REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

N.1226/04

Reg.Dec.

N. 6740 Reg.Ric.

ANNO   2003

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sul ricorso in appello proposto dall’azienda policlinico umberto i, in persona del Direttore Generale p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti F.G., S.M., M. e G.C. A. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, via delle Quattro Fontane n. 15;

contro

M.A, rappresentato e difeso dall’avv. M.S., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Viale Parioli n. 180;

e nei confronti

dell’università degli studi di roma “la sapienza”, in persona del Rettore p.t. rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente domiciliata in Roma in Via dei Portoghesi n. 12;

del ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in persona del Ministro p.t., non costituito;

della regione lazio, in persona del Presidente p.t. della Giunta regionale, non costituita;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio, sez. III, 29 maggio 2003, n. 4857.

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 16 dicembre 2003 relatore il Consigliere dott. Roberto Garofoli;

Uditi l’avv. M, l’avv. P. per delega dell’avv. S., l’avv. S. e l’avv. dello Stato V.

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso di primo grado l’odierno appellato, professore ordinario di 1^ fascia dell’Università di Roma “La Sapienza” incardinato nella Facoltà di Medicina e Chirurgia, titolare nell’ambito del Policlinico Universitario Umberto I di funzioni assistenziali connesse all’attività didattica e di ricerca, ha impugnato la nota del Direttore Generale datata 30 gennaio 2003 con la quale è stata disposta la cessazione della ordinaria attività assistenziale a far data dal 1 febbraio 2003.

Ha dedotto, in particolare, le seguenti censure:

I. – violazione e falsa applicazione del D.P.R. 382/80 e dell’art. 15 nonies D.Lg.vo 229/99 nel testo novellato dalla Consulta con sentenza n. 71/2001, del D. Lg.vo 21 dicembre 1999 n. 517 nonché del D.P.C.M. 24 maggio 2001. Violazione della L. 241/90 nonché dei principi in tema di procedimento amministrativo. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche in particolare sviamento, falsità della causa e dei presupposti, illogicità, perplessità, erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto.

Si è censurato il comportamento del Direttore Generale che a dicembre ha inviato al Rettore un atto redatto unilateralmente, ignorando la situazione fattuale delle varie disparate unità operative e, il 31 gennaio, ha comunicato al ricorrente che si è consolidato a suo danno un provvedimento negativo per asserita inottemperanza del Rettore all’intesa, con collocamento in “pensionamento assistenziale” praticamente il giorno dopo, per di più in violazione delle regole procedimentali prescritte dalla legge 241/90;

II. – violazione e falsa applicazione del DPR 382/80 e dell’art. 15 nonies D.Lg.vo 229/99 nel testo novellato dalla Consulta con sentenza n. 71/2001, del D. Lg.vo 21 dicembre 1999 n. 517 nonché del D.P.C.M. 24 maggio 2001. Violazione del giudicato e dei principi in tema di diritto di difesa. Violazione della L. 241/90 nonché dei principi in tema di procedimento amministrativo. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche in particolare sviamento, falsità della causa e dei presupposti, illogicità, perplessità, erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto.

Si è contestata la nota del Direttore Generale sul rilievo secondo cui solo dall’operatività dell’Accordo Università-Azienda può discendere l’entrata in vigore del Protocollo che in modo espresso rimette ad Accordi Attuativi le modalità di espletamento della nuova disciplina. Inoltre, in mancanza di puntuale istruttoria ed in assenza del dovuto procedimento, il Direttore Generale ha unilateralmente adottato il provvedimento in tempi ristretti sul presupposto che, in mancanza di obiezioni formulate dal Rettore, il Disciplinare – peraltro generico – era da ritenersi approvato e, quindi, formato l’Accordo. Ma in nessuna parte del Protocollo – continua il ricorrente – è rinvenibile un termine entro il quale il Rettore avrebbe dovuto esprimere le sue osservazioni e le forme di silenzio assenso sono legalmente tipizzate, per cui palese è la circostanza che nella specie non si sarebbe realizzato l’incontro di due volontà espressamente manifestate.

Avverso la sentenza con la quale il primo Giudice ha accolto il ricorso insorge l’appellante sostenendone l’erroneità e chiedendone quindi l’annullamento.

