Covid-19, tra il reato di epidemia e la grave superficialità delle
persone
Avv. Valter Marchetti
1. 1. Una breve panoramica per tentare di inquadrare
il reato di epidemia. Il Codice Penale italiano (approvato con Regio
decreto n.1398 del 19 ottobre 1930), nella parte dedicata ai delitti
contro l'incolumità pubblica, al CAPO II (Delitti di comune pericolo
mediante frode) prevede l'articolo 438 derubricato " Epidemia"
in base al quale " chiunque cagiona un'epidemia mediante la
diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo". Gli
elementi che caratterizzano materialmente (elementi costitutivi) la fattispecie
del reato di " Epidemia" di cui all'art.438 c.p., sono
rappresentati dalla rapidità della diffusione, dalla diffusibilità ad un
numero indeterminato e notevole di persone nonché l'ampia estensione
territoriale della diffusione dei germi patogeni. La Sentenza
6/2/2008 emessa dal Gip del Tribunale di Savona ( R. pen., 08,6,671)
ha ritenuto di escludere la sussistenza del reato di " epidemia"
quando l'insorgere e lo sviluppo della malattia si esauriscono nell'ambito
di un ristretto numero di persone che hanno ingerito un pasto infettato
dal germe della salmonella. Sempre sotto il profilo della materialità del
reato di cui stiamo parlando, oltre ai requisiti della rapidità di
diffusione, della diffusibilità ad un numero indeterminato e notevole di
persone e dell'ampia estensione territoriale della diffusione dei
germi patogeni, la Sentenza 20/6/1978 del Tribunale di Bolzano ha previsto
anche l'incontrollabilità del diffondersi del male, escludendo la
sussistenza del reato di "Epidemia" se l'insorgenza e lo
sviluppo della malattia si esauriscono nell'ambito di un ente ospedaliero
( G. mer. 79, 945). La condotta incriminata, quindi, deve consistere nella
diffusione di germi patogeni e cagionare un evento ben definito,
rappresentato dalla manifestazione collettiva di una malattia infettiva
umana che si diffonde rapidamente in uno stesso contesto di tempo in un
dato territorio, colpendo un rilevante numero di persone. Come evidenziato
dal Tribunale di Roma, Sez. III, 22/3/1982, n.3358, ai fini
della configurabilità del reato di epidemia deve sussistere il pericolo
della vita e dell'integrità fisica di un numero rilevante e indeterminato
di persone. L'evento che deriva dalla condotta criminale della fattispecie
qui in esame, deve ritenersi un evento di danno e di pericolo, costituendo
il fatto come fatto di ulteriori possibili danni, cioè il concreto
pericolo che il bene giuridico protetto dalla norma ( l'incolumità e la
salute pubblica ), possa essere distrutto o diminuito ( Tribunale
di Trento, 16/7/2004, R. pen. 04, 1231). Ai fini della
configurabilità del reato di epidemia, è stato ritenuto non sufficiente
un evento cd superindividuale, generico e completamente astratto, ossia
avulso dalla verifica di casi concreti causalmente ricollegabili alla
condotta del soggetto agente, ciò che porterebbe a confondere il concetto
di evento con quello di pericolo ( Tribunale di Trento, 16/7/2004, R. pen.
04, 1231).
Viceversa, il pericolo per la pubblica incolumità che
la condotta di epidemia deve determinare e che è dato dalla potenzialità
espansiva della malattia contagiosa, è sì un pericolo per un bene "
superindividuale", ma è un pericolo susseguente, il cui accertamento
presuppone, perché la fattispecie possa dirsi integrata, la
preventiva verifica circa la causazione di un evento dannoso per un certo
numero di persone, per giunta ricollegabile, sotto il profilo causale,
alla condotta del soggetto agente ( Tribunale di Trento, 16/7/2004, R.
pen. 04, 1231). Rientrando l'art.438 c.p. nei delitti contro l'incolumità
pubblica, il titolare del bene protetto dalla norma in questione deve
intendersi esclusivamente lo Stato; in tal senso, la Sez. I Cassazione
Penale con la sentenza n.4878 del 2013, ha escluso che possa rivestire la
qualità di persona offesa di tali reati ( quelli contro
l'incolumità pubblica) una associazione privata. Il delitto di
epidemia è un reato di evento a forma vincolata, in quanto il soggetto deve
cagionare l'evento dell'epidemia mediante quel particolare
comportamento consistente nella diffusione di germi patogeni. La
diffusione può avvenire tramite spargimento in terra, acqua, aria, ambienti e
luoghi di ogni tipo, di germi patogeni idonei; liberazione di animali
infetti; messa in circolazione di portatori di germi o di cose provenienti
da malati; inoculazione di germi a determinati individui; scarico di
rifiuti in acqua ecc.
