Attività lavorativa durante l'assenza per infortunio e doveri integrativi del lavoratore
Cass. Sez. Lav., Sentenza 30.10.2018 n. 27656
La sentenza della Cassazione n. 27656 del 30 ottobre 2018 contribuisce a
definire cosa si intenda per esatto adempimento dell'obbligazione
lavorativa in costanza di malattia. Il caso è quello di un lavoratore
che, pur non essendosi attenuto alle prescrizioni mediche di assoluto
riposo, aveva svolto durante il periodo di malattia attività
lavorative potenzialmente idonee a comprometterne la guarigione senza
che, di fatto, le sue condizioni di salute fossero poi
peggiorate. Ancora una volta, la giurisprudenza di legittimità si muove
nel solco da tempo elaborato da parte di quella dottrina che ha inteso
riconoscere alla buona fede il ruolo di fonte integrativa
dell'obbligazione contrattuale, attraverso la predisposizione di
obblighi accessori di carattere strumentale alla corretta esecuzione del
contratto. Pur in mancanza di un divieto assoluto in materia, non può
in linea di principio escludersi che lo svolgimento di attività
lavorativa nei confronti di terzi durante l'assenza per malattia non
determini proprio la violazione di quei doveri integrativi di sopra
richiamati configurando, di conseguenza, giustificato motivo di recesso
da parte del datore di lavoro. Il giudice dovrà tener conto degli
specifici doveri di correttezza e di fedeltà posti a carico del
lavoratore attenendosi, però, ad un criterio ermeneutico che proceda ad
un'analisi ex ante della potenzialità del pregiudizio integrato
dall'attività lavorativa svolta durante il periodo di malattia, essendo
del tutto irrilevante che il mancato rigoroso rispetto della
prescrizione medica non abbia poi, in concreto, comportato alcun
pregiudizio al processo di guarigione in corso (come attestato, nel
presente caso, dalla esperita CTU medico-legale). La Suprema Corte
precisa infatti che costituisce giustificato motivo di recesso non solo "
lo svolgimento di altra attività da parte del dipendente assente per
malattia, di per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza
dell'infermità addotta a giustificazione dell'assenza, dimostrando
quindi una sua fraudolenta simulazione " ma anche "l'attività esercitata
- valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della
infermità denunciata, nonché alle mansioni svolte nell'ambito del
rapporto di lavoro - ... tale da pregiudicare o ritardare, anche
potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore".
(Marco Dami)
***
Corte di Cassazione
la seguente SENTENZA sul ricorso 2783-2017 proposto da: [PARTE RICORRENTE], - ricorrente
contro
[SOCIETA'
CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE]; - intimata Nonché
da: [SOCIETA' CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE]; -
controricorrente e ricorrente incidentale
avverso la sentenza n. 398/2016 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 16/11/2016, R.G.N. 412/2016; [OMISSIS]
FATTI DI CAUSA
Il
Tribunale di Ascoli Piceno rigettava la domanda proposta da [PARTE
RICORRENTE] nei confronti della [SOCIETA' CONTRORICORRENTE E RICORRENTE
INCIDENTALE] intesa a conseguire la declaratoria di illegittimità del
licenziamento per giusta causa intimatogli in data 8/4/2015 in relazione
al comportamento assunto durante un periodo di malattia conseguente ad
infortunio sul lavoro. Adita dal lavoratore, la Corte d'Appello
di Ancona con sentenza resa pubblica il 16/11/2016, in riforma della
pronuncia di primo grado, accertava l'insussistenza della giusta causa
di licenziamento, dichiarava risolto il rapporto di lavoro fra le parti e
condannava la società al pagamento in favore di [PARTE RICORRENTE],
dell'indennità risarcitoria spettante ai sensi dell'art.18 comma 5
1.300/70 nella misura di diciotto mensilità dell'ultima retribuzione
globale di fatto. La Corte distrettuale perveniva a tale convincimento,
in estrema sintesi, sul rilievo che la condotta oggetto di incolpazione
era consistita nello svolgimento - durante il periodo di malattia -
di una attività quotidiana ritenuta incompatibile con lo stato di salute
del lavoratore. Tale condotta integrava violazione dell'obbligo di
diligenza che incombe sul lavoratore e che avrebbe dovuto indurlo a
rispettare le prescrizioni mediche concernenti l'osservanza di
un periodo di riposo dopo il verificarsi dell'evento infortunistico. Il
dipendente avrebbe dovuto, quindi, astenersi dal compiere attività che,
sebbene non particolarmente gravose, perché consistite nella quotidiana
collaborazione alla vita familiare, si ponevano obiettivamente
in contrasto con le prescrizioni mediche impartite. Sotto altro
versante, la Corte giudicava la sanzione applicata non proporzionata
rispetto al comportamento posto in essere dal lavoratore, perché non
connotato da profili di tale gravità da impedire, anche temporaneamente,
