INPS
Direzione Centrale
Prestazioni a Sostegno del Reddito
(Circolare 6.9.2006 n° 95 bis)
OGGETTO: |
Prestazioni economiche di malattia e di maternità. Questioni varie. |
SOMMARIO: |
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1) FESTIVITA’ SOPPRESSE (malattia e maternità). Sono pervenute richieste di chiarimenti circa l’indennizzabilità delle giornate infrasettimanali non più considerate festive per effetto della legge 5 marzo 1977, n. 54 e successive modificazioni (trattasi come noto delle ricorrenze dell’Ascensione, del Corpus Domini, del 19 marzo, del 29 giugno e del 4 novembre). Al riguardo si ribadisce che le predette giornate sono indennizzabili solo se le stesse – come peraltro in genere avviene – sono normalmente lavorate e retribuite (per le stesse non viene cioè corrisposto, oltre al compenso per il lavoro svolto, un ulteriore emolumento pari al trattamento dovuto per i giorni festivi) (1). Infatti il 2° comma dell’art. 6 della legge n.138/1943, precisa che l’indennità non è dovuta per le giornate in cui il lavoratore ammalato percepisce dal datore di lavoro un trattamento economico, non integrativo della indennità di malattia, di importo pari o superiore a quello previdenziale. Il criterio comporta che nell’ipotesi, segnalata da alcune Sedi, di aziende che corrispondono per contratto ai propri dipendenti nella prima successiva domenica del mese considerato il compenso aggiuntivo relativo alla festività soppressa cadente in un giorno feriale lavorativo, al lavoratore assente per malattia nel giorno ex festivo stesso spetterà, per tale giorno, in quanto normalmente retribuito, il trattamento previdenziale. Nell’ipotesi di impiegati, la domenica non sarà indennizzabile, ai sensi del citato art. 6, comma 2 della legge n. 138/1943 (2).
2) LAVORATORI OCCUPATI IN ITALIA CHE SI AMMALANO DURANTE TEMPORANEI SOGGIORNI ALL’ESTERO. LEGALIZZAZIONE DEI CERTIFICATI DI MALATTIA (malattia). Secondo le disposizioni impartite (v. da ultimo circ. n. 136/2003, par. 11), per i lavoratori occupati in Italia che si ammalano durante temporanei soggiorni in Paesi che non fanno parte della Unione Europea (3) o che non hanno stipulato con l’Italia Convenzioni o Accordi specifici che regolano la materia, la corresponsione dell’indennità di malattia può aver luogo solo dopo la presentazione all’INPS della certificazione originale, legalizzata a cura della locale rappresentanza diplomatica o consolare italiana. E’ stato segnalato che alcune Ambasciate o Consolati operanti presso i predetti Paesi (ad esempio Marocco, Sri Lanka) incaricano medici di loro fiducia di esaminare i certificati di cui trattasi. Detti medici, dopo averne accertata la veridicità, consegnano agli interessati (che talvolta vengono anche sottoposti a visita) la certificazione “originale” convalidata, ovvero, in sostituzione di questa, altra certificazione da loro redatta direttamente in lingua italiana. In presenza di tali situazioni la legalizzazione deve ritenersi in sostanza perfezionata all’atto della convalida della certificazione originale o della redazione della nuova certificazione, fermo restando che è comunque sempre necessaria la attestazione, da parte dell’ambasciata o consolato interessati, della veste di proprio medico fiduciario conferita al sanitario che ha svolto il servizio in argomento, nonché della autenticità della sua firma. Sull’argomento “legalizzazione”, più in generale, si ritiene utile fornire le seguenti indicazioni. L’adempimento può non essere richiesto ai lavoratori che si ammalano in Paesi non facenti parte dell’Unione Europea ma che hanno stipulato con l’Italia (o con la U.E.) Convenzioni o Accordi specifici che regolano la materia in cui è espressamente previsto che la certificazione di malattia rilasciata dall’Istituzione locale competente (o, per quanto qui interessa, da medici abilitati dalla stessa) è esente da legalizzazione. I Paesi di cui trattasi sono: (4) · Paesi extra UE con i quali sono stati stipulati Accordi che prevedono l’applicazione della disciplina comunitaria: Islanda, Norvegia e Liechtenstein in base all’Accordo SEE (Spazio