Secondo un certo orientamento, sotto il profilo
soggettivo, la norma di cui all'art.438 c.p. non punisce chiunque cagioni
una epidemia, ma chi la cagioni mediante la diffusione di germi patogeni
di cui abbia il possesso ( anche " in vivo", per esempio animali
da laboratorio), mentre deve escludersi che una persona affetta
da malattia contagiosa abbia il possesso dei germi che l'affliggono (
Tribunale di Bolzano 13/3/1979, G. mer. 79, 945). Deve ritenersi
preferibile, al contrario, l'orientamento secondo il quale, ai fini
della diffusione dell'epidemia, non sia necessario che il soggetto agente
e i germi siano entità separate, ben potendo aversi epidemia quanto
l'agente sia esso stesso il vettore dei germi patogeni; questo vuol dire
che commetterebbe il reato di cui all'art.438 c.p. ( punibile con la pena
dell'ergastolo), anche colui il quale, consapevole di aver contratto un
virus, continui a circolare liberamente ( ed intenzionalmente), così
diffondendo la malattia. Nel reato di epidemia, il dolo è generico ed è
rappresentato nella coscienza e volontà di diffondere germi patogeni,
unite alla rappresentazione e volontà del contagio di un certo numero di
persone; secondo un altro orientamento il dolo sarebbe caratterizzato
dall'intenzione di cagionare l'epidemia, per cui l'unica forma di dolo
ammissibile sarebbe quella del dolo intenzionale.
Questa ultima tesi contrasta con l'orientamento che
sostiene che il dolo eventuale è perfettamente compatibile con la
struttura del reato: pensiamo, ad esempio, all'agente che sperimenta e
manipola germi patogeni accettando il rischio di una loro diffusione
epidemica.
Sotto il profilo della consumazione del reato, questa
si attua al momento del verificarsi dell'epidemia; il tentativo del reato
di epidemia, invece, è configurabile qualora si sia avuta diffusione di
germi patogeni senza che sia derivata l'epidemia, o se il contagio si sia
arrestato a pochi casi.
L'idoneità degli atti compiuti dall'agente, deve
essere valutata sia in relazione alla qualità dei germi diffusi sia alle
modalità della diffusione.
Il reato di epidemia può riferirsi solo ad una
condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con l'art. 40 co. 2
c.p.; la clausola di equivalenza di cui all'art. 40 cpv. e la
responsabilità omissiva (o per omesso impedimento di un evento che si
aveva l'obbligo giuridico di impedire) sembrerebbe incompatibile con
la natura giuridica del reato di epidemia ( in tal senso, si veda
Cassazione penale sez. IV, 12/12/2018, n. 9133 ).
2. Il reato di epidemia e la recente sentenza
della Cassazione Penale n. 48014 del 2019
Nella sentenza n.48014 del 2019, ai giudici della
legittimità è stato sottoposta la disamina di una sentenza di merito
relativa al caso di un uomo condannato per una serie di episodi di lesioni
personali gravissime, per avere trasmesso consapevolmente il virus HIV,
tramite rapporti sessuali non protetti, ad una trentina di donne;
in particolare, i giudici di merito avevano ritenuto non sussistere il
reato contestato dall'accusa di epidemia, realizzata dall'imputato
mediante diffusione di germi patogeni nella piena consapevolezza di essere
affetto da virus HIV e che tale virus potesse essere trasmesso alle
persone con le quali l'uomo intratteneva rapporti sessuali non protetti e
a quelle con cui queste ultime avrebbero poi intrattenuto rapporti sessuali. Ed
ancora, è stata esclusa dai giudici di merito la configurabilità del reato di
epidemia rilevando che la nozione di cluster epidemico ( ossia di una
aggregazione di casi di infezione collegati tra loro in una determinata
area geografica e in un determinato periodo e che ben descrive il fenomeno
causato dalle condotte di contagio dell'imputato) non equivaleva alla
nozione di epidemia, a cui inserisce strutturalmente il profilo della
consistenza del dato quantitativo, del numero particolarmente elevato di soggetti
infettati.
La norma incriminatrice di cui all'art.438 c.p. non
seleziona delle condotte diffusive rilevanti e richiede, con espressione
ampia, che il soggetto agente procuri una epidemia mediante la diffusione
di germi patogeni, senza individuare in che modo debba avvenire detta
diffusione; occorre, comunque, una diffusione capace di causare una
epidemia; detta norma non impone una relazione di alterità tra ciò
che viene diffuso e chi lo diffonde e non esclude che una diffusione possa
aversi pur quando l'agente sia esso stesso il vettore dei germi
patogeni. Secondo la Cassazione la modalità di contagio con contatto
fisico ( nella fattispecie della sentenza citata, per rapporto sessuale)
tra soggetto agente e vittima esprime una assai maggiore difficoltà ad innescare
il decorso causale di tipo epidemico, alla luce del preciso significato
penalistico di epidemia: "Se, da un lato, non si può elevare ad
affermazione di principio generale inderogabile che nella nozione di diffusione
non rientrino le forme di contagio per contatto fisico tra agente e
vittima, non potendosi escludere che vi siano o vi possano essere,
attraverso questa modalità, contagi rapidi di un numero potenzialmente più
elevato di persone, anche eventualmente attraverso forme di diffusione
organizzata in manifestazione criminose di tipo concorsuale, dall'altro si
conviene sul fatto che, con queste specifiche modalità, il contagio almeno
di regola non possa porsi come antecedente causale del
fenomeno epidemico, se questo viene definito come una malattia contagiosa
con spiccata tendenza a diffondersi sì da interessare, nel medesimo tempo
e nello stesso luogo, un numero rilevante di persone, una moltitudine di
soggetti, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione
e agevole propagazione del contagio, un pericolo di infezione per una
porzione ancora più vasta di popolazione".
