I limiti alla discrezionalità medica
nella prescrizione dei farmaci a carico del SSN e la giurisdizione della Corte
dei conti sui danni da iperprescrittività,
(Massimiliano Minerva)
magistrato della Corte dei conti
1. Il quadro normativo. 2. I limiti alla discrezionalità medica nella prescrizione dei farmaci a carico del SSN
3. L’iperprescrittività farmaceutica in senso ampio
come fatto illecito 4. Il rapporto di servizio tra (i medici di medicina
generale e) i titolari di farmacie private ed il Servizio sanitario nazionale
(regionale)
1. In campo sanitario-farmaceutico il nostro
ordinamento giuridico si ispira al principio, di
rilievo costituzionale, della tutela della salute dei cittadini e della
garanzia di cure gratuite agli indigenti (art. 32 Cost.), realizzato attraverso
il contemperamento tra l’esigenza (pubblica) di apprestare opportune forme di
controllo-vigilanza sulla somministrazione di medicinali - realizzata anche
attraverso l’istituto della prescrizione medica - e il diritto, anch’esso di rilievo
costituzionale (art. 41 Cost.), al libero esercizio di un’attività economica
(vendita di prodotti farmaceutici).
Per questi motivi, l’accesso dei cittadini al bene
farmaco non è libero, ma disciplinato da norme speciali che lo sottraggono alle
leggi generali sul commercio, riservando al farmacista in via primaria ed
assoluta la dispensazione al pubblico, su necessaria indicazione del medico (Testo unico delle
leggi sanitarie di cui al Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265, in particolare
art. 122).
In questo contesto si pone la
prescrizione (o ricetta) medica, che è l’autorizzazione scritta del medico
volta a disporre la consegna al paziente del medicinale da parte del
farmacista, il quale, in deroga alla disciplina ordinaria sul libero commercio,
è il solo autorizzato ad effettuarla (Cass. Civ.,
sez. II, 27.11.1962, n. 3214). La spedizione di una ricetta è quindi
conseguenza di una autorizzazione alla quale il
farmacista dà effetto giuridico dopo averne accertata la conformità a legge. Ma, soprattutto, ai nostri fini, la funzione della
prescrizione medica redatta sul modulo regionale è quella di rendere possibile
(autorizzare) l’assunzione di un onere finanziario a carico
dell’amministrazione sanitaria.
La disciplina dell’attività prescrittiva
di medicinali è contenuta in numerose disposizioni di legge (tra le altre, art.
2 della legge n. 531 del 29.12.1987, art. 4 del d. l.vo 30.12.1992, n. 539 art. 1, co.
4, della legge 8.8.1996, n. 425, art. 3 legge 8 aprile 1998,
n. 94, DM 11.7.1988, n. 350, DM 2.8.2001) e, in particolare, nel
citato Accordo collettivo nazionale reso esecutivo con il dPR
270/2000, che, dopo aver definito, al comma 1 dell’art. 15-bis, il medico di
medicina generale come colui che, tra l’altro, “assicura l’appropriatezza
nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione dalla Azienda per l’erogazione
dei livelli essenziali ed appropriati di assistenza…” (affermazione ripetuta
anche all’art. 31, co. 3, lett. B, ultimo punto),
ricerca “la sistematica riduzione degli sprechi nell’uso delle risorse
disponibili mediante adozione di principi di qualità e di medicina basata sulle
evidenze scientifiche”, puntualizza al comma successivo che “le prescrizioni di
prestazioni specialistiche, comprese le diagnostiche, farmaceutiche e di
ricovero, del medico di medicina generale si attengono ai principi sopra
enunciati e avvengono secondo scienza e coscienza”. Quest’ultimo
principio viene ribadito nella norma fondamentale in
materia, dettata dall’art. 36 dell’Accordo, secondo cui “la prescrizione dei medicinali
avviene, per qualità e per quantità, secondo scienza e coscienza, con le
modalità stabilite dalla legislazione vigente nel rispetto del prontuario
terapeutico nazionale, così come riclassificato
dall’art. 8 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e successive modificazioni ed
integrazioni”.