Economico Europeo), Svizzera (in base all’Accordo sulla libera circolazione tra CH e UE) e Turchia (in applicazione alla Convenzione Europea di sicurezza sociale). · Paesi extra UE con i quali sono stati stipulate Convenzioni estese all’assicurazione per malattia: Argentina, Bosnia-Erzegovina (5), Brasile, Croazia, Jersey e Isole del Canale, Macedonia (5), Principato di Monaco, Repubblica di San Marino, Stato di Serbia e Montenegro (5), Tunisia, Uruguay e Venezuela. In particolare si richiama l’attenzione di codeste Sedi sulla possibilità, prevista in genere da dette Convenzioni o Accordi, di richiedere alle locali Casse o Istituzioni analoghe l’effettuazione di accertamenti sanitari sui lavoratori assistiti in Italia che si ammalano sul territorio estero, fornendo le generalità degli interessati ed il loro esatto recapito all’estero. E’ ovvio che per gli altri Paesi per i quali, ancorché in presenza di Convenzioni sulla materia, non è prevista espressa dispensa, continua ad essere necessaria la legalizzazione da parte delle rappresentanze diplomatiche o consolari, secondo le disposizioni vigenti. Infine, si ricorda che sono esenti da legalizzazione a condizione che rechino l''APOSTILLE' gli atti e i documenti rilasciati dagli Stati aderenti alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961.
3) LAVORATORI AVENTI TITOLO ALLE PRESTAZIONI PENSIONISTICHE (malattia). Continuano a pervenire quesiti in tema di riconoscibilità del diritto all’indennità di malattia nei confronti di assicurati aventi titolo a prestazioni pensionistiche. Al riguardo si conferma che ai soggetti in questione non compete il diritto all’indennità di malattia per gli eventi morbosi che iniziano successivamente alla data della cessazione del rapporto di lavoro (v. circ. n. 134406 AGO – n. 286 SL/149 del 23.7.1983, par. 7); ciò anche se la malattia inizia entro il termine di copertura assicurativa (due mesi, o 60 giorni se il conteggio è più favorevole, dalla cessazione del rapporto di lavoro). In sostanza, la limitazione opera nei confronti dei soggetti già titolari di un trattamento pensionistico al momento della cessazione del rapporto di lavoro nonché di quelli che cessano l’attività per pensionamento o comunque per acquisizione di un trattamento di quiescenza. I criteri sopra indicati riguardano la generalità degli assicurati (compresi i marittimi, tenendo conto ovviamente delle particolarità vigenti per la categoria: la cessazione del rapporto di lavoro coincide con il giorno dello sbarco; il periodo di copertura assicurativa ha la durata di 28 giorni) e vanno applicati anche nei confronti dei pensionati che, dopo la cessazione dell’attività, assumono un nuovo lavoro. Avuto riguardo infatti alla funzione dell’indennità di malattia, di compensare la perdita della retribuzione causata dall’evento morboso che rende il soggetto temporaneamente incapace al lavoro, la previsione di mantenimento, sia pure per un limitato periodo di tempo, del diritto alla indennità dopo la cessazione del rapporto di lavoro è da riferirsi soltanto a coloro che si trovano contingentemente privi di occupazione e non godono di erogazioni diverse, presupposti non rinvenibili nel caso di titolari di un trattamento di quiescenza. Resta inteso che quanto precede non rileva ai fini dell’indennizzabilità delle malattie iniziate prima della cessazione del rapporto di lavoro; queste saranno quindi indennizzate, nei limiti massimi previsti, anche per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro stesso, ovviamente se a tempo indeterminato (art. 5, comma 2, legge 638/1983) (6). A completamento delle indicazioni fornite, si ricorda infine (v. circ. n. 182/1997, par. 7) che l’indennità di malattia – quando l’evento denunciato, iniziato in costanza di lavoro, è riconducibile alla stessa patologia per la quale è stato concesso l’assegno di invalidità – spetta soltanto se è sanitariamente riscontrabile una riacutizzazione o una complicanza della patologia stessa, tale da produrre un’ incapacità lavorativa (7). Resta ferma l’incompatibilità tra la pensione di inabilità e l’indennità di malattia.