la prosecuzione del rapporto. Gli approdi ai quali era pervenuta
la esperita CTU medico-legale, escludevano, infatti, che lo svolgimento
di attività nei giorni successivi all'infortunio - seppure non
esattamente rispettosa delle prescrizioni mediche - avesse "determinato
un aggravamento della malattia". Discendeva coerente, dalle
esposte premesse in fatto, l'applicazione della tutela indennitaria
prescritta dal comma quinto del novellato art.18 1.300/70. Avverso tale
decisione il lavoratore interpone ricorso per cassazione affidato a due
motivi. n. r.g. 2783/2017 Resiste con controricorso la società, che
spiega ricorso incidentale sostenuto da due motivi, successivamente
illustrati da memoria ex art.378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con
il primo motivo del ricorso principale si denuncia falsa applicazione
degli artt.7 e 18 1.300/70 e 2119 c.c. in relazione all'art.360 comma
primo n.3 c.p.c.. Si criticano gli approdi ai quali è pervenuta la Corte
di merito, tralasciando di considerare che l'addebito formulato dalla
parte datoriale concerneva in via prioritaria la simulazione fraudolenta
dell'infortunio. Tale mancanza integrava, ontologicamente, la vera
essenza del rilievo disciplinare, la cui sussistenza risultava smentita
già nella fase sommaria del primo grado, posto che la genesi lavorativa
dell'infortunio era stata acclarata dalla espletata consulenza
medico- legale. L'unitaria operazione valutativa delle mancanze ascritte
al lavoratore, avrebbe dovuto indurre i giudici del gravame alla
declaratoria di nullità del licenziamento per la insussistenza del
fatto, con applicazione della tutela approntata dal comma 4
art.18 1.300/70 novellato ex lege n.92/2012. 2. Il motivo presenta
evidenti profili di inammissibilità. Secondo l'insegnamento di
questa Corte, cui va data continuità, qualora una determinata questione
giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata
in alcun modo nella sentenza impugnata né indicata nelle conclusioni
ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di
legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per
novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta
deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di
indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente
lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare
"ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel
merito la questione stessa (ex plurimis, vedi Cass. 22/4/2016 n.8206,
Cass.18/10/2013 n.23675). Nel giudizio di cassazione, infatti, che
ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla
regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte,
non sono prospettabili nuove questioni di diritto o temi di
contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne
che non si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell'ambito
delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel n.
r.g. 2783/2017 dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto
dedotti (in termini, Cass.26/3/2012 n.4787). Nello specifico, le
condizioni per scrutinare detta censura non sussistono, perché l'iter
motivazionale percorso dalla Corte distrettuale non reca
alcun riferimento alla simulazione dell'infortunio quale oggetto di
specifica contestazione di addebito formulata da parte datoriale in data
8/3/15, di guisa che la questione sollevata si atteggia come
sicuramente eccentrica rispetto al thema deddendum, non avendo
indicato il ricorrente i tempi e modi di prospettazione della relativa
questione nel corso del giudizio di merito; né può tralasciarsi di
considerare che non risulta riportato il contenuto della lettera di
contestazione oggetto di censura, in violazione del principio di
specificità dei motivi cui va modulato il ricorso per cassazione ex
art.366 n. 6 c.p.c., e del quale il principio di autosufficienza è
corollario (vedi Cass. 3/1/14, n. 48, Cass. 18/10/13, n. 23675 ed in
motivazione Cass. S.U. 22/5/2012 n.8077). La censura non si sottrae,
dunque, ad un giudizio di inammissibilità.
3. Con il secondo
motivo si prospetta falsa applicazione degli artt.18 1.300/70, 1176,
2104 e 2119 c.c. in relazione all'art.360 comma primo n.3 c.p.c.. Si
critica l'iter argomentativo seguito dai giudici del gravame i quali
hanno scrutinato la condotta assunta dal lavoratore nel periodo di
malattia, elaborando un giudizio in astratto ed ex ante, piuttosto che,
come doveroso, un giudizio in concreto ed ex post. Applicando il
suddetto metodo ermeneutico, avrebbero dovuto escludere la violazione
degli obblighi di correttezza e buona fede scaturenti dalla obbligazione
lavorativa, in quanto il mancato rigoroso rispetto della prescrizione
medica, non aveva arrecato - secondo le conclusioni rassegnate
dall'ausiliare medico legale - alcun pregiudizio al processo di
guarigione in corso.