Tale ultima disposizione di legge (art. 8, l. n. 537/1993)
ha fissato i criteri in base ai quali la CUF (Commissione unica del farmaco
operante presso il Ministero della Sanità, ora Salute) deve classificare i farmaci
che entrano in commercio: classe A (farmaci essenziali e farmaci per malattie
croniche) a totale carico del SSN; classe B (farmaci
diversi dai precedenti ma di rilevante interesse terapeutico) a parziale carico
del SSN (50%), classe abolita a partire dal 1° luglio 2001); classe C (altri
farmaci privi delle caratteristiche dei farmaci di cui alle classi A e B) a
carico dei cittadini, spesso sotto forma di prodotti da banco o senza obbligo
di ricetta medica. Inoltre, per alcune categorie di farmaci di classe A (e fino
al 2001, di classe B), sono state introdotte delle “note” che limitano la rimborsabilità a carico del SSN
solo a determinate indicazioni terapeutiche (note CUF, revisionate da ultimo
con DM 22 dicembre 2000): il medico che li prescrive deve indicare sulla
ricetta il numero di nota del farmaco e controfirmare. Infine, per i medicinali
privi di dati certi di efficacia terapeutica e di
sicurezza a lungo termine è stata predisposta l’attivazione di un sistema di
sorveglianza sui pazienti affetti da determinate patologie, attraverso
l’istituzione del c.d. “registro USL”, secondo cui la prescrizione medica deve
essere obbligatoriamente accompagnata da una segnalazione alla ASL da parte del
medico prescrittore, riportante diagnosi e terapia
impostata.
Successivamente, l’art.
3 della legge 8 aprile 1998, ha ribadito e reso esplicito il principio
fondamentale in materia secondo cui “il medico, nel prescrivere una specialità
medicinale o altro medicinale prodotto industrialmente, si attiene alle indicazioni
terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste
dall’autorizzazione all’immissione in commercio rilasciata dal Ministero della
sanità“ (scheda tecnica ministeriale). L’eccezione alla regola appena
illustrata è soggetta a limitazioni e condizioni severissime (comma 2):
dimostrare che la patologia per la quale si propone un trattamento o una via di
somministrazione alternativa, non previsto dalla scheda ministeriale, non è
curabile utilmente con altri farmaci per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica; raccogliere per iscritto per
ciascun caso il consenso informato; dimostrare l’accreditamento internazionale
di tale modalità alternativa mediante pubblicazioni scientifiche (non
monografie di un autore); e resta comunque il fatto che la terapia farmacologia
alternativa non può essere accollata e’ a carico del SSN.
Anche le rigide modalità di
consegna (al medico) del ricettario contenente i moduli per le prescrizioni,
nel responsabilizzare il medico nell’attività di somministrazione dei farmaci
attraverso il SSN, dimostrano la sicura rilevanza pubblica e l’attenzione posta
dal legislatore su tale momento dell’attività professionale medica. Difatti, il
bollettario regionale, contenente le ricette mediche numerate, che viene consegnato al medico personalmente e, comunque,
nominativamente, altro non è che un bene pubblico, un titolo o valore, della
cui conservazione, utilizzo e gestione è responsabile lo stesso medico: vengono
prodotti e distribuiti dal Poligrafico dello Stato in esclusiva per il SSN, su
“carta di sicurezza” (filigranata), consegnati alle Regioni che li distribuisce
alle ASL, sulla base dei rispettivi fabbisogni. Queste ultime provvedono alla
custodia e alla consegna, secondo un rigido protocollo, dei ricettari ai medici
…”avendo cura di procedere in ogni caso alla registrazione dei numeri
identificativi delle ricette consegnate al singolo medico”
(DM 11.7.1988 “Disciplina dell’impiego nel Servizio Sanitario Nazionale
del ricettario standardizzato a lettura automatica”, artt.
3 e 4 e cap. 3 del disciplinare tecnico allegato), operazione che comprende
l’annotazione del range di ricette assegnate al
medico espresso con il primo e l’ultimo progressivo, il codice del soggetto cui
sono state assegnate le ricette, la relativa tipologia e la data di consegna.
2. Dall’esame della disciplina appena sintetizzata,
si deduce che la prescrizione medica, con particolare riferimento alla
prescrizione di medicinali, rientra nella esclusiva
sfera volitiva e, dunque, nella esclusiva responsabilità del medico prescrittore, almeno con riferimento alla scelta ed
indicazione della terapia farmacologia in relazione alla patologia riscontrata,
nonchè ai tempi, dosi e modalità di
somministrazione del farmaco. In questa ottica, il
suggerimento terapeutico di uno specialista, portato a sostegno della terapia
praticata, non rileva, in quanto è sempre il medico prescrittore
che si assume totalmente la responsabilità prescrittiva
e ciò sia dal punto di vista deontologico, sia dal punto di vista della
responsabilità medica (relativamente ad eventuali danni al paziente), sia dal
punto di vista economico per quanto riguarda la concedibilità
del farmaco prescritto da parte del SSN. Il medico che trascrive la ricetta
dello specialista, quindi, condivide in tutto la scelta
terapeutica e ne assume la responsabilità.
