO
Il distacco si realizza “quando un datore di lavoro (distaccante), per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto (distaccatario) per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa”. La normativa comunitaria peraltro profila ipotesi di transnazionalità, che esulano in parte dalla previsione di distacco secondo la legislazione italiana, a seconda che l’impresa distacchi il lavoratore nel territorio di uno Stato membro: a) per conto proprio e sotto la sua direzione, nell’ambito di un contratto concluso con il destinatario della prestazione di servizi che opera in tale Stato, purché durante il distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo invia (appalto per la legislazione italiana); b) in uno stabilimento o un’impresa appartenente al gruppo, purché durante il distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo invia (distacco nei gruppi d’impresa); c) in qualità di imprese di lavoro temporaneo o che effettuano la cessione temporanea di lavoratori presso un’impresa utilizzatrice, avente la sede o un centro di attività nel territorio di tale Stato, purché durante il distacco esista un rapporto di lavoro fra il lavoratore e l’impresa di lavoro temporaneo o che lo cede temporaneamente (somministrazione di lavoro ai sensi dell’art. 20 D.Lgs. 276/03).In generale, in caso di distacco di lavoratori all’estero, in assenza di una specifica previsione contrattuale, si applicano la legge italiana o le norme considerate imperative e di applicazione necessaria in Italia, in quanto Paese in cui si svolge abitualmente la prestazione lavorativa . In aggiunta, nel caso di distacco tra Paesi dell’UE, la Direttiva 96/71/CE, recepita in Italia con il D. Lgs. 23/02/2000, n. 72, prevede che il Paese dell’UE in cui si svolge la prestazione deve provvedere a che le imprese (in questo caso le distaccatarie perché gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario) garantiscano ai lavoratori distaccati nel loro territorio le condizioni fissate dalle proprie disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, e/o da contratti collettivi o da arbitrati dichiarati di applicazione generale, compresi quelli in materia di “sicurezza, salute e igiene sul lavoro” e di “provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani”4 (art. 3, c. 1, lett. e, f) . Lo stesso onere ricade sull’utilizzatore in caso di somministrazione del lavoro (art. 3, c. 5 D.Lgs 81/08). All’interno dell’UE il datore di lavoro dell’azienda presso cui avviene il distacco deve inoltre garantire una parità di trattamento dei lavoratori della propria azienda e di quelli distaccati dall’Italia. Nel caso di distacco in Paesi al di fuori dell’area UE si applica, ancora una volta la legislazione nazionale relativa al lavoro all’estero , compreso l’obbligo di richiedere l’autorizzazione preventiva al Ministero del Lavoro. Le norme relative al distacco valgono anche per l’artigiano che si reca in un Paese comunitario per l’esecuzione in proprio di un lavoro temporaneo.
CONCLUSIONI
Sono numerose le disposizioni legislative che disciplinano la specifica materia. L’esigenza che si avverte nell’affrontarne lo studio è quella di una loro sistematizzazione che consenta al datore di lavoro di muoversi più agilmente nel coacervo di norme esistenti. Si consideri in particolare l’ipotesi del distacco in cui nel mentre sotto il profilo del regime di sicurezza sociale il datore di lavoro distaccante resta responsabile per la parte di competenza degli aspetti assicurativi, in materia di sicurezza avviene il contrario. Il presente contributo tien conto solo del regime previdenziale dei lavoratori italiani all’estero. In successivi contributi ci occuperemo per i miedesimi aspetti dei marittimi e dei lavoratori stranieri in Italia.
In allegato le circolari Inail che hanno disciplinato gli aspetti premiali.