4) LAVORATORI ISCRITTI ALLA GESTIONE SEPARATA DI CUI ALL’ART. 2 COMMA 26, DELLA LEGGE N. 335/1995.
a) DECADENZA (malattia e maternità). In occasione della istruttoria dei ricorsi presentati dai lavoratori in argomento in materia di indennità di maternità e di indennità di malattia per i periodi di ricovero si è rilevato che talvolta nella lettera con cui viene data agli interessati la comunicazione di non accoglimento della domanda è indicato che l’azione giudiziaria per l’ottenimento della prestazione in contestazione è assoggettata ai termini di decadenza di un anno previsti dalla legge n. 438/1992. Al riguardo si precisa che la decadenza contemplata dalla legge suddetta è espressamente limitata alle prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti e quindi non è riferibile a quelle in esame. Non appare neppure possibile estendere in via analogica ai soggetti di cui trattasi la particolare disciplina in questione, atteso che le norme sulla decadenza hanno natura eccezionale e pertanto non possono applicarsi oltre i casi ed i tempi in esse considerati. Resta fermo, nella materia, il termine annuale di prescrizione, decorrente, secondo i criteri forniti con messaggio n. 009337 del 31.3.2006, dalla conclusione del procedimento amministrativo, salvo idonei atti interruttivi. Le Sedi sono pertanto invitate, a modificare nel senso anzidetto le indicazioni fornite sull’aspetto di interesse nelle comunicazioni di reiezione della prestazione.
b) DAY HOSPITAL (malattia). Con circolare n. 136/2003, a modifica delle disposizioni in precedenza impartite con circolare n.192/1996 sullo specifico aspetto, è stato disposto che ai fini erogativi di interesse le giornate per le quali viene documentata l’effettuazione di prestazioni in regime di day hospital sono da equiparare a giornate di ricovero. Il criterio vale anche per i lavoratori iscritti alla gestione separata di cui trattasi, fermo restando ovviamente che pure per dette giornate l’indennità va erogata secondo le diverse modalità e misure previste per la particolare categoria.
c) AUTOMATISMO DELLE PRESTAZIONI (malattia e maternità) Nei confronti dei soggetti iscritti alla gestione separata di cui trattasi si rammenta che non opera il c.d. principio dell’automatismo delle prestazioni previdenziali sancito per i “prestatori di lavoro”, dall’art. 2116 del cod. civ., in forza del quale le suddette prestazioni sono comunque garantite anche nel caso di mancato o irregolare versamento da parte dell’imprenditore dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti. Trattandosi infatti di lavoratori la cui attività è giuridicamente qualificabile come autonoma, il mancato o irregolare versamento dei contributi obbligatori impedisce la maturazione del diritto alle prestazioni e la conseguente corresponsione, in favore degli stessi, delle prestazioni medesime.