Inoltre, la normativa citata evidenzia che la ricetta
medica - ben lungi dall’essere affidata alla totale discrezionalità del
professionista - deve essere effettuata, oltre che
“secondo scienza e coscienza”, nel rispetto delle norme di settore, delle
limitazioni e delle indicazioni fornite dal Ministero della sanità (ora salute)
nelle schede tecniche ed eventualmente contenute nelle c.d. note CUF, nonché
dei seguenti principi:
a) economicità e riduzione degli sprechi: nella nuova logica
dell’azienda ASL anche il medico convenzionato è coinvolto nelle decisioni gestionali sulla utilizzazione delle risorse ed è parte di
un complesso sistema organizzativo che ha il compito istituzionale di erogare
l’assistenza sanitaria sul territorio utilizzando fondi pubblici e che, a tal
fine, si avvale di molteplici strumenti operativi e risorse professionali (di
varia natura, provenienza e disciplina). In tale contesto,
i risultati positivi non dipendono solo dall’esercizio dell’attività medica, ma
dal combinarsi delle attività prettamente professionali con gli elementi
organizzativi e le risorse disponibili, con la conseguenza che tutti gli
operatori sanitari (dotati di una certa autonomia e che in sostanza partecipano
a processi decisionali di tipo produttivo o, comunque, di forte impatto
economico-finanziario) sono responsabilizzati nella utilizzazione appropriata
delle risorse finanziarie pubbliche (v. anche codice deontologico, art. 12) e
devono uniformare la loro attività (in questo caso prescrittiva)
al principio della ottimizzazione di quelle risorse.
b) appropriatezza, nel senso che ad ogni patologia deve
corrispondere esclusivamente la prescrizione di farmaci (principi attivi) che risultino tali - per quantità, qualità e modalità di
somministrazione - da indurre un miglioramento nelle condizioni di salute del
paziente, con conseguente illiceità di comportamenti prescrittivi che portino
il paziente ad un consumo di farmaci incongruo od inadeguato, anche in
considerazione dei maggiori rischi per la salute che l’adozione di tale pratica
comporta. In questa prospettiva, è bene ricordare che è preciso obbligo del
medico (come afferma anche l’art. 31, comma 3, lett. b) dell’Accordo) “lo sviluppo
e la diffusione del corretto uso del farmaco nell’ambito della quotidiana
attività assistenziale”.
c) efficacia
dell’intervento: ovviamente il medico deve sempre finalizzare
la prescrizione di un medicinale alla cura della patologia lamentata e riscontrata,
tentando di ottimizzare il rapporto mezzi (farmaci) – risultato (miglioramento
condizioni di salute), in modo da raggiungere il massimo risultato con il
minimo impiego di principio attivo (comunque tossico).
Che la discrezionalità (tecnica) del medico dei servizi di
medicina generale nell’attività prescrittiva di medicinali non sia illimitata è affermazione che si
ritrova anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui al
riguardo sussiste sia “l’obbligo di attenersi alle modalità sancite
dall’accordo collettivo, ossia l’obbligo di non superare la prescrizione di tre
pezzi per ciascuna ricetta, a maggior ragione vigente nel caso di più
prescrizioni dello stesso prodotto nella stessa ricetta, sia la sindacabilità delle scelte terapeutiche e sanitarie del
medico che coeteris paribus
si pongano in contrasto con quelle effettuate dalla generalità degli altri
medici, fatta ovviamente salva la prova del contrario, il cui onere incombe sul
medico stesso”. Con la conseguenza che è qualificabile come
“illecito disciplinare sanzionabile “l’iperprescrizione” di farmaci, perché essa costituisce la situazione più frequente
di scostamento, più o meno giustificato, tra le scelte del medico e quelle
della generalità degli altri sanitari, laddove l’interessato non dia la
dimostrazione plausibile dell’eventuale particolarità delle patologie da lui
trattate” (Consiglio di Stato, sez. V, 19 settembre 1995, n. 1310, cit.).
