Svolgimento del processo
1. S.P. - prima dipendente del Comune di Roma, poi, dopo le dimissioni
volontarie dal Comune, dipendente ENASARCO - conveniva in giudizio (nel
1998) il Comune, e i funzionari B. B. e D.B.S., per sentirli condannare
in solido al risarcimento dei danni subiti per effetto delle dimissioni
dall'impiego presso l'ENASARCO, prima di maturare il diritto alla
pensione di invalidità; dimissioni alle quali si era determinato sulla
base di errate informazioni rilasciategli dall'amministrazione comunale.
Il Tribunale, nel contraddittorio con il Comune e il B., condannava in
solido il Comune e il D.B. (circa Euro 85.000,00) e rigettava la
domanda nei confronti del B.
2. La Corte di appello di Roma, adita dal Comune, rigettava la domanda
di risarcimento del danno del S., nella contumacia di B. e D.B.S.
(sentenza dei 21 aprile 2008).
3. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione il S.,
con sei motivi, corredati da quesiti ed esplicati da memoria. Resiste
con controricorso il Comune. B. e D. B., ritualmente intimati, non si
sono difesi.
Motivi della decisione
1. La decisione impugnata si fonda sulle seguenti essenziali argomentazioni.
1.1. L'eccezione di inammissibilità dell'appello proposto dal Comune
-sollevata dal S., sostenendo l'omessa rinnovazione da parte del Comune
della notifica dell'atto di appello nei confronti del D. B.,
autorizzata dalla Corte, - è "superata", stante "la prova" della
preesistente rituale notifica in data 4 febbraio 2004, mediante
consegna del plico al vicino di casa, che ha sottoscritto la relata, e
successiva comunicazione al destinatario mediante lettera raccomandata
attestata dall'ufficiale giudiziario.
1.2. Nel merito, la domanda va rigettata.
In primo luogo, non sussiste il nesso causale tra le informazioni
errate fornite dal Comune al S. il 12 ottobre 1993 e le sue successive
dimissioni volontarie dall'Enasarco - presentate senza aver maturato il
diritto a pensione - dovendosi ricondurre tale scelta ad una decisione
autonoma del lavoratore. Infatti, il S. si era dimesso dal Comune in
data 22 ottobre 1973 e il successivo 23 ottobre aveva iniziato il
servizio all'ENASARCO. In data 8 marzo 1974 il Comune gli aveva
notificato la delibera di accettazione delle dimissioni, decorrenti dal
22 ottobre 1973.
Conseguentemente, nel dicembre 1973 non poteva continuare a percepire i
contributi previdenziali del Comune (come risultava dalla comunicazione
errata fornita dal Comune nel 1993); avendo precisa cognizione della
successione temporale dei due rapporti di lavoro, e, a fronte
dell'erronea comunicazione del Comune, avrebbe potuto verificare la
propria posizione contributiva presso l'INPDAP. In secondo luogo, non è
ravvisabile un comportamento colposo in capo al Comune, non sussistendo
un obbligo giuridico di comunicare la posizione contributiva dei propri
dipendenti; obbligo che, invece, sussiste, sulla base della L. n. 88
del 1989, in capo agli enti previdenziali in caso di richiesta
dell'interessato.
2. I primi tre motivi di ricorso proposto dal S. concernono l'eccezione
di inammissibilità dell'appello proposto dal Comune rispetto al D.B.,
avanzata dal S. in quella sede e ritenuta superata dalla Corte di
merito; possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta
connessione.
Con il primo si deduce omessa motivazione nella parte in cui la
sentenza non spiegherebbe perchè: prima la Corte ha disposto la
rinnovazione ex art. 291 cod. proc. civ.; poi - a fronte della
richiesta del Comune di nuovo termine per la rinnovazione - ha rinviato
per la precisazione delle conclusioni; quindi ha ritenuto sussistente
una precedente rituale notifica al D.B.
