venerdì, 09 giugno 2023

Stalking: per le misure cautelari non è necessario comprovare i malesseri

Corte di Cassazione Sez. V Pen. - Sentenza 7.11.2011 n. 40105 - Dr.ssa Mariagabriella Corb

 

La Corte di Cassazione ha ritenuto non influente la certificazione medica per lo stato d’ansia o di paura provato dalla vittima dello stalker, quando vi sono numerose prove di molestie (sentenza 40105/2011)a suffragare la richiesta di applicazione l’art. 282 ter c.p.p.. Infatti rientra nelle misure cautelari anche il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e, in caso di reiterazione, detto divieto intima il rispetto delle misure adottate anche nei confronti dei prossimi congiunti e le persone conviventi con questa, o legate da relazione affettiva, o può prescrivere di
mantenere una distanza ben precisa da tali luoghi o da tali persone.

Il caso analizzato dai Supremi Giudici riguarda una donna che molestava in maniera vistosa – più di 100 telefonate al giorno per 4 mesi – una collega di lavoro del marito. Tale ”persecuzione telefonica” generava nella donna uno stato di ansia, insonnia e malessere generale, al punto tale da cambiare il gruppo di lavoro. Il GIP presso il Tribunale di Salerno con ordinanza del 3 dicembre 2010 rigettava la richiesta di applicazione delle misure previste dall’art. 282 ter del codice di rito e, successivamente, il Tribunale della Libertà di Salerno si esprimeva negativamente alla richiesta della persona offesa di adottare misure restrittive nei confronti della stalker  perché «l’ansia ed il malessere di cui parla l’art. 612 bis c.p. devono essere effettivi e comprovati, richiedendo la norma il danno in concreto e non il mero pericolo di un danno; nel caso di specie la sussistenza attuale e concreta del suddetto danno era del tutto sfornita di riscontri oggettivi». Gli Ermellini hanno ritenuto fondato il ricorso della vittima e dell’impossibilità di quest’ultima di cambiare numero di telefono per motivi di lavoro – rappresentante di aspirapolvere – soffermandosi «sui danni che in concreto tale condotta abbia cagionato, atteso che lo stesso numero delle telefonate è fatto che di per sé comporta disagio più o meno intenso e stato d’ansia, e ciò solo basta a legittimare la tutela cautelare senza necessità di superflue verifiche mediche, perché non è necessario che la molestia debba sfociare in una patologia conclamata, ed anzi la tutela cautelare deve essere apprestata prima che il disagio sfoci in vera patologia». Pertanto hanno annullato il provvedimento impugnato e rinviato la causa al riesame del Tribunale di Salerno.

Nello stalking si mettono in atto due tipi di comportamento:

-     il primo comprende le comunicazioni intrusive, un insieme di atti finalizzati a far sapere notizie sul proprio stato emotivo, sui bisogni, sui desideri o sulle intenzioni, inerenti a stati affettivi amorosi (sia coatti e/o dipendenti) che i trascorsi di rabbia, rancore o vendetta. Le tecniche di persecuzione utilizzate si basano  sulla comunicazione mediante strumenti come telefono, lettere, sms, e-mail, graffiti o murales.

-     il secondo sono i contatti, un insieme di atti quali il controllo diretto -pedinare o sorvegliare- e confronto diretto poste sotto casa o sul posto di lavoro, minacce o aggressioni. Solitamente si attuano le due tipologie in formula mista.

Molte volte, per interpretazioni restrittive delle norme giuridiche, si limitano gli interventi di prevenzione delle situazioni “a rischio”, la serie di atteggiamenti, atti messi in essere dallo stalker possono protrarsi per diverso tempo creando gravi conseguenze psicologiche per la vittima, per chi lo attua e, talvolta, per chi lo osserva.

Infatti la persona offesa, anche se perseguitata per un breve lasso di tempo, subisce delle conseguenze che sono spesso diverse e si trascinano per molto tempo cronicizzandosi. In riferimento agli atti subiti ed allo stato emotivo provato possono instaurarsi stati d’ansia e problemi di insonnia o incubi, ma anche flashback e veri e propri quadri di Disturbo Post Traumatico da Stress.

«612-bis. Atti persecutori.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio (1).

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(1) Articolo aggiunto dall’art. 7, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 23 aprile 2009, n. 38. Vedi, anche, gli articoli 8, 11 e 12 dello stesso decreto»

 

Mariagabriella Corbi

 

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LaPrevidenza.it, 18/11/2011

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