Del resto, le limitazioni alla discrezionalità
tecnico-medica e le indicazioni quali-quantitative
che devono essere rispettate nella redazione della c.d. ricetta
medica trovano una evidente giustificazione sul piano della finanza pubblica,
laddove si consideri che, da un lato, si tratta di prestazioni a carico del
Servizio Sanitario Nazionale (della collettività) e che, dunque, ciascuna
prescrizione, qualora sia rimborsabile dalla ASL, comporta l’assunzione del
relativo onere di spesa per il bilancio pubblico, dall’altro, il nostro Paese
ha storicamente una notevole propensione all’uso (ed abuso) di farmaci, tanto
che numerosi sono i provvedimenti normativi (da ultimo il Decreto-legge
3 marzo 2003, n. 32, “Disposizioni urgenti per contrastare gli illeciti nel
settore sanitario”, peraltro non convertito in legge) tesi ad arginare il noto
fenomeno della lievitazione della spesa farmaceutica (che nel 1998
rappresentava il 12% della spesa sanitaria complessiva, comprensiva di
personale e beni e servizi).
3. Nessun dubbio sussiste circa la responsabilità dei
soggetti prescrittori in caso di iperprescrittività in senso stretto, intesa come
superamento del quantitativo di farmaco assumibile dall’assistito in un
determinato periodo di tempo, risultante dalle indicazioni contenute nelle
schede ministeriali relative ai farmaci depositate presso il Ministero della
Salute - che contengono, tra l’altro, composizione quali-quantitativa,
informazioni cliniche (controindicazioni, precauzioni d’uso, reazioni avverse,
interazioni, informazioni sul sovradosaggio) e
proprietà farmacologiche (farmacodinamica
e farmacocinetica) – e, laddove esistenti, nelle note
della Commissione Unica del Farmaco (note CUF).
Va, difatti, ricordato che secondo l’art. 3, comma 1,
della legge 8 aprile 1998, n. 94, nessun medico può prescrivere farmaci con
indicazioni e modalità diverse rispetto alla scheda
tecnica ministeriale (che viene continuamente aggiornata). Inoltre, come già
rilevato, l’art. 36 dell’Accordo di settore, dispone che “la prescrizione dei
medicinali avviene, per qualità e per quantità, secondo scienza e coscienza,
con le modalità stabilite dalla legislazione vigente
nel rispetto del prontuario terapeutico nazionale…”. Infine,
la disposizione di cui all’art. 1, comma 4, del d.l. 20 giugno 1996, n. 323, conv. in l. 8 agosto 1996, n. 425,
impone al medico di rimborsare al SSN il farmaco prescritto senza osservare le
condizioni e le limitazioni previste nei provvedimenti della CUF.
Ma, invero, nel contesto
normativo descritto sub 2, anche l’iperprescrittività
in senso ampio, qualora presenti determinati caratteri, potrà portare ad una
affermazione di responsabilità di medici e titolari di farmacie per i danni
causati alle pubbliche finanze.
Difatti, lo scostamento tra le scelte prescrittive
del singolo medico e le scelte della generalità degli altri professionisti (iperprescrittività in senso ampio) che presenti i caratteri
della ripetizione continua nel tempo e della abnormità nella misura e che avvenga nonostante i periodici
costanti e puntuali avvertimenti dell’amministrazione sanitaria circa
l’atteggiamento iper-prescrittivo, costituisce un
comportamento illecito fonte (come di responsabilità disciplinare nell’esatta
impostazione, condivisa in questa sede, della citata sentenza del Consiglio di
Stato, sez. V, n. 1310 del 1995) di danno alle pubbliche finanze, sotto forma
della quota parte di rimborsi erogati dal Servizio sanitario nazionale in più
rispetto alla media degli altri sanitari.
Ciò in quanto l’attività prescrittiva del medico di medicina generale si deve
ispirare, tra l’altro, al principio già richiamato (sub 2) del raggiungimento
di obiettivi di economicità e risparmio delle
risorse finanziarie pubbliche, su cui, in definitiva, ogni scelta terapeutica
del medico va ad incidere, impostazione resa del resto manifesta, oltre che sul
piano individuale dalle norme dell’accordo collettivo e del codice deontologico
già ricordate, dalle numerose disposizioni normative che, specie negli ultimi
anni, hanno adottato misure di contenimento della spesa farmaceutica (ad es.
legge 23 dicembre 1996, n. 648, di conv. in legge del d.l. 21.10.1996, n. 536 e tutte le norme
richiamate nella nota della Federfarma del 1998). In particolare la disposizione di cui all’art. 1, comma 4, del d.l.
20 giugno 1996, n. 323, conv. in l. 8 agosto 1996, n. 425, che impone al medico di rimborsare
al SSN il farmaco prescritto senza osservare le condizioni e le limitazioni
previste nei provvedimenti della CUF.