Come hanno precisato le Sezioni Unite, l'evento tipico
dell'epidemia è rappresentato dalla diffusività incontrollabile
all'interno di un numero rilevante di soggetti e quindi per una malattia
contagiosa dal rapido sviluppo ed autonomo entro un numero indeterminato
di soggetti e per una durata cronologicamente limitata (Cass. pen.,
Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576); il soggetto imputato ( sentenza n. 48014
del 2019), ha contagiato un numero di persone, per quanto cospicuo, certo
non ingente e ciò fece in un tempo molto ampio di nove anni. Il dato
temporale ( molto ampio) in cui si è verificato il contagio ed il numero
di donne non infettate ( che pure ebbero rapporti sessuali non protetti
con l'imputato), non consentono di configurare i fatti nella fattispecie
criminosa di cui all'art.438 c.p.
3. 3. Le condotte correlate al Covid-19 rientrano
nella fattispecie dell'art.438 c.p. ? Ritengo di no. Anzitutto, la
scienza medica qualifica come epidemia ogni malattia infettiva
o contagiosa suscettibile, per la propagazione dei suoi germi patogeni, di
una rapida ed imponente manifestazione in un medesimo contesto e in un
dato territorio colpendo un numero di persone tale da destare un notevole
allarme sociale e un correlativo pericolo per un numero indeterminato di
individui.
Ed ecco che, sotto il profilo della qualificazione del
concetto di epidemia, i contorni scientifici ( molto più ampi) sembrano
già differenziarsi da quelli che sono i contorni giuridici ( ben più
ristretti) della fattispecie relativa al reato di epidemia. In base alla
sopra richiamata sentenza della Cassazione Penale n.48014 del 2019,
ai fini della configurabilità del reato di epidemia, " può ammettersi
che la diffusione dei germi patogeni avvenga per contatto diretto fra
l'agente, che di tali germi sia portatore, ed altri soggetti, fermo
restando, però, che da un tale contatto deve derivare la incontrollata e
rapida diffusione della malattia tra una moltitudine di persone
". Francamente, visti gli elementi costitutivi del reato di epidemia
e le caratteristiche peculiari di questa fattispecie criminosa, trovo
davvero arduo far rientrare negli "stretti panni" dell'art.438
c.p. le vastissime ed indefinite condotte correlate alla pandemia da
Covid-19. Sotto il profilo giuridico, anziché l'applicabilità del dolo
generico o ( addirittura) del dolo eventuale, trovo più percorribile un
possibile approccio alla fattispecie colposa di cui all'art.452 c.p.,
secondo il quale " chiunque commette, per colpa, alcuno dei
fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito con la reclusione da uno
a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l'ergastolo
". Sotto un più ampio profilo sociale ed antropologico e di filosofia
del diritto penale, trovo una assurdità logica ( prima ancora che
giuridica) accostare i fatti e le condotte relative al Covid-19 al reato
di epidemia ex art. 438 c.p. ma solo la pratica giurisprudenziale ( che,
per certi versi, diverse procure della Repubblica hanno già avviato) ci
consentirà di comprendere l'evoluzione dei ragionamenti sin qui posti
in essere.
4. 4. Dal reato di epidemia alle condotte
superficiali, imprudenti e/o negligenti di persone, enti ed istituzioni
della collettività: l'atto di accusa della Federazione Regionale degli
Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia
La Federazione Regionale degli Ordini dei Medici
Chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia il 6 aprile 2020 ha scritto
una lettera (
https://lecconotizie.com/societa/ lecco-societa/dura-lettera-della-federazione-dellordine-dei-medici-alla-regione/
) al Governatore Attilio Fontana e agli assessori, imputando a questi ultimi
una serie di errori rappresentati da una " evidente assenza di
strategie relative alla gestione del territorio"; è un vero proprio
atto di accusa dei Medici contro la Politica Sanitaria della Regione
Lombardia ! Non ci sono i dati sull'esatta diffusione della pandemia in
Lombardia: i dati sono solo rappresentati come numero degli infetti e come
numero dei deceduti e la mortalità calcolata è quella relativa ai pazienti
ricoverati. Questo è il primo richiamo che la FROMCEO rivolge duramente
alla Regione Lombardia e cioè la mancanza di dati reali o comunque
dell'errata impostazione della raccolta di questi dati " che
sottostima enormemente il numero dei malati e discretamente il numero dei
deceduti ". Vi sarebbe stata incertezza da parte di Regione Lombardia
- nella pronta chiusura di alcune aree a rischio; aree dalle quali sono
poi partiti focolai di contagio di grave intensità. Ed ancora, i
rappresentanti dei Medici lombardi denunciano " la gestione
confusa della realtà delle RSA e dei centri diurni per anziani, che ha
prodotto diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite
umane ". L'altro aspetto di criticità nella gestione di questa
emergenza, riguarda la mancata fornitura di protezioni individuali ai
medici del territorio ( MMG, PLS, CA e medici delle RSA) e al restante
personale sanitario: " questo ha determinato la morte di numerosi
colleghi, la malattia di numerosissimi di essi e la probabile
e involontaria diffusione del contagio, specie nelle prime fasi dell'epidemia
". L'atto di accusa dei Medici lombardi prosegue, rinfacciando ai
dirigenti politici lombardi " la pressoché totale assenza delle
attività di igiene pubblica ( isolamenti dei contatti, tamponi sul
territorio a malati e contatti, ecc..) ". Ed ancora, non sono stati
fatti i tamponi agli operatori sanitari del territorio nonché in alcune
realtà delle strutture ospedaliere e private, con conseguente "
ulteriore rischio di diffusione del contagio". Il mancato
governo del territorio lombardo, in sostanza, avrebbe determinato la
saturazione dei posti letto ospedalieri " con la necessità di
trattenere sul territorio pazienti che, in altre circostanze, avrebbero
dovuto essere messi in sicurezza mediante ricovero ".