5) LAVORATORI AGRICOLI A TEMPO DETERMINATO. PERIODO INDENNIZZABILE (Malattia). Con circolare n. 220 dell’11 settembre 1992 sono state impartite istruzioni nel senso che per i lavoratori in esame può essere considerata utile, ai fini del raggiungimento del numero di giornate (almeno 51) necessario per il diritto alle prestazioni economiche di malattia, l’attività svolta nell’anno precedente nel medesimo settore agricolo, ma a tempo indeterminato. Come infatti sottolineato in alcune pronunce della Cassazione Sez. Lavoro (nn. 3568, 9500, 10530/1990 e 11551/1991), l’art. 5, comma 6, della legge 638/1983, nello stabilire per i lavoratori agricoli a tempo determinato il requisito occupazionale minimo delle 51 giornate, non distingue fra attività svolta quale lavoratore a tempo determinato o indeterminato. Peraltro, con circ. n. 145 del 1993, si è precisato che sul piano erogativo, quando il predetto requisito occupazionale minimo può essere conseguito utilizzando le giornate di lavoro a tempo indeterminato, resta ferma l’applicazione della specifica normativa vigente per i lavoratori agricoli a tempo determinato, pure per quanto concerne il massimo assistibile. In particolare l’Istituto aveva ritenuto che nel caso, al fine di individuare il numero di giornate indennizzabili, dovesse farsi riferimento in via analogica, anziché al comma sesto dell’art. 5 della legge 638/1983 (secondo cui il numero delle giornate di indennità non può superare la durata del periodo lavorativo svolto nell’anno precedente, che deve comunque essere non inferiore a 51 giornate), al comma terzo dello stesso articolo, che prevede un numero massimo di trenta giornate di indennità di malattia per i lavoratori a tempo determinato i quali nei dodici mesi precedenti l’evento morboso hanno prestato attività lavorativa per meno di trenta giorni. In senso contrario si è però pronunciata la Corte di Cassazione Sezione Lavoro (sentenza n. 249/2003), secondo la quale il richiamo al comma terzo dell’art. 5 ai fini della determinazione del massimo assistibile è contraddittorio. Secondo la predetta Corte, infatti, la diversa individuazione, a seconda del tipo di attività svolta, del numero delle giornate indennizzabili, contrasta con il comma sesto dell’art. 5, che non distingue, quanto all’attività prestata nel settore agricolo nell’anno precedente l’evento morboso, fra attività a tempo determinato e attività a tempo indeterminato. A modifica del criterio impartito con la sopra citata circolare n. 145/1993, si dispone pertanto che al lavoratore agricolo a tempo determinato che risulti aver prestato, nel corso dell’anno precedente, attività nel settore agricolo con la qualifica di lavoratore a tempo indeterminato per almeno 51 giornate, va riconosciuto il diritto alla corresponsione dell’indennità di malattia per un numero di giornate pari a quelli effettuate nell’anno precedente, fermi restando i limiti di durata massima previsti in materia. Le presenti istruzioni sono da intendersi applicabili ai casi di malattia non ancora definiti alla data della presente circolare nonché, su richiesta degli interessati, agli eventi definiti, per i quali non siano decorsi i termini di prescrizione e/o di decadenza annuali vigenti nella materia ovvero non siano intervenute sentenze passate in giudicato.
6) LEGGE N. 243 DEL 23 AGOSTO 2004: INCENTIVO AL POSTICIPO DEL PENSIONAMENTO (malattia).
Con riferimento ai lavoratori che beneficiano dell’incentivo al posticipo del pensionamento (cd. bonus) previsto dalla L. 243 del 23.8.2004 (art. 1, comma da 2 a 17), si ribadisce, come già precisato (si vedano a riguardo il Msg. n. 30721 del 1.10.04 e la circ. n. 150 del 11.11.04), che relativamente a tali lavoratori viene meno l’obbligo da parte del datore di lavoro del versamento della contribuzione a fini pensionistici, ivi incluso il contributo aggiuntivo dell’1% ex art. 3 ter della legge n. 438/1992, mentre resta fermo l’assoggettamento alle altre forme contributive, compresa la contribuzione per malattia. Stante la permanenza del relativo obbligo contributivo ne deriva che ai lavoratori che decidano di fruire del cd. bonus spetta il diritto all’indennità di malattia secondo la disciplina generale applicabile ai lavoratori subordinati (8). In particolare, atteso che, in caso di fruizione del cd. bonus, la somma corrispondente alla contribuzione che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare all’INPS a fini pensionistici viene interamente corrisposta al lavoratore, la somma stessa non dovrà essere inclusa, in base ai principi generali vigenti nella materia, nella retribuzione utile per il calcolo delle indennità in argomento.
7) RIPOSI GIORNALIERI (c.d. per allattamento) .