Va inoltre considerato che
le limitazioni numeriche che la legge (art. 2, co. 3,
del d.l. 30.10.1987, n. 443, conv. in
l. 2.9.1987, n. 531) impone relativamente al numero di pezzi (due, ovvero sei
nel caso degli antibiotici in confezione monodose) prescrivibili per ricetta
non possono essere aggirate attraverso la redazione (addirittura nello
stesso giorno o in giorni successivi o molto vicini tra loro) di differenti e
numerose ricette che prescrivono l’identico farmaco o principio attivo,
realizzando cioè una sorta di “frazionamento artificioso della prescrizione di
medicinali”, come avviene in molti casi, in cui si può riscontrare una consecutività di prescrizioni, che perdura per tutto
l'anno, di analoghi principi attivi, anche se di ditte farmaceutiche
diverse.
Un’ulteriore considerazione: non
deve essere dimenticato, anche ai fini della valutazione delle responsabilità
dei soggetti iperprescrittori e del loro
atteggiamento psicologico, che, se è vero che la disciplina sopra sintetizzata
comporta che siano rimborsabili soltanto le prescrizioni di medicinali redatte
nel rispetto delle regole e dei principi richiamati, il medico di medicina
generale che ritenga di prescrivere al proprio paziente una terapia farmacologica che, per quantità di principio attivo da
assumere o per le modalità di somministrazione, non consenta l’addebito
al Servizio Sanitario Nazionale della relativa spesa, potrà egualmente farlo,
ma senza utilizzare il modello regionale di ricetta e senza accollare così la
relativa spesa all’erario, che, invece, verrà sostenuta dal paziente stesso.
Venendo alle tecniche di quantificazione di questo
particolare tipo di danno, andrebbe preso a riferimento il totale della spesa
posta a carico del SSN dai medici iperprescrittori
- così come rilevate dal sistema di monitoraggio della spesa farmaceutica ormai
in via di adozione presso tutte le ASL - dividendo tale somma per il
numero degli assistibili (numero di pazienti che risultano formalmente in
carico al medico), in modo da ottenere la rispettiva spesa per assistibile
effettivamente addebitata al SSN, parametro messo a confronto con la media di
tutti gli altri sanitari nel territorio, allo scopo di ottenere, per
differenza, la quota di rimborso in eccedenza addebitato alla ASL per
assistibile. Da sottolineare che la media utilizzata
quale parametro di riferimento per valutare l’iper-prescrittività
– intesa, nella definizione accolta in questa sede quale scostamento
consapevole, ripetuto nel tempo e abnorme nella misura, tra le scelte del
singolo medico e la scelta della generalità degli altri professionisti - non è
la media aritmetica pura, ma una media maggiorata con il meccanismo della
“deviazione standard” (o scarto quadratico medio), vale a dire di una grandezza
che, con un particolare procedimento matematico, indica la media degli scarti,
ovvero di quanto una certa misura differisce dalla media del campione di
riferimento. Ebbene, qualora nonostante questo procedimento – che compensa
completamente, tenendone conto, le variabilità dei pazienti per età, condizioni
di salute, ecc. - e nonostante si aggiungano alla media aritmetica della spesa
per assistibile non una, ma ben due deviazioni
standard, i medici iperprescrittori, si situino
molto al di sopra di tale valore, già di per sé maggiorato di molto, saremo
certamente di fronte a comportamenti patologici e la relativa misura potrà
essere considerata danno risarcibile.
4. Dei danni causati alle pubbliche finanze da
atteggiamenti iperprescrittivi in senso ampio, nonché di quelli causati dall’ipeprescrittività
in senso stretto, dovranno essere chiamati a rispondere i medici prescrittori dei farmaci e i titolari di farmacie, questi
ultimi nel solo caso in cui i pazienti dichiarino di non aver mai acquistato il
farmaco o, addirittura, di non essersi mai recati nella farmacia che, invece,
risulta aver richiesto (ed ottenuto) il rimborso alla ASL e si dimostri,
dunque, che vi sono farmaci rimborsati dall’ASL e mai acquistati dalla farmacia
stessa, comportamento questo che lascia intravedere se non la connivenza quanto
meno un tacito accordo tra i farmacisti ed i medici iperprescrittori.
Per quanto riguarda la sussistenza di un vero e proprio
rapporto di servizio tra il medico convenzionato e l’ASL di appartenenza,
essa costituisce ormai ius receptum,
in quanto nell’attività da questo svolta la Corte di Cassazione ha da tempo
rilevato elementi da cui scaturisce l’esistenza del rapporto di servizio (di
fonte convenzionale) con l’Amministrazione sanitaria. Si
tratta dei seguenti adempimenti: identificazione degli assistiti e accertamento
del loro diritto alle prestazioni sanitarie; rilascio di certificazioni
sanitarie; compilazione di prescrizioni farmaceutiche (Corte di Cassazione, SS.UU: n. 6442 del 18 dicembre 1985 e n.