Concludono i rappresentanti dei Medici lombardi,
affermando che la situazione disastrosa in cui si è venuta a trovare la
Lombardia " può essere in larga parte attribuita all'interpretazione
della situazione solo nel senso di un'emergenza intensivologica ( vedi
carenza dei posti letto nelle terapie intensive), quando in realtà si trattava
di un'emergenza di sanità pubblica " ; quella sanità pubblica (
nonché l'importante e strategica medicina territoriale) che è stata da
diversi anni trascurata e depotenziata in Lombardia. "Siamo in
un campo di battaglia: ha spiegato il dott. Riccio medico
anestesista dell'Ospedale di Cremona alcuni soldati vengono abbandonati,
sedati sul campo e lasciati morire. Questo è il nostro panorama. Sappiamo
che alcuni pazienti non ce la faranno, e quindi non li intubiamo. Questa è
una realtà molto dura che noi anestesisti abbiamo sempre vissuto, almeno
da un punto di vista qualitativo". Il medico rianimatore ha affermato
infatti che "la medicina non sarà mai più come prima. Molti dottori
hanno scoperto che non è solo la capacità di fare diagnosi e dare terapie a
fare un buon medico, ma anche le scelte etiche. Molti si trovano
impreparati"... ( riferimenti: https:// www.notizie.it/cronaca/2020/03/27/coronavirus-mario-riccio/ ).
Ma questa dichiarazione del medico anestesista dott.
Riccio, a parere di chi scrive, meriterebbe un approfondimento etico oltre
che giuridico, in quanto una struttura sanitaria deve essere messa in
grado dai dirigenti politici all'uopo competenti e pertanto responsabili di
disporre di tutte le attrezzature necessarie per l'effettiva e pronta
assistenza e cura dei malati, anche ( se non soprattutto) in situazione di
pandemia; l'omissione, sotto questo profilo, potrebbe configurare un reato
ai limiti tra la colpa cosciente ed il cd dolo eventuale, con conseguenti
gravissime conseguenze sotto il profilo delle pene applicabili.
5. 5. Siamo davvero su un campo di battaglia? Per un
nuovo paradigma della cura. Mi hanno colpito non poco le dichiarazioni del
dott. Riccio, secondo il quale, questa pandemia è un vero e proprio campo
di battaglia in cui "alcuni soldati vengono abbandonati, sedati
sul campo e lasciati morire"...! Pur comprendendo il senso
ultimo delle gravi parole utilizzate dal medico anestesista, non condivido
l'idea del campo di battaglia e del paragone tra la pandemia e la situazione
bellica; credo che non sia una guerra quella che tutti stiamo vivendo, ma
una seria emergenza sanitaria su scala globale, per la quale non eravamo
preparati. Per essere più precisi e, soprattutto, meno ipocriti, possiamo
affermare di aver fatto davvero poco per prepararci a questa pandemia; la
prova regina di questa omissione organizzativa ( sia a livello scientifico
che a livello governativo-istituzionale), non è forse rappresentata
dall'esistenza di un obsoleto " Piano nazionale di preparazione e risposta
ad una pandemia influenzale " ? Si accettano, volentieri, tutte le
relative smentite del caso.
Per concludere queste mie considerazioni, credo sia
opportuno puntare ad un nuovo paradigma della cura, magari prendendo
spunto dalla splendida canzone di Franco Battiato; se l'etica della cura
ha come obiettivo primario la salute e l'integrità della vita delle persone, occorre farsi
carico di questa etica, incarnarla in piani di azione concreti e quotidiani,
verso le persone in carne ed ossa. Ed allora, il prendersi carico
della salute e dell'integrità della vita di queste persone ( tutti noi!),
non può che ripartire da un serio confronto su quelli che sono state le
omissioni della politica e della scienza in questa emergenza pandemica,
perché spesso anche dall'analisi degli errori è possibile migliorarsi e
migliorare tutto ciò che sta attorno a noi. Un nuovo modo di intendere la
cura e tutto ciò che ruota attorno a questa: il paziente, i familiari del
paziente, i medici, gli infermieri, il personale tecnico-sanitario, le
direzioni generali sanitarie, gli ospedali, le case di cura, gli
ambulatori territoriali, i medici di base, i pediatri. Migliorare ( se non
addirittura innovare) tutto ciò che riguarda la cura, significa migliorare
noi stessi, la nostra salute e la nostra vita. Un nuovo paradigma della
cura, partendo proprio dalle realtà locali riqualificando, ad esempio, le
unità di medicina territoriale. Il mondo della scienza, della medicina e
della politica, debbono confrontarsi e discutere in profondità su questi
temi, lo dobbiamo a noi stessi ma, soprattutto, a tutte le persone
che hanno perso la vita su questo assurdo " campo di battaglia"
dove pensavamo di essere in guerra, dimenticandoci dell'arma più
importante, quella della cura!