4. Il motivo non è fondato. In tema di
svolgimento di attività lavorativa durante l'assenza per malattia, la
giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente univoci. In linea
di principio, (con riferimento allo svolgimento di attività lavorativa
nei confronti di terzi) si è affermato che non sussiste nel nostro
ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare attività
lavorativa, anche a favore di terzi, durante il periodo di assenza
per malattia. Siffatto comportamento può, tuttavia, costituire
giustificato motivo di recesso da parte del datore di lavoro ove integri
una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli
specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà. Ciò può
avvenire quando lo svolgimento di altra attività da parte del dipendente
assente per malattia sia di per sè sufficiente a far presumere
l'inesistenza dell'infermità addotta a giustificazione dell'assenza,
dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, o quando
l'attività stessa - valutata in relazione alla natura ed alle
caratteristiche della infermità denunciata, nonchè alle mansioni svolte
nell'ambito del rapporto di lavoro - sia tale da pregiudicare
o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in
servizio del lavoratore, con violazione di un'obbligazione che la
dottrina inserisce nella categoria dei doveri preparatori e strumentali
rispetto alla corretta esecuzione del contratto (cfr. Cass. 1/7/2005
n.14046, Cass. 29/11/2012 n.21253, e da ultimo Cass.27/4/2017 n.10416).
Ad ulteriore specificazione di tale dictum, si è precisato (sempre con
riferimento allo svolgimento di attività di lavoro per conto di terzi),
che la valutazione del giudice di merito, in ordine all'incidenza del
lavoro sulla guarigione, ha per oggetto il comportamento del
dipendente nel momento in cui egli, pur essendo malato e (per tale
causa) assente dal lavoro cui è contrattualmente obbligato, un'attività
che può recare pregiudizio al futuro tempestivo svolgimento di tale
lavoro; in tal modo, la predetta valutazione è costituita da un
giudizio ex ante, ed ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio",
con l'ulteriore conseguenza che "ai fini di questa potenzialità, la
tempestiva ripresa del lavoro resta irrilevante" (Cass. n.14046/2005
cit.). A siffatti principi si è conformata la Corte di merito che,
con accertamento in fatto adeguatamente argomentato, come tale
insindacabile in questa sede di legittimità (vedi Cass. 15/1/16, n.
586), ha dedotto che a seguito dell'infortunio, il medico specialista
aveva prescritto che il paziente dovesse rimanere a riposo con
tutore per 15 giorni con ghiaccio in loco; ha precisato che l'attività
quotidiana svolta dal lavoratore, documentata dall'indagine ispettiva
disposta dalla società, sia pure con il supporto del tutore, non aveva
rispettato i dettami della prescrizione sanitaria; ha quindi concluso,
con valutazione ex ante, che tale comportamento, aveva reso incerto il
positivo esito del processo di guarigione, con violazione di
un'obbligazione preparatoria e strumentale rispetto alla corretta
esecuzione del contratto, oltre che degli specifici
obblighi contrattuali di diligenza, così ponendosi in linea con i
numerosi arresti di questa Corte secondo cui costituisce illecito
disciplinare l'espletamento di attività extralavorativa durante il
periodo di assenza per malattia non solo se da tale comportamento derivi
un'effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro, ma
anche quando la ripresa sia solo messa in pericolo dalla condotta
imprudente (ex multis, vedi Cass. 5/8/15, n. 16465).n. r.g. 2783/2017 La
statuizione della Corte di merito oggetto di critica, in quanto congrua
e conforme a diritto per quanto sinora detto, si sottrae alla censura
all'esame.
5. Con il primo motivo di ricorso incidentale la
società denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.18 1.300/70,
1175, 1176, 1375, 2104 e 2106 c.c. in relazione all'art.360 comma primo
n.3 c.p.c.. Critica la sentenza impugnata per avere ritenuto che
la condotta del lavoratore non integrasse gli estremi della giusta causa
di recesso, per non avere pregiudicato o ritardato la guarigione. La
valutazione della fattispecie doveva essere esplicata esclusivamente in
astratto ed ex ante, con esclusione di ogni ulteriore scrutinio alla
stregua delle emergenze scaturite dagli espletati accertamenti
medico-legali.
6. Il motivo va disatteso. Secondo le linee
ermeneutiche dettate da questa Corte, la giusta causa di licenziamento
deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali
del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario,
dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati
al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei
medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e
all'intensità del profilo intenzionale; dall'altro, la proporzionalità
fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione
dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del
prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare
l'irrogazione della massima sanzione disciplinare. Quale evento "che non
consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", la giusta
causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di
essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori
esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente
richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura
giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità
come violazione di legge, laddove l'accertamento della ricorrenza
concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso
piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito è
incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici.