All’udienza del 16 dicembre 2003 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Giova ricostruire il quadro normativo e la vicenda amministrativa.

La questione portata al vaglio del Collegio è quella relativa al cosiddetto “pensionamento assistenziale” del personale medico universitario, previsto dall’art. 15 – nonies, comma 2, del Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, aggiunto dall’art. 13 del D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229.

Questa disposizione – relativa alla cessazione dalle ordinarie attività assistenziali e dalla direzione di strutture assistenziali per raggiunti limiti di età pur in costanza di servizio universitario per l’attività docente e di ricerca – così recita:

“Il personale medico universitario di cui all’articolo 102 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, cessa dallo svolgimento delle ordinarie attività assistenziali di cui all’articolo 6, comma 1, nonché dalla direzione delle strutture assistenziali, al raggiungimento del limite massimo di età di sessantasette anni. Il personale già in servizio cessa dalle predette attività e direzione al compimento dell’età di settanta anni se alla data del 31 dicembre 1999 avrà compiuto sessantasei anni e all’età di sessantotto anni se alla predetta data avrà compiuto sessanta anni. I protocolli d’intesa tra le regioni e le Università e gli accordi attuativi dei medesimi, stipulati tra le Università e le aziende sanitarie ai sensi dell’articolo 6, comma 1, disciplinano le modalità e i limiti per l’utilizzazione del suddetto personale universitario per specifiche attività assistenziali strettamente correlate all’attività didattica e di ricerca”.

Come noto, la Corte Costituzionale, con sentenza 7 – 16 marzo 2001, n. 71, ha dichiarato l’illegittimità del suddetto comma nella parte in cui dispone la cessazione del personale medico universitario in argomento dallo svolgimento delle ordinarie attività assistenziali, nonché dalla direzione delle strutture assistenziali, al raggiungimento dei limiti massimi di età ivi indicati, in assenza della stipula dei protocolli d’intesa tra università e regioni previsti dalla stessa norma ai fini della disciplina delle modalità e dei limiti per l’utilizzazione del medesimo personale universitario per specifiche attività assistenziali strettamente connesse all’attività didattico – scientifica.

L’Università di Roma “La Sapienza” e la Regione Lazio hanno quindi sottoscritto in data 2 agosto 2002 il relativo protocollo di intesa, recante disciplina dell’attività assistenziale necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’Università (art. 1, comma 1, D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517). In particolare l’art. 8 dell’allegato I, recante Norme in materia di personale docente, prevede che “Il personale medico universitario di cui all’articolo 102 del D.P.R. 11.7.1980, n. 382, cessa dallo svolgimento delle ordinarie attività assistenziali nonché dalla direzione delle strutture assistenziali, ove ricoperte, al raggiungimento dei limiti massimi di età indicati nell’art. 15 nonies, comma 2, del D.Lgs. 30.12.1992, n. 502 aggiunto dall’articolo 13 del D.Lgs 19.6.1999, n. 229 (la cessazione dell’attività assistenziale sarà contestuale alle risultanze anagrafiche). Detto personale universitario per specifiche attività assistenziali strettamente connesse all’attività di didattica e di ricerca potrà essere utilizzato nell’ambito del dipartimento di appartenenza, all’interno del monte ore previsto dal relativo stato giuridico universitario (350 ore tempo pieno, 250 ore tempo definito), fino ad un massimo del 60 % dello stesso. Le modalità di espletamento di questa disciplina andrà inserita nell’organizzazione dei reparti e dei servizi d’intesa tra Direttore generale e Rettore per la necessità di armonizzare la disciplina stessa alle specificità dei singoli dipartimenti. Tale disciplina si applica fino al collocamento fuori ruolo, previsto dalle normative vigenti. Con l’inizio dell’Anno Accademico 2002/2003 entreranno in vigore le norme di cui al presente punto”.

Con provvedimento del 30 gennaio 2003, impugnato in primo grado, il Direttore Generale ha disposto la cessazione dalle funzioni assistenziali con effetto dal 1° febbraio 2003, ai sensi dell’art. 15 – nonies, comma 2, del D. Lvo 19 giugno 1999, n. 229, pur in mancanza di apposita stipulazione dell’accordo attuativo.