Avv. Valter Marchetti
Covid-19, tra il reato di epidemia e la grave superficialità delle
persone
1. 1. Una breve panoramica per tentare di inquadrare
il reato di epidemia. Il Codice Penale italiano (approvato con Regio
decreto n.1398 del 19 ottobre 1930), nella parte dedicata ai delitti
contro l'incolumità pubblica, al CAPO II (Delitti di comune pericolo
mediante frode) prevede l'articolo 438 derubricato " Epidemia"
in base al quale " chiunque cagiona un'epidemia mediante la
diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo". Gli
elementi che caratterizzano materialmente (elementi costitutivi) la fattispecie
del reato di " Epidemia" di cui all'art.438 c.p., sono
rappresentati dalla rapidità della diffusione, dalla diffusibilità ad un
numero indeterminato e notevole di persone nonché l'ampia estensione
territoriale della diffusione dei germi patogeni. La Sentenza
6/2/2008 emessa dal Gip del Tribunale di Savona ( R. pen., 08,6,671)
ha ritenuto di escludere la sussistenza del reato di " epidemia"
quando l'insorgere e lo sviluppo della malattia si esauriscono nell'ambito
di un ristretto numero di persone che hanno ingerito un pasto infettato
dal germe della salmonella. Sempre sotto il profilo della materialità del
reato di cui stiamo parlando, oltre ai requisiti della rapidità di
diffusione, della diffusibilità ad un numero indeterminato e notevole di
persone e dell'ampia estensione territoriale della diffusione dei
germi patogeni, la Sentenza 20/6/1978 del Tribunale di Bolzano ha previsto
anche l'incontrollabilità del diffondersi del male, escludendo la
sussistenza del reato di "Epidemia" se l'insorgenza e lo
sviluppo della malattia si esauriscono nell'ambito di un ente ospedaliero
( G. mer. 79, 945). La condotta incriminata, quindi, deve consistere nella
diffusione di germi patogeni e cagionare un evento ben definito,
rappresentato dalla manifestazione collettiva di una malattia infettiva
umana che si diffonde rapidamente in uno stesso contesto di tempo in un
dato territorio, colpendo un rilevante numero di persone. Come evidenziato
dal Tribunale di Roma, Sez. III, 22/3/1982, n.3358, ai fini
della configurabilità del reato di epidemia deve sussistere il pericolo
della vita e dell'integrità fisica di un numero rilevante e indeterminato
di persone. L'evento che deriva dalla condotta criminale della fattispecie
qui in esame, deve ritenersi un evento di danno e di pericolo, costituendo
il fatto come fatto di ulteriori possibili danni, cioè il concreto
pericolo che il bene giuridico protetto dalla norma ( l'incolumità e la
salute pubblica ), possa essere distrutto o diminuito ( Tribunale
di Trento, 16/7/2004, R. pen. 04, 1231). Ai fini della
configurabilità del reato di epidemia, è stato ritenuto non sufficiente
un evento cd superindividuale, generico e completamente astratto, ossia
avulso dalla verifica di casi concreti causalmente ricollegabili alla
condotta del soggetto agente, ciò che porterebbe a confondere il concetto
di evento con quello di pericolo ( Tribunale di Trento, 16/7/2004, R. pen.
04, 1231).
Viceversa, il pericolo per la pubblica incolumità che
la condotta di epidemia deve determinare e che è dato dalla potenzialità
espansiva della malattia contagiosa, è sì un pericolo per un bene "
superindividuale", ma è un pericolo susseguente, il cui accertamento
presuppone, perché la fattispecie possa dirsi integrata, la
preventiva verifica circa la causazione di un evento dannoso per un certo
numero di persone, per giunta ricollegabile, sotto il profilo causale,
alla condotta del soggetto agente ( Tribunale di Trento, 16/7/2004, R.
pen. 04, 1231). Rientrando l'art.438 c.p. nei delitti contro l'incolumità
pubblica, il titolare del bene protetto dalla norma in questione deve
intendersi esclusivamente lo Stato; in tal senso, la Sez. I Cassazione
Penale con la sentenza n.4878 del 2013, ha escluso che possa rivestire la
qualità di persona offesa di tali reati ( quelli contro
l'incolumità pubblica) una associazione privata. Il delitto di
epidemia è un reato di evento a forma vincolata, in quanto il soggetto deve
cagionare l'evento dell'epidemia mediante quel particolare
comportamento consistente nella diffusione di germi patogeni. La
diffusione può avvenire tramite spargimento in terra, acqua, aria, ambienti e
luoghi di ogni tipo, di germi patogeni idonei; liberazione di animali
infetti; messa in circolazione di portatori di germi o di cose provenienti
da malati; inoculazione di germi a determinati individui; scarico di
rifiuti in acqua ecc.