Con il secondo si deduce la violazione dell'art. 291 cod. proc. civ.,
per avere la Corte ritenuto valida la precedente notifica, effettuata
al D.B. ai sensi dell'art. 139 cod. proc. civ., dopo che, disponendo la
rinnovazione della stessa ex art. 291 cod. proc. civ., aveva ritenuto
l'irregolare costituzione del contraddittorio.
Con il terzo si deduce la violazione dell'art. 139 cod. proc. civ., per
avere la Corte ritenuto rituale la notifica in assenza della cartolina
attestante la ricezione da parte del D.B. della raccomandata, spedita
dall'ufficiale giudiziario per avvisare il destinatario della consegna
dell'atto al vicino; in assenza di costituzione dell'appellato; in
assenza di rinnovo della notifica.
2.1. Tutti i motivi, concernenti l'unica questione della ritualità
della citazione in appello del D.B., sono inammissibili per carenza di
interesse.
Trattandosi di obbligazioni solidali, con conseguente litisconsorzio
facoltativo e scindibilità delle cause, gli ipotizzati vizi della
notificazione dell'atto di appello, proposto da un condannato in solido
(il Comune) rispetto all'altro condannato obbligato in solido (il
D.B.), nei confronti del quale non era stata esercitata nel processo
alcuna domanda attinente ai rapporti interni, non inficiano la rituale
proposizione dell'appello nei confronti del danneggiato (il S.). Con
seguente mente, il S. non ha alcun interesse a far valere tali pretesi
vizi. Vizi, di cui si sarebbe potuto dolere il D.B., che, invece,
ritualmente intimato nel presente giudizio, non ha svolto difese. 3.
Con il quarto motivo si deduce la violazione dell'art. 116 cod. proc.
civ. e art. 2727 cod. civ., nella parte in cui il giudice deduce
presuntivamente dalla comunicazione della delibera di accettazione
delle dimissioni dal Comune, con la relativa decorrenza, la conoscenza
del S. della propria posizione contributiva.
Con il quinto motivo si deduce la violazione dell'art. 116 cod. proc.
civ. e art. 2727 cod. civ., in riferimento al documento del Comune (del
12 ottobre 1993, rilasciato a richiesta dell'interessato) contenente le
attestazioni, riconosciute erronee anche dal Comune, attinenti alla
posizione contributiva, ritenuto dalla Corte di merito neutrale,
rispetto alla determinazione del S. di presentare le dimissioni
dall'Enasarco nella certezza di aver raggiunto i requisiti
previdenziali richiesti per la pensione, nonostante la riconosciuta
erroneità, ammessa anche dal Comune, con conseguente insufficienza e
contraddittorietà nella motivazione.
Con il sesto motivo si deduce la violazione degli artt. 1175 e 1176
cod. civ. e della L. n. 241 del 1990, art. 1, laddove il giudice di
merito ritiene l'assenza di colpa in capo al Comune in mancanza di uno
specifico obbligo giuridico di fornire informazioni sulla posizione
previdenziale. In particolare deduce la responsabilità da contatto
sociale, particolarmente qualificata in capo all'amministrazione.
4. I motivi, strettamene connessi, vanno esaminati unitariamente e meritano di essere accolti.
4.1. Nessun pregio ha l'eccezione, sollevata nel controricorso dal
Comune, secondo la quale sarebbe inammissibile il sesto motivo, in
quanto prospettante una questione nuova. Nel giudizio di merito, come
riconosce lo stesso controricorrente, si è discusso di responsabilità
contrattuale e extracontrattuale del Comune e, comunque, sempre in
riferimento agli stessi fatti. Non può, quindi, ritenersi nuova la
deduzione, per la prima volta in cassazione, della responsabilità da
contatto sociale.
4.2. Per meglio comprendere i vizi in cui è incorsa la sentenza
impugnata è opportuna una breve premessa sulla successione degli eventi
e della relativa documentazione; dati pacifici tra le parti.