9957 del 13/11/1996). In particolare i compiti di certificazione
sanitaria e finanziaria si inseriscono nell’ambito
dell’organizzazione strutturale, operativa e procedimentale
della ASL ed hanno natura amministrativa, con la conseguenza che il
professionista operando in forza di una devoluzione da parte
dell’amministrazione sanitaria, svolge tali compiti in esecuzione di un
rapporto di servizio (Corte Cass., SS.UU., 21 dicembre 1999, n. 922). Con la precisazione che
i rapporti convenzionali instaurati tra i medici di medicina generale e gli
enti preposti all’assistenza sanitaria, in base alle disposizioni dell’art. 48
della l. 23 dicembre 1978, n. 833 e disciplinati da accordi collettivi resi
esecutivi con decreti del Presidente della Repubblica (dapprima con il dPR 13 agosto 1981 e, da ultimo, dPR
28 luglio 2000, n. 270 di recepimento dei rispettivi
Accordi collettivo nazionale dei medici di medicina generale), hanno natura privatistica di rapporti di prestazione d’opera
professionale, svolta con i caratteri della parasubordinazione (Corte Cass., SS.UU. 22 novembre 1999,
n. 813).
Con specifico riferimento all’attività di prescrizione di
medicinali a carico del Servizio Sanitario Nazionale, si è ulteriormente
precisato che appartiene alla giurisdizione della Corte dei conti l’azione per
il ristoro del danno arrecato dai medici convenzionati con il
SSN a seguito della redazione di prescrizioni inusuali, incongrue o incomplete,
di prescrizioni di medicinali agli assistiti in quantità eccessive o, comunque,
per finalità non terapeutiche, in dosi maggiori del consentito o con modalità
di somministrazioni diverse dal lecito (Corte Cass., SS.UU., 21 dicembre 1999, n. 922; Corte dei conti, sez. II,
2 giugno 1998, n. 158/A; sez. II 30 maggio 1991, n. 209; Sez.
giur. Calabria 19 settembre 1996, n. 31).
La questione appare più controversa per quanto riguarda i
titolari di farmacie private.
In uno Stato moderno la “farmacia” è un complesso
integrato di struttura, professione e attività economica, necessariamente
legato alla pubblica amministrazione sanitaria, perché finalizzato alla
tutela della salute della comunità.
L’intervento pubblico nell’esercizio delle farmacie deriva
istituzionalmente dalla natura stessa del servizio farmaceutico, che è
un’attività primaria dello Stato (art. 32 Cost.), parte integrante
dell’assistenza sanitaria (art.117 Cost.), esercitata
(anche) da cittadini privati in possesso di determinati requisiti culturali,
professionali e morali.
In questo contesto la legge di
riforma sanitaria (l. 23 dicembre 1978, n. 833) annovera l’assistenza
farmaceutica, alla stregua dell’assistenza medico-generica,
specialistica, infermieristica ospedaliera, tra le prestazioni a carico del
Servizio Sanitario Nazionale (art. 25) ed affida alle farmacie il compito di
erogare l’assistenza in nome e per conto delle ASL, attribuendo
inequivocabilmente alle stesse una funzione amministrativa (art. 28). Il
successivo art. 48, riguardante il personale a rapporto convenzionale, nel
fissare il contenuto degli accordi collettivi nazionali, relativi ai medici
convenzionati, estende i criteri in esso contenuti
alle convenzioni con le altre categorie non mediche e, in particolare, alle
convenzioni con le farmacie di cui all’art. 28. Il rapporto convenzionale tra
le farmacie e il servizio sanitario nazionale è regolato dal dPR
n. 371 del 8.7.1998 “Regolamento recante norme concernenti l’accordo collettivo
nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private”
(che ha sostituito il precedente dPR 21 febbraio
1989, n. 94) e dal relativo accordo regionale (per l’Umbria) del 12 gennaio
2001.
Va soggiunto che per la Corte di Cassazione le convenzioni
stipulate ai sensi degli artt. 43 e 48 della legge 23
dicembre 1978 n. 833, si inquadrano nello schema delle
concessioni di pubblico servizio (Corte di Cassazione Sez.
VI penale, sent. n. 11216
del 24/8/1989) e che dalla natura pubblica della convenzione tra farmacie e ASL
discende la qualificazione del farmacista come "incaricato di pubblico
servizio" (Corte di cassazione, Sezione: Sez. II
penale sent. n. 7761 del
27/6/1987; Sez. V penale, sent.
n. 4525 del 24/4/1991 ).