Secondo un certo orientamento, sotto il profilo
soggettivo, la norma di cui all'art.438 c.p. non punisce chiunque cagioni
una epidemia, ma chi la cagioni mediante la diffusione di germi patogeni
di cui abbia il possesso ( anche " in vivo", per esempio animali
da laboratorio), mentre deve escludersi che una persona affetta
da malattia contagiosa abbia il possesso dei germi che l'affliggono (
Tribunale di Bolzano 13/3/1979, G. mer. 79, 945). Deve ritenersi
preferibile, al contrario, l'orientamento secondo il quale, ai fini
della diffusione dell'epidemia, non sia necessario che il soggetto agente
e i germi siano entità separate, ben potendo aversi epidemia quanto
l'agente sia esso stesso il vettore dei germi patogeni; questo vuol dire
che commetterebbe il reato di cui all'art.438 c.p. ( punibile con la pena
dell'ergastolo), anche colui il quale, consapevole di aver contratto un
virus, continui a circolare liberamente ( ed intenzionalmente), così
diffondendo la malattia. Nel reato di epidemia, il dolo è generico ed è
rappresentato nella coscienza e volontà di diffondere germi patogeni,
unite alla rappresentazione e volontà del contagio di un certo numero di
persone; secondo un altro orientamento il dolo sarebbe caratterizzato
dall'intenzione di cagionare l'epidemia, per cui l'unica forma di dolo
ammissibile sarebbe quella del dolo intenzionale.
Questa ultima tesi contrasta con l'orientamento che
sostiene che il dolo eventuale è perfettamente compatibile con la
struttura del reato: pensiamo, ad esempio, all'agente che sperimenta e
manipola germi patogeni accettando il rischio di una loro diffusione
epidemica.
Sotto il profilo della consumazione del reato, questa
si attua al momento del verificarsi dell'epidemia; il tentativo del reato
di epidemia, invece, è configurabile qualora si sia avuta diffusione di
germi patogeni senza che sia derivata l'epidemia, o se il contagio si sia
arrestato a pochi casi.
L'idoneità degli atti compiuti dall'agente, deve
essere valutata sia in relazione alla qualità dei germi diffusi sia alle
modalità della diffusione.
Il reato di epidemia può riferirsi solo ad una
condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con l'art. 40 co. 2
c.p.; la clausola di equivalenza di cui all'art. 40 cpv. e la
responsabilità omissiva (o per omesso impedimento di un evento che si
aveva l'obbligo giuridico di impedire) sembrerebbe incompatibile con
la natura giuridica del reato di epidemia ( in tal senso, si veda
Cassazione penale sez. IV, 12/12/2018, n. 9133 ).
2. Il reato di epidemia e la recente sentenza
della Cassazione Penale n. 48014 del 2019
Nella sentenza n.48014 del 2019, ai giudici della
legittimità è stato sottoposta la disamina di una sentenza di merito
relativa al caso di un uomo condannato per una serie di episodi di lesioni
personali gravissime, per avere trasmesso consapevolmente il virus HIV,
tramite rapporti sessuali non protetti, ad una trentina di donne;
in particolare, i giudici di merito avevano ritenuto non sussistere il
reato contestato dall'accusa di epidemia, realizzata dall'imputato
mediante diffusione di germi patogeni nella piena consapevolezza di essere
affetto da virus HIV e che tale virus potesse essere trasmesso alle
persone con le quali l'uomo intratteneva rapporti sessuali non protetti e
a quelle con cui queste ultime avrebbero poi intrattenuto rapporti sessuali. Ed
ancora, è stata esclusa dai giudici di merito la configurabilità del reato di
epidemia rilevando che la nozione di cluster epidemico ( ossia di una
aggregazione di casi di infezione collegati tra loro in una determinata
area geografica e in un determinato periodo e che ben descrive il fenomeno
causato dalle condotte di contagio dell'imputato) non equivaleva alla
nozione di epidemia, a cui inserisce strutturalmente il profilo della
consistenza del dato quantitativo, del numero particolarmente elevato di soggetti
infettati.
La norma incriminatrice di cui all'art.438 c.p. non
seleziona delle condotte diffusive rilevanti e richiede, con espressione
ampia, che il soggetto agente procuri una epidemia mediante la diffusione
di germi patogeni, senza individuare in che modo debba avvenire detta
diffusione; occorre, comunque, una diffusione capace di causare una
epidemia; detta norma non impone una relazione di alterità tra ciò
che viene diffuso e chi lo diffonde e non esclude che una diffusione possa
aversi pur quando l'agente sia esso stesso il vettore dei germi
patogeni. Secondo la Cassazione la modalità di contagio con contatto
fisico ( nella fattispecie della sentenza citata, per rapporto sessuale)
tra soggetto agente e vittima esprime una assai maggiore difficoltà ad innescare
il decorso causale di tipo epidemico, alla luce del preciso significato
penalistico di epidemia: "Se, da un lato, non si può elevare ad
affermazione di principio generale inderogabile che nella nozione di diffusione
non rientrino le forme di contagio per contatto fisico tra agente e
vittima, non potendosi escludere che vi siano o vi possano essere,
attraverso questa modalità, contagi rapidi di un numero potenzialmente più
elevato di persone, anche eventualmente attraverso forme di diffusione
organizzata in manifestazione criminose di tipo concorsuale, dall'altro si
conviene sul fatto che, con queste specifiche modalità, il contagio almeno
di regola non possa porsi come antecedente causale del
fenomeno epidemico, se questo viene definito come una malattia contagiosa
con spiccata tendenza a diffondersi sì da interessare, nel medesimo tempo
e nello stesso luogo, un numero rilevante di persone, una moltitudine di
soggetti, recando con sé, in ragione della capacità di ulteriore espansione
e agevole propagazione del contagio, un pericolo di infezione per una
porzione ancora più vasta di popolazione".