Il S. si dimise dall'impiego comunale in data 22 ottobre 1973 e iniziò
il rapporto di lavoro con l'ENASARCO il successivo 23 ottobre. In data
8 marzo 1974 il Comune gli notificò la Delib. 20 dicembre 1973 con la
quale venivano accettate le dimissioni, con decorrenza dal 22 ottobre
1973.
Nel settembre 1993 il S. chiese al Comune di conoscere la propria
posizione contributiva in riferimento al periodo in cui aveva prestato
servizio presso l'ente.
Con la certificazione rilasciata il 12 ottobre successivo, il Comune,
dopo aver ripercorso i diversi periodi di servizio prestati con diverse
qualifiche, individua la data delle dimissioni volontarie in quella
della delibera di accettazione delle stesse (20 dicembre 1973) invece
di quella reale (il 22 ottobre 1973), da cui le dimissioni erano
decorse, secondo quanto attestato dalla suddetta delibera.
Inoltre, certifica che al medesimo S. era stato riconosciuto, ai soli
fini previdenziali, il servizio prestato dal 10 novembre 1965 (invece
che dal 19 novembre 1965) al 31 dicembre 1965; contributi figurativi
antecedenti al rapporto di lavoro, iniziato, secondo quanto risulta dal
certificato, il 1 gennaio 1966.
Con decorrenza dal 1 settembre 1995, il S. si dimetteva dall'ENASARCO.
La domanda di pensione veniva respinta dall'INPDAP -al quale aveva
presentato domanda di ricongiungimento dei contributi - per aver il S.
prestato servizio presso il Comune per un periodo inferiore agli otto
anni richiesti dalla L. n. 274 del 1991, art. 9. 5. La sentenza
impugnata è viziata nella parte in cui nega il nesso causale tra le
errate informazioni fornite dal Comune al S. e le dimissioni del S.
dall'ENASARCO; dimissioni presentate, secondo la prospettazione
attorea, nella convinzione di essere in possesso degli otto anni di
servizio presso il Comune, necessari ai fini del ricongiungimento dei
contributi e del diritto a pensione.
Infatti, la Corte di merito trae dalla avvenuta comunicazione della
delibera comunale contenente l'accettazione delle dimissioni dal Comune
la conoscenza da parte del S. della esatta data delle dimissioni, con
conseguente assenza di posizione contributiva in assenza di posizione
lavorativa e conseguente irrilevanza della circostanza che nel
certificato rilasciato dal Comune nel 1993 tale data fosse errata,
perchè successiva a quella reale.
Invece, il lungo tempo trascorso tra le dimissioni dal Comune (avvenute
nel 1973, con accettazione comunicata nel 1974) e il certificato
contenente la data errata (rilasciato nel 1993) non legittimano tale
presunzione di esatta conoscenza da parte dell'uomo medio; tanto più se
si considera il breve scarto temporale tra la data reale e la data
indicata nel certificato (22 ottobre e non 20 dicembre dello stesso
anno).
Inoltre, la Corte di merito presume la conoscenza della esatta
posizione contributiva da parte del S. desumendola dalla circostanza
che si trattava del suo rapporto di lavoro, con conseguente irrilevanza
della erronea ricostruzione nel certificato rilasciato dal Comune. Non
considera, però, il contenuto del certificato nella parte in cui
attesta (erroneamente) il periodo di contribuzione figurativa.
Anche ad ammettere che sia legittimo presumere che la parte interessata
sappia se un periodo del proprio rapporto di lavoro gode della
contribuzione figurativa, certo non può presumersi che sia a conoscenza
delle date esatte di decorrenza di tale contribuzione;
tanto più quando, come nella specie, il certificato attesti una
contribuzione figurativa differente per pochi giorni da quella reale
(10 novembre 1965 invece di 19 novembre 1965).