Mentre il giudizio di sussunzione è giudizio di diritto, in quanto
tale sottoponibile anche a questa Suprema Corte, quello di mera
proporzionalità in concreto fra illecito disciplinare e relativa
sanzione è giudizio di fatto riservato al giudice di merito, che deve
operarlo tenendo n. r.g. 2783/2017 conto di tutti i connotati oggettivi e
soggettivi della vicenda come, ad esempio, l'entità del danno, il grado
della colpa o l'intensità del dolo, l'esistenza o non di precedenti
disciplinari a carico del dipendente (vedi Cass.29/3/2017 n.8136, Cass.
26/4/2012 n.6498).
7. E' quanto ha fatto la gravata pronuncia,
che con motivazione immune da censure ha ritenuto che l'inadempimento
degli specifici obblighi contrattuali di diligenza posto in essere dal
lavoratore, non fosse di gravità tale da integrare giusta causa di
recesso; ha valorizzato a tal uopo, la circostanza che la condotta
assunta dal lavoratore, sia pure incauta, era stata posta in essere
nella erronea consapevolezza che l'adozione del supporto medico gli
consentisse "di poter condurre una vita normale, peccando così
di leggerezza nel non rispettare la prescrizione di riposo impostagli
dai medici curanti"; ha quindi concluso, per l'applicazione della
sanzione approntata dal comma quinto dell'art.18 novellato, in
considerazione della effettiva sussistenza del fatto, sia pur sorretto
da un elemento psicologico non connotato da profili di tale intensità da
integrare una giusta causa di recesso. La censura non attinge, dunque,
la correttezza della sussunzione della fattispecie nel precetto
normativo operata dal giudice di merito, secondo gli standards, conformi
ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale (vedi ex
aliis, Cass. 15/4/16, n. 7568; Cass. 24/3/15, n. 5878; Cass. 26/4/12, n.
6498), avendo la Corte territoriale, per quanto sinora detto,
correttamente applicato i principi regolanti la materia; siccome
infondata, deve essere, pertanto, respinta.
8. Con il secondo
motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art.18
comma quindi L300/70 in relazione all'art.360 comma primo n.3 c.p.c.. Si
prospetta l'erroneità della statuizione concernente la quantificazione
dell'indennità risarcitoria sancita dalla richiamata disposizione, che
non ha considerato il comportamento gravemente negligente assunto dal
ricorrente, enfatizzandone esclusivamente l'atteggiamento
collaborativo, frutto, invece, della sola consapevolezza circa
l'indifendibilità della condotta posta in essere.
9. Anche tale
doglianza non è meritevole di accoglimento. Come questa Corte ha
avuto modo di osservare, in materia di sindacato di legittimità sulla
misura dell'indennità risarcitoria (con peculiare riferimento all'art.
32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183, in caso di illegittima
opposizione del termine al contratto di lavoro), la
determinazione, operata dal giudice di merito, tra il minimo ed il
massimo n. r.g. 2783/2017 è censurabile - al pari dell'analoga
valutazione per la determinazione dell'indennità di cui all'art. 8 legge
15 luglio 1966, n. 604 - solo in caso di motivazione assente, illogica o
contraddittoria (vedi ex plurimis, Cass.8/6/2006, n. 13380, 22/1/2014,
n. 1320). Nello specifico, la Corte di merito ha modulato il giudizio di
quantificazione dell'indennità risarcitoria "forte" facendo riferimento
a taluni indici obiettivi, quali il riferimento all'anzianità di
servizio del dipendente, alla natura collaborativa dell'atteggiamento
assunto nella fase degli accertamenti, alla imponenza delle dimensioni
proprie della parte datoriale, con motivazione che non risponde ai
requisiti della mera apparenza, della materiale inesistenza ovvero della
irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta,
che avrebbero potuto giustificare l'esercizio del sindacato di
legittimità. L'espletato accertamento investe, quindi, pienamente la
quaestio facti, e rispetto ad esso il sindacato di legittimità si
arresta entro il confine segnato dal novellato art.360, co. 1, n. 5,
c.p.c., così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e
8054 del 7 aprile 2014.
10.In definitiva, al lume delle
suesposte considerazioni, entrambi i ricorsi vanno respinti. La
situazione di reciproca soccombenza giustifica infine l'integrale
compensazione fra le parti delle spese inerenti al presente. La
circostanza che i ricorsi siano stati proposti in tempo posteriore al 30
gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità del d.P.R.
n. 115/2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n.
228/2012, art. 1, comma 17 e di provvedere in conformità. P.Q.M. La
Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa fra le parti le spese del
presente giudizio. Ai sensi dell'arti 3,comma 1- quater, d.P.R.115/2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore
importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per
il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dell'art. 13
comma 1-bis.
Così deciso in Roma il 30 Maggio 2018.
(Marco Dami)
LaPrevidenza.it, 17/12/2018