Più nel dettaglio, all’adozione di tale provvedimento il Direttore Generale è pervenuto, stando alla tesi difensiva sostenuta dall’Azienda, sull’assunto secondo cui, a seguito della formalizzazione della richiesta di intesa, trasmessa con raccomandata del 23 dicembre 2002 e poi reiterata, avente ad oggetto il “disciplinare per lo svolgimento della attività assistenziali residue connesse con la didattica e la ricerca da parte del personale universitario cessato per raggiunti limiti di età dalle attività assistenziali ordinarie”, si sarebbe raggiunta l’intesa ancorché per comportamento concludente del Rettore; circostanza, questa, asseritamene confortata dall’ulteriore silenzio serbato dal Rettore a fronte della nota con la quale l’Azienda sanitaria, in data 17 gennaio 2003, ha manifestato la presa d’atto del consenso ritenuto implicitamente rappresentato dallo stesso Rettore sul disciplinare inviatogli.

Ciò posto, il Collegio, salva la prospettabilità in altra sede di eventuali forme di responsabilità del Rettore ricollegabili alla condotta omissiva ripetutamente posta in essere, ritiene di dover disattendere le argomentazioni con cui la difesa dell’Azienda appellante ha sostenuto che l’intesa si sarebbe perfezionata per effetto di un complessivo comportamento significativo e concludente dello stesso Rettore.

Come rimarcato dal primo Giudice, lo strumento dell’intesa – che costituisce una delle possibili forme di attuazione del principio di leale cooperazione (nella specie tra lo Stato e le Regioni) – si sostanzia in una paritaria codeterminazione del contenuto dell’atto sottoposto ad intesa, da realizzare e ricercare, laddove occorra, attraverso reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo. E’ pur vero che tale forma di partecipazione, proprio in quanto ispirata a esigenze di leale cooperazione, non deve condurre a situazioni paralizzanti né tradursi in una lesione del principio di buon andamento dell’amministrazione, quale quella che si verrebbe a determinare ove il procedimento non dovesse concludersi entro termini ragionevoli. Ma questo giusto rilievo – se rende certamente auspicabile la previsione da parte del legislatore, nelle ipotesi di intesa, di termini certi per la conclusione del procedimento, nonché di meccanismi sostitutivi destinati a superare eventuali atteggiamenti ostruzionistici – non può, d’altro canto, giustificare, in assenza di tali termini e di tali meccanismi, da parte della competente Autorità tenuta a pronunciarsi sulla proposta, un declassamento dell’attività di codeterminazione connessa all’intesa in una mera attività consultiva non vincolante” (Corte cost., nn. 747/1988; 351/1991).

In assenza, quindi, di una previsione normativa che assegni al silenzio serbato da una delle Autorità tra cui l’intesa deve formarsi il significato di assenso sulla proposta formulata dall’altra, deve ritenersi che, ferme si ribadisce le possibili responsabilità connesse a quell’atteggiamento omissivo, il solo strumento giuridico azionabile nel tentativo di ovviare alle inerzie in cui incorra l’Amministrazione tenuta a manifestare il consenso sia quello del silenzio rifiuto secondo le sue tipiche e rituali formalità che consentono di acclarare l’inattività e di sanzionare l’inadempimento, a termini del novellato art. 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

E non vi è dubbio che le esposte coordinate ermeneutiche debbano applicarsi al caso di specie atteso che, a prescindere dalla questione relativa alla applicabilità del termine di quindici giorni all’intesa di cui si tratta, nonché da quella afferente la natura sollecitatoria o perentoria dello stesso, manca la espressa previsione di meccanismi sostitutivi destinati a superare gli atteggiamenti ostruzionistici posti in essere da una delle Autorità chiamate a perfezionare l’intesa; sicché non restava che azionare il rimedio di cui al citato art. 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

Alla stregua delle ragioni esposte va dunque respinto il ricorso.

Spese compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso.

Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2003 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

 

Giorgio GIOVANNINI                                       Presidente

Luigi MARUOTTI                                              Consigliere

Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI                  Consigliere

Lanfranco BALUCANI                                      Consigliere

Roberto GAROFOLI                                         Consigliere Est.

 

 

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