Nè tali conclusioni sono messe in discussione dalla circostanza che il
S. avrebbe potuto chiedere la verifica della propria posizione
contributiva presso l'INPDAP prima di presentare le dimissioni, come
rileva il giudice del merito, il quale presuppone che il S. avrebbe
potuto accorgersi dell'errore contenuto nel certificato trattandosi di
questioni relative al proprio rapporto di lavoro che avrebbe dovuto
sapere. Per quanto chiarito sopra, tale presunzione di conoscenza in
capo al S. non può ritenersi configurata.
5.1. Premesso che è pacifica la sussistenza dei suddetti errori nel
certificato rilasciato dal Comune e che è evidente la rilevanza degli
stessi nel far apparire esistente un periodo più lungo di servizio,
così come non è in discussione la rilevanza dell'apparente maggiore
periodo rispetto al godimento della pensione chiesta dal S. (dopo aver
presentato le dimissioni dall'ENASARCO), deve riconoscersi l'esistenza
del nesso causale tra l'erroneo certificato rilasciato dal Comune e le
dimissioni del S. dall'ENASARCO; dimissioni che non gli hanno
consentito di godere della pensione nel periodo immediatamente
successivo.
Secondo la regola l'id quod plerumque accidit, non può dubitarsi del
nesso causale tra quanto affermato dal Comune nel certificato e il
conseguente comportamento del S. che, facendo affidamento sulla
pensione anticipata in presenza di un periodo contributivo di otto anni
presso il Comune, presentò le dimissioni dall'ENASARCO. Nè può
ipotizzarsi una concorrenza causale del danneggiato, non rilevando,
alla luce del consolidato criterio della cosiddetta causalità adeguata
- secondo il quale, all'interno della serie causale, occorre dar
rilievo solo a quegli eventi che non appaiono, secondo una valutazione
ex ante, del tutto inverosimili - l'omessa richiesta di verifica
all'INPDAP. Infatti, sarebbe inverosimile ipotizzare che, in presenza
di un certificato proveniente dal proprio (ex nella specie) datore di
lavoro il comportamento dell'uomo medio, avrebbe potuto essere più
accorto e richiedere la verifica.
6. Si tratta ora di stabilire a che titolo il S. chiede il risarcimento
del danno subito in conseguenza dell'errore compiuto
dall'amministrazione Comunale.
6.1. Correttamente, la Corte di merito ha escluso che l'obbligo di
fornire le informazioni previdenziali derivi dalla L. 9 marzo 1989, n.
88.
In effetti, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte,
nell'ipotesi in cui l'INPS abbia fornito all'assicurato un'indicazione
erronea in ordine al numero dei contributi versati, il danno subito dal
lavoratore è riconducibile a responsabilità contrattuale dell'istituto,
in quanto derivante dalla inosservanza del generale obbligo dell'ente
previdenziale, L. n. 88 del 1989, ex art. 54 di informare l'interessato
sulla sua posizione assicurativa e pensionistica, ove questi ne faccia
richiesta (Cass. 10 novembre 2008, n. 26925; Cass. 8 aprile 2002, n.
5002). Obbligo, cui corrisponde un diritto dell'assicurato alla
corretta informazione circa la consistenza del credito contributivo in
corso, con riconoscimento, anche a prescindere dal pensionamento (Cass.
21 giugno 2002, n. 9125). Obbligo, derivante dalla legge solo a carico
di INPS e INAIL, ed espressamente escluso rispetto ad altri enti
previdenziali (Cass. 17 maggio 2003, n. 7743).
6.2. Naturalmente, non può ipotizzarsi la responsabilità contrattuale
derivante dal rapporto di lavoro con il Comune, visto che, nella
specie, la richiesta di informazioni sul proprio stato contributivo
proveniva da un ex dipendente (per un'ipotesi di responsabilità
contrattuale dell'ente pubblico per aver indotto in errore il
dipendente, e per il rilievo dell'affidamento in esso riposto
dall'amministrato, Cass. 14 novembre 2008, n. 27154; la specificazione
della responsabilità contrattuale si trova in motivazione).