7.1 DIRITTO AI RIPOSI E “BANCA ORE”.
Sono pervenute a questa Direzione centrale richieste di chiarimenti in merito alla possibilità di cumulare le “ore di recupero” – ossia le ore espletate oltre il previsto orario giornaliero di lavoro ed accumulate con il sistema della “banca ore”- con i periodi di riposo per allattamento di cui agli artt. 39 e ss. del D.Lgs. 151/2001 (T.U. della maternità). E’ stato chiesto, in particolare, se, ai fini della fruizione di tali riposi, sia possibile considerare le suddette “ore di recupero” come “ore di lavoro effettivo” in altra giornata rispetto a quella di effettuazione delle ore stesse. In adesione ad analogo parere espresso, in merito alla sopra citata problematica, dal Coordinamento generale legale di questo Istituto, si precisa che, ai fini del diritto ai riposi giornalieri di cui trattasi (e al relativo trattamento economico), va preso a riferimento l’orario giornaliero contrattuale normale – quello, cioè, in astratto previsto- e non l’orario effettivamente prestato in concreto nelle singole giornate. Ne consegue pertanto che i riposi in questione sono riconoscibili anche laddove la somma delle ore di recupero e delle ore di allattamento esauriscano l’intero orario giornaliero di lavoro comportando di fatto la totale astensione dall’attività lavorativa.
7.2 RIPOSI GIORNALIERI E PART-TIME.
Si forniscono chiarimenti in merito alla possibilità di riconoscere i riposi giornalieri nel caso limite della lavoratrice madre a tempo parziale c.d. orizzontale, tenuta in base al programma contrattuale ad effettuare solo un’ora di lavoro nell’arco della giornata. In linea con l’orientamento espresso in proposito dal Ministero vigilante– orientamento recentemente confermato dal Coordinamento generale legale dell’Istituto- la scrivente Direzione è pervenuta ad un’interpretazione di segno favorevole nella considerazione che la dizione letterale della norma (art. 39, comma 1, del citato testo unico) non pare interdire una siffatta possibilità, limitandosi soltanto a prevedere l’orario giornaliero di lavoro (6 ore) al di sotto del quale il riposo è pari ad un’ora, ma non anche l’orario di lavoro minimo necessario per poter fruire del riposo giornaliero. L’eventuale coincidenza del riposo giornaliero con l’unica ora di lavoro, pur comportando la totale astensione della lavoratrice dall’attività lavorativa, non precluderà pertanto il riconoscimento del diritto al riposo in questione.
7.3 DIRITTO DEL PADRE AI RIPOSI IN CASO DI PARTO PLURIMO .
A parziale rettifica delle istruzioni fornite con circ. 8/2003, par. 2, si forniscono chiarimenti in merito al diritto del padre, lavoratore dipendente, al raddoppio dei periodi di riposo giornaliero di cui agli artt. 39 e ss. del testo unico vigente in materia, con particolare riferimento all’ipotesi in cui, trattandosi di madre lavoratrice non dipendente, si verifichi il c.d. parto plurimo.
In particolare, fermo restando che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 40, lett. c, del D. Lgs. 151/2001 (T.U. della maternità), per madre lavoratrice non dipendente deve intendersi la lavoratrice autonoma (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta, colona, mezzadra, imprenditrice agricola professionale, parasubordinata e libera professionista) avente diritto ad un trattamento economico di maternità a carico dell’Istituto o di altro Ente previdenziale, si precisa - in linea con l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale sempre più tendente ad assicurare ad entrambi i genitori un ruolo paritario nelle cure fisiche ed affettive del bambino – che, anche nell’ipotesi considerata, il padre dipendente può fruire, in caso di parto plurimo, del beneficio in esame in misura raddoppiata secondo quanto previsto dall’art. 41 del presente testo unico.
Circa le modalità di fruizione dei riposi giornalieri nella specifica ipotesi considerata (parto plurimo di madre lavoratrice non dipendente), si precisa inoltre che il padre lavoratore dipendente può fruire dei riposi stessi anche durante i tre mesi dopo il parto nonché durante l’eventuale periodo di congedo parentale della madre; in tali periodi, tuttavia, il diritto spetta nella misura di 2 ore o 1 ora a seconda dell’orario di lavoro, in analogia a quanto disposto in merito alle ore “aggiuntive” riconosciute al padre in caso di madre lavoratrice dipendente (v. circ. 109/2000, par. 2.2., 3° capoverso).