In siffatto contesto normativo e
giurisprudenziale non si può negare che l’erogazione dell’assistenza
farmaceutica ed il rapporto intercorrente tra farmacista e Servizio Sanitario
Nazionale si ispirino agli stessi principi che presiedono allo svolgimento
dell’assistenza medica e che regolano il rapporto intercorrente tra il medico
convenzionato e il S.S.N. Infatti, sia il medico che il farmacista sono
professionisti convenzionati con la A.S.L. (prima
U.S.L.), qualificati dall’art. 48 della l. 833/1978 come "personale a
rapporto convenzionale" del SSN; entrambi partecipano all’erogazione di un
pubblico servizio; sono tenuti all’osservanza di procedure amministrative
finalizzate all’espletamento del servizio pubblico; soprattutto, ai nostri
fini, entrambi dispongono con la loro attività di risorse pubbliche.
Difatti, non vi è dubbio che, mentre nella vendita di
prodotti di bellezza, generi alimentari, calzature, il farmacista esercita
un’attività meramente commerciale, nella dispensazione
dei prodotti medicinali la figura del professionista imprenditore, per effetto
delle disposizioni che regolano tale attività e che sottopongono il farmacista
ad obblighi rispondenti ad esigenze pubbliche, si inserisce
in modo continuativo nell’organizzazione strutturale, operativa, procedimentale dell’A.S.L..
Si tratta, in particolare dei seguenti adempimenti:
- controllo delle ricette presentate dagli assistiti: il
farmacista verifica la conformità al modello che dà diritto alla dispensazione del farmaco a carico del
SSN e la esatta compilazione dello stesso da parte del medico prescrittore (convenzione nazionale di cui al citato dPR n. 371/1998, artt. 4 e 5);
verifica la validità della ricetta rispetto alla data di emissione
(convenzione nazionale art. 5); verifica se il farmaco prescritto è compreso
nel prontuario terapeutico nazionale (convenzione nazionale art. 3); verifica
se sono soddisfatte le condizioni di legge per la concedibilità
di taluni farmaci (indicazione della nota C.U.F.
sottoscritta dal medico); verifica se il numero di "pezzi" per
ricetta è contenuto nel limite di legge (art. 2, comma 3, legge 29/12/1987 n.
531; art. 2 D.L. 30/5/1994, n. 325); adempie agli obblighi previsti dall’art.
45 del D.P.R. 9/10/1990 n. 309 ai fini della dispensazione
di stupefacenti e sostanze psicotrope (identificazione dell’assistito,
annotazione in calce alla ricetta degli estremi del documento di
riconoscimento, controllo che il dosaggio sia limitato ad una cura di durata
non superiore ad otto giorni);
- "tariffazione" della
ricetta: determina, per i farmaci galenici, l’applicazione dei prezzi stabiliti
dall’apposita Tariffa Nazionale approvata con il D.M.
18/8/1993 e successive modificazioni, mentre per le specialità medicinali
l’applicazione del bollino costituisce di per sé tariffazione
(convenzione nazionale art. 8);
- esazione del "ticket" dall’assistito per conto
della ASL:a tal fine tiene conto della fascia di
appartenenza del medicinale, delle esenzioni totali o parziali per patologia o
per reddito;
- resa del conto alla ASL:
presenta mensilmente la distinta contabile riepilogativa (convenzione nazionale
art. 9) con allegate le ricette spedite nel mese (ed eventuali altri documenti
a comprova delle prestazioni eseguite, quali le bolle di accompagnamento delle
bombole di ossigeno medicinale). Sulla base di tale
documento contabile, la A.S.L. provvede a
corrispondere al farmacista il dovuto rimborso.
Per garantire l’osservanza delle disposizioni della
convenzione nazionale il farmacista è sottoposto, infine, alla vigilanza della A.S.L., e alla eventuale
applicazione di misure cautelari e di sanzioni amministrative da parte delle
Commissioni provinciali e regionali, misure che vanno dal richiamo alla
sospensione del servizio farmaceutico convenzionato, fino alla risoluzione del
rapporto convenzionale.
Dal descritto quadro normativo si desume agevolmente che
il farmacista convenzionato, nell’attività di dispensazione
dei farmaci, si configura come professionista che, per conto dell’A.S.L., provvede all’erogazione di
un pubblico servizio e, a tal fine, è sottoposto ad obblighi specifici che ne
determinano l’inserimento nell’organizzazione dell’Amministrazione sanitaria,
con tutte le conseguenze in ordine alla giurisdizione per i danni causati
all’erario nell’esercizio di tale attività (esattamente, in tal senso, Sezione
giurisdizionale Liguria, sent. 28 gennaio 2002, n.