6.2.1. Alla luce degli approdi della giurisprudenza e della dottrina in
ordine ai rapporti tra cittadino e amministrazione, potrebbe
ipotizzarsi, invece, la generale responsabilità extracontrattuale ex
art. 2043 cod. civ.
Tuttavia, ritiene il Collegio, che prima ancora del generale principio
del neminem ledere, valevole per tutti i cittadini nei confronti
dell'amministrazione pubblica, rilevi quella responsabilità che
giurisprudenza e dottrina qualificano da "contatto sociale", venendo in
rilievo una richiesta di informazioni che, in quanto rivolta da un ex
dipendente ad un ex datore di lavoro, si connota per una vicinanza
qualificata giuridicamente da obblighi e aspettative che trovano la
loro origine nel pregresso vincolo contrattuale.
6.3. La responsabilità da contatto sociale - elaborata sul terreno
civilistico dalla dottrina, sulla scorta di quella tedesca, e fatta
propria da oltre un decennio dalla giurisprudenza di legittimità - si
caratterizza come responsabilità per inadempimento senza obblighi di
prestazione contrattualmente assunti, in fattispecie di danno di
difficile inquadramento sistematico, "ai confini tra contratto e
torto". Vengono ricondotte ipotesi in cui la responsabilità
extracontrattuale appare insufficiente, in quanto generica
responsabilità del "chiunque", e nelle quali manca il fulcro del
rapporto obbligatorio, costituito dalla prestazione vincolante. Fonte
della prestazione risarcitoria non è nè la violazione del principio del
neminem ledere, nè l'inadempimento della prestazione contrattualmente
assunta, ma la lesione di obblighi di protezione, di comportamento,
diretti a garantire che siano tutelati gli interessi esposti a pericolo
in occasione del contatto stesso. Il rapporto che scaturisce dal
"contatto" è ricondotto allo schema della obbligazione da contratto.
6.3.1. La giurisprudenza di legittimità ha ravvisato responsabilità da
contatto sociale: in capo al medico, dipendente da struttura sanitaria,
nei confronti del paziente; nel caso dell'insegnante, dipendente
dall'istituto scolastico, nei confronti dello studente, per il danno
cagionato dall'alunno a se stesso. Il dato caratterizzante, comune alle
due fattispecie, (rispetto alle quali l'applicazione del principio è
costante, a partire, rispettivamente, da Cass. 22 gennaio 1999, n. 589
e da Sez, Un. 27 giugno 2002, n. 9346) è, oltre all'assenza di un
contratto tra presunto danneggiante e danneggiato, la particolare
"qualità dell'attività" svolta dal possibile danneggiante; potrebbe
dirsi, proprio per gli echi pubblicistici legati alla destinazione
dell'attività, la "qualità della funzione" svolta dal danneggiate, alla
quale l'ordinamento giuridico collega obblighi di comportamento, anche
a tutela di valori costituzionali (artt. 32, 33 e 34 Cost.). Da un
lato, l'esercizio di una professione cosiddetta protetta, per aver
bisogno di una speciale abilitazione all'esercizio, con obblighi di
comportamento nei confronti di chi su tale professionalità ha fatto
affidamento, entrando in contatto con lui. Dall'altro, il complessivo
obbligo di istruire ed educare dell'insegnante, cui si collega lo
specifico obbligo di protezione e vigilanza del discente per evitare
che si procuri da solo un danno alla persona.
6.4. Nel caso di danno conseguente a inesatte informazioni (nella
specie previdenziali), attinenti al rapporto di lavoro, fornite, a
richiesta, dall'ex datore di lavoro al lavoratore, è assente il vincolo
contrattuale attuale. E' presente, però, la particolare funzione
qualificata svolta dal datore di lavoro, naturalmente riferibile ai
propri dipendenti e non alla generalità, rispetto a informazioni in suo
possesso attinenti al rapporto di lavoro che non sia più attuale.