Come hanno precisato le Sezioni Unite, l'evento tipico
dell'epidemia è rappresentato dalla diffusività incontrollabile
all'interno di un numero rilevante di soggetti e quindi per una malattia
contagiosa dal rapido sviluppo ed autonomo entro un numero indeterminato
di soggetti e per una durata cronologicamente limitata (Cass. pen.,
Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 576); il soggetto imputato ( sentenza n. 48014
del 2019), ha contagiato un numero di persone, per quanto cospicuo, certo
non ingente e ciò fece in un tempo molto ampio di nove anni. Il dato
temporale ( molto ampio) in cui si è verificato il contagio ed il numero
di donne non infettate ( che pure ebbero rapporti sessuali non protetti
con l'imputato), non consentono di configurare i fatti nella fattispecie
criminosa di cui all'art.438 c.p.
3. 3. Le condotte correlate al Covid-19 rientrano
nella fattispecie dell'art.438 c.p. ? Ritengo di no. Anzitutto, la
scienza medica qualifica come epidemia ogni malattia infettiva
o contagiosa suscettibile, per la propagazione dei suoi germi patogeni, di
una rapida ed imponente manifestazione in un medesimo contesto e in un
dato territorio colpendo un numero di persone tale da destare un notevole
allarme sociale e un correlativo pericolo per un numero indeterminato di
individui.
Ed ecco che, sotto il profilo della qualificazione del
concetto di epidemia, i contorni scientifici ( molto più ampi) sembrano
già differenziarsi da quelli che sono i contorni giuridici ( ben più
ristretti) della fattispecie relativa al reato di epidemia. In base alla
sopra richiamata sentenza della Cassazione Penale n.48014 del 2019,
ai fini della configurabilità del reato di epidemia, " può ammettersi
che la diffusione dei germi patogeni avvenga per contatto diretto fra
l'agente, che di tali germi sia portatore, ed altri soggetti, fermo
restando, però, che da un tale contatto deve derivare la incontrollata e
rapida diffusione della malattia tra una moltitudine di persone
". Francamente, visti gli elementi costitutivi del reato di epidemia
e le caratteristiche peculiari di questa fattispecie criminosa, trovo
davvero arduo far rientrare negli "stretti panni" dell'art.438
c.p. le vastissime ed indefinite condotte correlate alla pandemia da
Covid-19. Sotto il profilo giuridico, anziché l'applicabilità del dolo
generico o ( addirittura) del dolo eventuale, trovo più percorribile un
possibile approccio alla fattispecie colposa di cui all'art.452 c.p.,
secondo il quale " chiunque commette, per colpa, alcuno dei
fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito con la reclusione da uno
a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l'ergastolo
". Sotto un più ampio profilo sociale ed antropologico e di filosofia
del diritto penale, trovo una assurdità logica ( prima ancora che
giuridica) accostare i fatti e le condotte relative al Covid-19 al reato
di epidemia ex art. 438 c.p. ma solo la pratica giurisprudenziale ( che,
per certi versi, diverse procure della Repubblica hanno già avviato) ci
consentirà di comprendere l'evoluzione dei ragionamenti sin qui posti
in essere.
4. 4. Dal reato di epidemia alle condotte
superficiali, imprudenti e/o negligenti di persone, enti ed istituzioni
della collettività: l'atto di accusa della Federazione Regionale degli
Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia
La Federazione Regionale degli Ordini dei Medici
Chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia il 6 aprile 2020 ha scritto
una lettera (
https://lecconotizie.com/societa/ lecco-societa/dura-lettera-della-federazione-dellordine-dei-medici-alla-regione/
) al Governatore Attilio Fontana e agli assessori, imputando a questi ultimi
una serie di errori rappresentati da una " evidente assenza di
strategie relative alla gestione del territorio"; è un vero proprio
atto di accusa dei Medici contro la Politica Sanitaria della Regione
Lombardia ! Non ci sono i dati sull'esatta diffusione della pandemia in
Lombardia: i dati sono solo rappresentati come numero degli infetti e come
numero dei deceduti e la mortalità calcolata è quella relativa ai pazienti
ricoverati. Questo è il primo richiamo che la FROMCEO rivolge duramente
alla Regione Lombardia e cioè la mancanza di dati reali o comunque
dell'errata impostazione della raccolta di questi dati " che
sottostima enormemente il numero dei malati e discretamente il numero dei
deceduti ". Vi sarebbe stata incertezza da parte di Regione Lombardia
- nella pronta chiusura di alcune aree a rischio; aree dalle quali sono
poi partiti focolai di contagio di grave intensità. Ed ancora, i
rappresentanti dei Medici lombardi denunciano " la gestione
confusa della realtà delle RSA e dei centri diurni per anziani, che ha
prodotto diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite
umane ". L'altro aspetto di criticità nella gestione di questa
emergenza, riguarda la mancata fornitura di protezioni individuali ai
medici del territorio ( MMG, PLS, CA e medici delle RSA) e al restante
personale sanitario: " questo ha determinato la morte di numerosi
colleghi, la malattia di numerosissimi di essi e la probabile
e involontaria diffusione del contagio, specie nelle prime fasi dell'epidemia
". L'atto di accusa dei Medici lombardi prosegue, rinfacciando ai
dirigenti politici lombardi " la pressoché totale assenza delle
attività di igiene pubblica ( isolamenti dei contatti, tamponi sul
territorio a malati e contatti, ecc..) ". Ed ancora, non sono stati
fatti i tamponi agli operatori sanitari del territorio nonché in alcune
realtà delle strutture ospedaliere e private, con conseguente "
ulteriore rischio di diffusione del contagio". Il mancato
governo del territorio lombardo, in sostanza, avrebbe determinato la
saturazione dei posti letto ospedalieri " con la necessità di
trattenere sul territorio pazienti che, in altre circostanze, avrebbero
dovuto essere messi in sicurezza mediante ricovero ".