7.4 DIRITTO DELLE LAVORATRICI IN DISTACCO SINDACALE .
La giurisprudenza di legittimità ha espresso l’orientamento, ormai consolidato, secondo cui , durante i periodi di aspettativa sindacale non retribuita ai sensi dell’art.31 della legge 20 maggio 1970, n 300, in caso di maternità, la lavoratrice conserva nei confronti degli enti competenti il diritto all’erogazione delle prestazioni di qualsiasi natura ( sanitaria o economica ) esse siano. Tale principio generale va, pertanto, applicato anche all’indennità per i riposi giornalieri, atteso che l’indennità cosiddetta per allattamento costituisce una delle prestazioni a tutela della maternità, in specie alternativa ( e comunque integrativa ) rispetto al congedo parentale durante il primo anno di vita del bambino. Più in particolare, con riferimento specifico al calcolo dell’indennità in questione, si dovrà fare riferimento alla retribuzione che la lavoratrice avrebbe maturato allorché fosse rimasta in servizio, desumibile dall’ultimo CCNL relativo al settore produttivo di appartenenza della lavoratrice ed alle mansioni svolte prima del distacco sindacale.
8) ASSEGNI NON RISCOSSI (malattia e maternità).
E’ stato chiesto se nel caso in cui l’indennità di malattia e maternità sia stata corrisposta mediante assegno ed il lavoratore abbia trascurato di riscuoterlo, si possa eccepire la prescrizione annuale ex art. 6 della legge n. 138/1943 alla richiesta di riemissione dell’assegno stesso, avanzata dall’interessato dopo che è trascorso oltre un anno dalla ricezione del primo assegno. Al riguardo si fa presente che l’emissione dell’assegno, stante la sua natura di mezzo di pagamento, non produce la novazione del rapporto fondamentale sottostante, che quindi rimane in essere con tutte le caratteristiche sue proprie, ivi compresa quella che attiene alla prescrizione applicabile. La riemissione in pagamento di assegni per le prestazioni economiche in questione deve intendersi quindi subordinata in ogni caso alla verifica del mancato decorso del termine di prescrizione annuale predetto, fatto salvo l’effetto interruttivo da attribuire all’emissione del precedente assegno, in cui deve ravvisarsi un riconoscimento di debito da parte dell’Istituto.
9) ESPERIBILITÀ DELL’AZIONE DI SURROGA IN IPOTESI DI MOBBING (malattia).
Alcune Sedi hanno chiesto se la presenza di patologie riconducibili, sulla scorta delle dichiarazioni rese dall’assicurato, a possibili situazioni di mobbing (9), sia presupposto idoneo e sufficiente per intraprendere l’azione di surroga per responsabilità di terzi. Al riguardo si osserva che per la giurisprudenza prevalente gli elementi essenziali della fattispecie sono: l’aggressione o persecuzione di carattere psicologico; la sua frequenza, sistematicità e durata nel tempo; il suo andamento progressivo; le conseguenze patologiche gravi che ne derivano per il lavoratore. In relazione a quanto precede è evidente che la prova del nesso causale tra il pregiudizio subito e la malattia è particolarmente ardua, in quanto il lavoratore, per ottenere il risarcimento, deve dimostrare il collegamento della malattia con una pluralità di comportamenti che si inseriscono in una precisa strategia persecutoria posta in essere dal datore di lavoro al fine di isolarlo psicologicamente e fisicamente. L’Istituto troverebbe pertanto gravi difficoltà nell’intentare cause autonome per mobbing, dovendo provare gli elementi costitutivi della fattispecie e, in particolare, il nesso causale. Sulla base delle considerazioni sopra esposte, ferma restando l’esperibilità in astratto dell’azione surrogatoria nelle situazioni in questione ( trattandosi comunque di menomazione della capacità lavorativa ascrivibile a comportamento doloso del terzo responsabile ), di norma le Sedi non daranno avvio ad autonoma procedura di recupero per i casi di malattia semplicemente additati come mobbing e privi di un accertamento giudiziale di responsabilità del datore di lavoro.