L'obbligo di comportamento trova il proprio fondamento nel pregresso
rapporto contrattuale ed è a tutela dell'affidamento che l'ex
dipendente ripone nell'ex datore di lavoro, quale detentore qualificato
delle informazioni relative ad un rapporto contrattuale ormai concluso,
in un contesto che ha sullo sfondo la tutela costituzionale apprestata
al lavoro (art. 35 Cost.).
E' ravvisatole, quindi, la responsabilità da contatto, con il
conseguente regime probatorio desumibile dall'art. 1218 cod. civ.,
secondo il quale, mentre l'attore deve provare che il danno si è
verificato per effetto del contatto, sull'altra parte incombe l'onere
di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa a sè
non imputabile.
6.5. Resta da spiegare perchè non si sia percorsa la strada, pure
astrattamente ipotizzabile nella specie, nella quale l'ex datore di
lavoro è un'amministrazione pubblica, della risarcibilità del danno ai
sensi dell'art. 2043 cod. civ., ed, in particolare, della
responsabilità dell'amministrazione per informazioni errate.
Infatti, mentre è rimasta inesplorata (perchè mai concretamente
applicata dalla Corte di legittimità) l'ipotizzata responsabilità da
contatto dell'amministrazione nei confronti del cittadino, per effetto
degli obblighi procedi menta li (legge 7 agosto 1990, n. 241), che
hanno reso specifico e differenziato tale rapporto (Cass. 10 gennaio
2003, n. 157; Cass. 26 settembre 2003, n. 14333) - tesi parallela a
decisioni della giurisprudenza amministrativa che ravvisavano o
ipotizzavano il cosiddetto "contatto procedimentale" - molto nutrito è,
invece, il filone giurisprudenziale che si è snodato sul piano della
responsabilità extracontrattuale, a partire da Sez. Un. 22 luglio 1999,
n. 500, con il riconoscimento della risarcibilita anche dei cosiddetti
interessi legittimi. Al di là delle innumerevole applicazioni, rispetto
al caso di specie, rilevano quelle decisioni secondo le quali la
responsabilità della P.A. per illecito extracontrattuale è
astrattamente configurabile anche nella diffusione di informazioni
inesatte, in quanto lesive della posizione (meritevole di tutela) del
privato di affidamento nella stessa, tenuto conto che questa deve
ispirare la propria azione a regole di correttezza, imparzialità e buon
andamento ai sensi dell'art. 97 Cost. (Cass. 9 febbraio 2004, n. 2424;
Cass. 5 giugno 2007, n. 13061).
6.5.1. La suddetta tutela del singolo nei confronti
dell'amministrazione, proprio perchè accordata nell'ambito della
responsabilità generale ex art. 2043 cod. civ., presuppone che tra
danneggiate e danneggiato non preesista un rapporto giuridico o che,
comunque, la pretesa risarcitoria sia formulata indipendentemente da
tale rapporto (mentre, come si è visto prima, non è stata mai
concretamente percorsa la strada di ravvisare una responsabilità "da
contatto" dell'amministrazione nei confronti del cittadino).
Invece, nella specie all'attenzione della Corte, esisteva nei confronti
de danneggiante un vero e proprio vincolo contrattuale e, cessato
quello, obblighi di comportamento che nel primo trovano origine,
connotando un contatto qualificato basato sull'affidamento, fonte di
responsabilità. Tuttavia, è indubbio che la qualità pubblica del
soggetto danneggiate è idonea a rafforzare tale affidamento.
6.6. In conclusione, il quarto, il quinto e il sesto motivo del ricorso
sono accolti e la causa va rinviata alla Corte di merito, che deciderà
la domanda applicando i suddetti principi di diritto (p. 5.1 e 6,4.) e
liquiderà anche le spese del presente giudizio.
LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il quarto, il quinto e il sesto motivo
del ricorso; che rigetta nel resto cassa in relazione la sentenza
impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa
composizione, anche per le spese processuali del giudizio di cassazione.