82; Sezione giur. Campania, 30 ottobre 2000, n. 94).
La responsabilità dei
titolari di farmacie non deriva direttamente dall’iperprescrittività,
ma a questa è strettamente connessa, poichè la
ricetta medica contenente la prescrizione di farmaci comporta l’addebito del
costo del medicinale a carico del SSN (SSR) soltanto
se viene spedita dal farmacista, il quale, dunque sarà responsabile dei danni
causati all’erario dalla violazione delle norme che presiedono allo svolgimento
dell’attività di dispensazione dei farmaci, a partire
dalle richiamate disposizioni in materia di farmaci rimborsabili, controllo
delle modalità di compilazione delle ricette, rispetto dell’obbligo di
indicazione delle note CUF e controfirma, numero massimo di pezzi prescrivibili,
nonché (al diverso titolo di responsabilità contabile) per la violazione delle
norme che presiedono alla corretta rendicontazione
delle ricette spedite e rimborsate dalla ASL.
Infine, le norme
sul rimborso che il titolare di una farmacia privata può richiedere ed
ottenere dal Servizio sanitario nazionale in relazione alla
somministrazione al pubblico di specialità medicinali (in particolare, dPR n. 371/1998) presuppongono l’avvenuta cessione del
farmaco (in quanto prodotto farmaceutico) al paziente-cliente, per cui non
avrebbe rilievo in tale prospettiva la mera circostanza dell’apposizione delle
relative fustelle sulle ricette a dimostrazione dell’esistenza dei prodotti
farmaceutici (di cui è stato chiesto il rimborso alla ASL, ma che, ad esempio,
non risultano acquistati dai rispettivi fornitori). Ciò in
quanto il Servizio sanitario nazionale dovrebbe rimborsare la vendita -
in genere al paziente o a un suo parente-delegato all’acquisto ed al ritiro, purchè provvisto di prescrizione medica - dei farmaci in
quanto tali (come operazione economica di cessione contro corrispettivo di un
bene): il presupposto implicito di tutta la normativa in discorso è che il
farmaco di cui si è chiesto il rimborso sia stato effettivamente e non fittiziamente venduto, acquistato dal cliente e consumato
dal paziente; diversamente (se, ad esempio, i pazienti o i loro parenti
dichiarano di non aver mai acquistato il farmaco che risulta spedito presso la
farmacia x o, addirittura, di non essersi mai recati presso la farmacia), il
rimborso a carico della ASL non è dovuto perché relativo ad una operazione
economica fittizia, non interessando in sede di responsabilità amministrativa
se siano stati apposti sulle ricette, ai fini del rimborso, i bollini relativi
a prodotti solo inesistenti o scaduti o altro.
A tale ultimo riguardo,
un segnale certamente positivo, in una ottica più
generale, viene dalla disposizione di cui all’art. 52, co.
9, della legge 289/2002 (finanziaria per il 2003): “Anche al fine di
potenziare il processo di attivazione del monitoraggio delle prescrizioni
mediche, farmaceutiche, specialistiche e ospedaliere…di contenere la spesa
sanitaria, nonche' di accelerare l'informatizzazione
del sistema sanitario e dei relativi rapporti con i cittadini e le pubbliche
amministrazioni e gli incaricati dei pubblici servizi, il Ministro per
l'innovazione e le tecnologie, di concerto con il Ministro dell'economia e
delle finanze, il Ministro della salute, il Ministro dell'interno, e sentita la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, con propri decreti di natura non regolamentare
stabilisce le modalita' per l'assorbimento, in via
sperimentale e senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, della
tessera recante il codice fiscale nella carta nazionale dei servizi e per la
progressiva utilizzazione della carta medesima ai fini sopra descritti”.
Appare, difatti,
evidente, che soltanto quando verrà adottata la
numerazione delle singole confezioni di medicinali (tramite codici a lettura
ottica, come avviene oggi per le ricette) ed adottata la carta sanitaria
personale (su cui sarà possibile memorizzare per ogni paziente, tra gli altri
dati, gli estremi della ricetta medica, il medico prescrittore
e, appunto, i farmaci acquistati, attraverso il loro numero identificativo), si
potrà tenere effettivamente sotto controllo la spesa farmaceutica nazionale e
raggiungere l’obiettivo strategico del suo contenimento.