10) INVIO DELLA CERTIFICAZIONE MEDICA PER LE MALATTIE CHE SI ESAURISCONO IN CARENZA (malattia) .
È stato chiesto se nel caso di malattie che si esauriscono in carenza il lavoratore possa consegnare la certificazione medica al solo datore di lavoro, omettendo cioè di inviarla all’INPS. Al riguardo si fa presente che le disposizioni vigenti (art. 1, comma 149 della legge 30.12.2004, n.311, che ha sostituito i commi 1 e 2 della legge n. 33/1980) prevedono in via generale che, nei casi di infermità comportanti incapacità lavorativa, la certificazione rilasciata ai lavoratori aventi diritto all’indennità di malattia debba essere inviata ai destinatari previsti (INPS e datore di lavoro). Avuto riguardo a quanto precede si ritiene quindi che l’onere dell’invio della certificazione all’INPS permanga pure relativamente alle malattie di durata inferiore a quattro giorni (per le quali, come noto, non è dovuto il trattamento previdenziale), tenuto conto anche dei riflessi che possono porsi nell’eventualità di successive ricadute.
Note: (1) Nell’eventualità che dette giornate coincidano con la domenica, si applicheranno ovviamente le disposizioni vigenti per le domeniche stesse (non indennizzabilità per gli operai, corresponsione dell’indennità per gli impiegati). La situazione non è infatti equiparabile alle “festività infrasettimanali coincidenti con la domenica” – non indennizzabili neanche agli impiegati-, avendo le giornate in questione perso, per effetto della legge sopra citata, la connotazione di “festività”. (2) Se ad esempio il datore di lavoro corrisponde il 6 novembre 2005 (prima domenica del mese di novembre) il compenso aggiuntivo previsto per la giornata ex festiva del 4 novembre 2005 (venerdì), all’impiegato assente per malattia il 4 novembre spetta, per tale ultimo giorno, la prestazione previdenziale in quanto trattasi di giornata non retribuita. Il 6 novembre 2005 non sarà peraltro indennizzabile, non perché coincidente con la domenica, ma perchè retribuito. (3) Si elencano, ad ogni buon conto, oltre all’Italia, i Paesi ai quali, alla data del 1 gennaio 2006 viene applicata la normativa comunitaria: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito (Gran Bretagna e Irlanda del Nord), Repubblica Ceca, Repubblica di Cipro, Slovenia, Slovacchia, Spagna, Svezia e Ungheria. Con l’occasione si ricorda ad ogni buon conto che a decorrere dal 1.6.2004 il formulario E111 è stato sostituito dalla TEAM (Tessera Europea Assicurazione Malattia), e che dalla stessa data è stato soppresso il formulario E 113 (v. messaggio n. 027699 del 1.8.2005). (4) I testi dei relativi Accordi e Convenzioni sono consultabili su “INPS INTERNET” (INPS; Informazioni; Panorama internazionale; Le convenzioni internazionali; Normativa; Stati esteri - convenzioni bilaterali). (5) Sono ancora applicabili gli accordi a suo tempo stipulati con l’ex Yugoslavia. (6) Si rammenta che, diversamente dagli altri assicurati, ai lavoratori dello spettacolo ed ai marittimi non è applicabile il divieto di corrispondere trattamenti economici di malattia dopo la cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato (v. comma 7, art. 7, della legge n. 638/1983). (7) Il particolare accertamento non è ovviamente necessario se la malattia denunciata è diversa. (8) Poiché per i lavoratori di cui trattasi permane anche l’assoggettamento alla contribuzione per maternità, gli stessi hanno anche diritto alle relative prestazioni, limitate peraltro verosimilmente a casi di adozione, affidamento o permessi per handicap. (9) Come indicato nella sentenza n. 623 del 25.10.2005 della III Sez. Centrale d’Appello della Corte dei Conti, si verifica una situazione di mobbing “quando un dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori e, in particolare, quando vengono poste in essere pratiche dirette ad isolarlo dall’ambiente di lavoro o ad espellerlo, con la conseguenza di intaccare gravemente l’equilibrio psichico dello stesso, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talvolta persino il suicidio”.
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