Concludono i rappresentanti dei Medici lombardi,
affermando che la situazione disastrosa in cui si è venuta a trovare la
Lombardia " può essere in larga parte attribuita all'interpretazione
della situazione solo nel senso di un'emergenza intensivologica ( vedi
carenza dei posti letto nelle terapie intensive), quando in realtà si trattava
di un'emergenza di sanità pubblica " ; quella sanità pubblica (
nonché l'importante e strategica medicina territoriale) che è stata da
diversi anni trascurata e depotenziata in Lombardia. "Siamo in
un campo di battaglia: ha spiegato il dott. Riccio medico
anestesista dell'Ospedale di Cremona alcuni soldati vengono abbandonati,
sedati sul campo e lasciati morire. Questo è il nostro panorama. Sappiamo
che alcuni pazienti non ce la faranno, e quindi non li intubiamo. Questa è
una realtà molto dura che noi anestesisti abbiamo sempre vissuto, almeno
da un punto di vista qualitativo". Il medico rianimatore ha affermato
infatti che "la medicina non sarà mai più come prima. Molti dottori
hanno scoperto che non è solo la capacità di fare diagnosi e dare terapie a
fare un buon medico, ma anche le scelte etiche. Molti si trovano
impreparati"... ( riferimenti: https:// www.notizie.it/cronaca/2020/03/27/coronavirus-mario-riccio/ ).
Ma questa dichiarazione del medico anestesista dott.
Riccio, a parere di chi scrive, meriterebbe un approfondimento etico oltre
che giuridico, in quanto una struttura sanitaria deve essere messa in
grado dai dirigenti politici all'uopo competenti e pertanto responsabili di
disporre di tutte le attrezzature necessarie per l'effettiva e pronta
assistenza e cura dei malati, anche ( se non soprattutto) in situazione di
pandemia; l'omissione, sotto questo profilo, potrebbe configurare un reato
ai limiti tra la colpa cosciente ed il cd dolo eventuale, con conseguenti
gravissime conseguenze sotto il profilo delle pene applicabili.
5. 5. Siamo davvero su un campo di battaglia? Per un
nuovo paradigma della cura. Mi hanno colpito non poco le dichiarazioni del
dott. Riccio, secondo il quale, questa pandemia è un vero e proprio campo
di battaglia in cui "alcuni soldati vengono abbandonati, sedati
sul campo e lasciati morire"...! Pur comprendendo il senso
ultimo delle gravi parole utilizzate dal medico anestesista, non condivido
l'idea del campo di battaglia e del paragone tra la pandemia e la situazione
bellica; credo che non sia una guerra quella che tutti stiamo vivendo, ma
una seria emergenza sanitaria su scala globale, per la quale non eravamo
preparati. Per essere più precisi e, soprattutto, meno ipocriti, possiamo
affermare di aver fatto davvero poco per prepararci a questa pandemia; la
prova regina di questa omissione organizzativa ( sia a livello scientifico
che a livello governativo-istituzionale), non è forse rappresentata
dall'esistenza di un obsoleto " Piano nazionale di preparazione e risposta
ad una pandemia influenzale " ? Si accettano, volentieri, tutte le
relative smentite del caso.
Per concludere queste mie considerazioni, credo sia
opportuno puntare ad un nuovo paradigma della cura, magari prendendo
spunto dalla splendida canzone di Franco Battiato; se l'etica della cura
ha come obiettivo primario la salute e l'integrità della vita delle persone, occorre farsi
carico di questa etica, incarnarla in piani di azione concreti e quotidiani,
verso le persone in carne ed ossa. Ed allora, il prendersi carico
della salute e dell'integrità della vita di queste persone ( tutti noi!),
non può che ripartire da un serio confronto su quelli che sono state le
omissioni della politica e della scienza in questa emergenza pandemica,
perché spesso anche dall'analisi degli errori è possibile migliorarsi e
migliorare tutto ciò che sta attorno a noi. Un nuovo modo di intendere la
cura e tutto ciò che ruota attorno a questa: il paziente, i familiari del
paziente, i medici, gli infermieri, il personale tecnico-sanitario, le
direzioni generali sanitarie, gli ospedali, le case di cura, gli
ambulatori territoriali, i medici di base, i pediatri. Migliorare ( se non
addirittura innovare) tutto ciò che riguarda la cura, significa migliorare
noi stessi, la nostra salute e la nostra vita. Un nuovo paradigma della
cura, partendo proprio dalle realtà locali riqualificando, ad esempio, le
unità di medicina territoriale. Il mondo della scienza, della medicina e
della politica, debbono confrontarsi e discutere in profondità su questi
temi, lo dobbiamo a noi stessi ma, soprattutto, a tutte le persone
che hanno perso la vita su questo assurdo " campo di battaglia"
dove pensavamo di essere in guerra, dimenticandoci dell'arma più
importante, quella della cura!
(Valter Marchetti)
LaPrevidenza.it, 29/05/2020